Operatori, Servizi, Formazione

Operatori, Servizi, Formazione

lia tostatiD. è arrivato al CD accompagnato dalla figlia, affaticata e preoccupata per il padre affetto da Alzheimer con disturbi del comportamento. Era capitato, più di una volta che fosse uscito di casa e si fosse perso nel quartiere. Conosciuto da vicini e negozianti, era sempre stato riaccompagnato a casa. Ultimamente, ci dice la figlia, oltre alla perdita di memoria, e qualche fuga, erano iniziati anche altri disturbi: afasia, affaccendamento e wondering, ma soprattutto difficoltà nell'assistenza durante l’igiene che D. non accettava ribellandosi.
Durante il colloquio di pre-ingresso avevamo saputo dalla figlia che D. aveva un’officina meccanica con alcuni operai che lavoravano per lui, era abituato a dirigere e non ad essere diretto, era estremamente preciso addirittura pignolo, la sera quando finivano di lavorare e tutti andavano a casa lui rimaneva in officina a sistemare ordinatamente tutto quello che era stato messo giù di posto ed a spazzare e pulite dappertutto.

Quando è arrivato al CD subito ci ha chiesto cosa doveva fare, abbiamo cercato di coinvolgerlo nelle attività del centro già strutturate ma lui di giocare a tombola, leggere il giornale, fare ginnastica non gli importava nulla, brontolava dicendo che quelle cose non servivano a nulla, infatti, non riconoscendole come attività utili, cercava di uscire dal Centro Diurno ed andarsene.
I primi giorni sono stati molto difficili, l’abbiamo lasciato libero di uscire dalla sala comune e di andare in giro da solo per la struttura, seguendolo a distanza. L’abbiamo osservato mentre prendeva scopa e paletta per spazzare, noi abbiamo cercato di farci conoscere stando con lui, chiacchierando al fine di riuscire ad instaurare una relazione di fiducia.
Lui ci chiedeva: “Cosa faccio qui?” “Quando vado a casa?” “ Dov’è mia figlia?” Noi rispondevamo che era al Centro Diurno, che sua figlia era a lavorare e che siccome stare a casa da solo non era bello, veniva qui con noi per stare in compagnia.
Queste risposte bastavano per una decina di minuti poi le domande ricominciavano e noi di nuovo a ripetere.
Rassicurarlo, farci conoscere e conoscerlo è stato utile all’inizio ma poi abbiamo dovuto organizzare un piano di lavoro personalizzato. Per tranquillizzarlo inizialmente abbiamo quindi utilizzato la tecnologia: abbiamo registrato sui nostri telefonini un video-messaggio della figlia che diceva le nostre stesse cose ma che dette da lei erano molto più convincenti: D. dopo aver “parlato” con la figlia era più tranquillo.
Abbiamo poi cercato di capire cosa lo facesse agitare, l'abbiamo osservato, ascoltato ed abbiamo seguito il nostro programma di analisi dei dati, identificazione dei problemi e dei disturbi del comportamento per poi produrre un Piano Assistenziale Individuale (PAI) con obiettivi ed interventi mirati al controllo dei suoi disturbi del comportamento.
Siamo partiti da una valutazione multidimensionale completa così strutturata:

