Viviamo in un momento di grande confusione: la gente ha perso i punti di riferimento che una volta orientavano le sue scelte e ora si lascia incantare da chi grida più forte, da chi fa le promesse più mirabolanti e non importa se poi non le mantiene.
In questo clima, risultano premianti a livello politico atteggiamenti, prese di posizione e linguaggio, che rievocano sinistramente un passato tragico del nostro paese.
È forse su questo stato di confusione generale che la giunta di Erba ha pensato di proporre di intitolare una via della città al podestà Alberto Airoldi e un’altra a mons. Pirovano, partigiano e missionario in Brasile. Per avvalorarne la portata di “pacificazione” civile, la mozione è stata presentata a nome di uno scenografo, molto conosciuto in Italia e all’estero, ma è facile pensare che gli fosse stata richiesta dalla sindaca attuale, nipote del podestà Airoldi. Nella motivazione si citavano i meriti culturali di quest’ultimo, che aveva fatto costruire, a spese proprie e di un suo fratello, un teatro all’aperto e che si era fatto conoscere anche come poeta dialettale.
Sindaco e giunta a Erba appartengono alla Lega con l’opposizione di Forza Italia e pochi sparuti rappresentanti di partiti di sinistra, ma possiamo tranquillamente dire che il 70% dei consiglieri è di centro-destra. Sembrava che tutto sarebbe andato liscio e che questa operazione subdola sarebbe passata sotto silenzio e nell’indifferenza di tutti.
Ma all’apparire della proposta sui giornali locali, subito fece eco la levata di scudi del circolo PD che, comprendendo la malizia della mossa, cominciò a discuterne sui social e nei gruppi Whatsapp, che coinvolgevano persone non impegnate politicamente, ma sinceramente sensibili ai valori democratici.
In breve si unirono alla protesta sindacati, associazioni, partiti e semplici cittadini, che rifiutavano decisamente questo livellamento tra fascismo e antifascismo, come se i meriti culturali o privati di una persona potessero cancellare le sue prese di posizione a favore delle leggi razziali, la sua ratifica alla confisca dei beni degli ebrei, la sua partecipazione al processo che condannò a morte, Puecher, un partigiano ventenne, fucilato proprio ai piedi di quella via che ora si voleva intitolare all’Airoldi.
Il dibattito è continuato per giorni sulla stampa locale, ma poi è stato riportato anche dai giornali nazionali, allargando sempre di più la cerchia di associazioni partigiane e solidaristiche che intendevano unirsi alla protesta e sono stati coinvolti anche rappresentanti di partito provinciali e regionali.
Se non si poteva avere la meglio in Consiglio, vista la schiacciante maggioranza dei favorevoli alla mozione, si poteva però manifestare la propria opposizione sulla piazza antistante il Comune nelle ore in cui si sarebbe riunito il Consiglio .
Vista la mobilitazione massiccia e il rumore mediatico sollevato, la sindaca ha tentato, poche ore prima della prevista delibera, di togliere motivazione alla manifestazione di piazza annunciando che avrebbe fatto ritirare la mozione.
A questo punto alcuni pensavano che non fosse più opportuno partecipare al presidio in piazza, ma la sera molta gente è confluita sul luogo convenuto e molti, inaspettatamente, erano giovani e giovanissimi.
Tutti hanno ascoltato in silenzio la ricostruzione della figura e dell’operato del podestà Airoldi per bocca di un serio studioso di storia locale, il prof. Emilio Galli, che ben ha messo a fuoco i motivi per cui non era pensabile accettare l’intitolazione di una via a colui che aveva abbracciato pienamente l’ideologia fascista e non ne aveva mai ripudiato gli orrori.
Dopo l’intervento dello storico, sono state applaudite le parole del segretario ANPI, dei rappresentanti delle tre sigle sindacali maggiori e dei rappresentanti politici.
Mentre mi recavo in piazza, temevo che solo pochi avessero risposto all’appello, così come era successo per altre iniziative proposte e propagandate con fatica e dispendio di energie, invece è stato bello vedere finalmente tanta gente disposta ad uscire di casa per prendere posizione (mettendo da parte i particolarismi che dividono), in difesa dei principi democratici sanciti dalla nostra Costituzione.
Ed è stato ancor più bello vedere quanti giovani abbiano sentito il dovere di partecipare: dalla loro capacità di discernere da quale parte stare dipenderà il futuro del nostro paese.