VALUTAZIONE MULTIDIMENSIONALE
1) Storia dell’anziano: abbiamo cercato di reperire più informazioni possibili dalla figlia durante l’incontro di pre-inserimento ed anche nei giorni successivi visto che d. al cd sembra piuttosto irritabile e oppositivo, nonostante in passato avesse frequentato un centro territoriale. D. viene descritto dalla figlia come persona molto precisa, riservata, seriosa, chiusa, poco espansiva e con scarse manifestazioni di affettività nei confronti della famiglia. Instancabile lavoratore, titolare di una piccola officina meccanica. A casa, nel periodo precedente all’ingresso in C.D., camminava incessantemente, con frequenti tentativi di abbandono dell’abitazione.
2) Tipo e grado di demenza/ deficit cognitivo: demenza vascolare in fase moderata di malattia e con associati disturbi del comportamento condizionante e necessità di supervisione continua.
3) Valutazione della disabilita’: secondo le scale di valutazione delle abilità della vita quotidiana ADL (4/6), IADL(2), BARTHEL( 79), e la scala per la valutazione della non autosufficienza bina (360).
4) Valutazione dei disturbi del comportamento (BPSD):valutazione fatta attraverso l’ NPI (45/144)(i disturbi più rilevanti: attività motoria, ansia, irritabilità, disinibizione, poca partecipazione ad attività condivise con altri utenti).
5) Valutazione infermieristica: in riferimento a alvo e diuresi la persona è regolare; per temperatura e pressione i valori sono nella norma; la persona alla valutazione del dolore con apposita scheda, non manifesta alcun sintomo.
Dopo aver compilato le schede di valutazione abbiamo cercato di capire che cosa scatenasse i suoi disturbi del comportamento.

IPOTESI DI CAUSE SCATENANTI I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO
A. Correlate alla salute fisica ed emotiva della Persona: il Sig. D. manifesta atteggiamenti di irritabilità nelle situazioni di maggior contatto con gli altri utenti e per un tempo prolungato, dato il carattere riservato e chiuso descritto dalla figlia ed avendo condotto, dopo il decesso della moglie, una vita in solitudine (per es. anche condividere il tavolo con un altro utente predispone D. ad atteggiamenti di irritabilità ed aggressività). Quotidianamente verso le 16,30-17,00 inizia ad agitarsi e va in ansia per l’incertezza del ritorno a casa.
B. Dipendenti dall’ambiente circostante: Ambiente confusivo (per esempio feste, altro anziano che chiama ad alta voce, la lettura del giornale con microfono); Ambiente non riconosciuto (per esempio quando non ritrova gli spazi del CD, perché non individua il percorso e si “perde”);
C. Correlate all’attività proposta alla persona: Ricordargli alcune attività di cura (per esempio andare in bagno prima di andare a casa oppure eseguire una corretta igiene); Proporgli attività che per lui non abbiano uno scopo e che non siano “produttive” (per esempio rifiuta attività ludiche come il gioco di carte, la tombola)
D. Connesse con le interazioni interpersonali: Le situazioni di maggiore riservatezza (per esempio il rapporto 1 a 1 con l’operatrice) risvegliano comportamenti di disinibizione, anche nei confronti della figlia. Quando è impegnato in una attività, l’interferenza di altre persone lo innervosiscono.
Ci siamo detti anche che sicuramente D. fa fatica ad accettare il CD.
Il cambio di ambiente ha procurato ansia ed agitazione, inoltre chiede continuamente di andare a casa, a che ora arriva il pulmino ecc. Cammina incessantemente anche in giardino e dice di voler tornare a casa. Gli OSS non riescono a coinvolgerlo in nessuna attività. È facilmente irritabile e spesso agitato, ha atteggiamenti di disinibizione dei confronti degli OSS.

DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI
Favorire il benessere psico-fisico nella fase di accoglienza e permanenza al CD
Gestione dei disturbi del comportamento
Finalizzare il bisogno di camminare incessantemente

PROGRAMMAZIONE DEGLI INTERVENTI
1. Intervento di terapia occupazionale e sull’ambiente: in accordo con la famiglia si lascia libero D. di muoversi in tutti gli ambienti del centro, compreso il giardino. Gli proponiamo una attività legata alla spazzatura delle foglie ed al riordino del giardino, che D. organizza in modo autonomo. Chiedergli, a lavoro concluso, se è andato tutto bene e gratificarlo.
Si predispone scopa e paletta sempre nello stesso posto sotto il porticato e in sala CD vicino al bagno, cosicché D. riconosca le attrezzature e le prenda quando ha voglia di fare l’attività. Ha anche manifestato interesse per i piccioni, per cui si può predisporre il pane vecchio spezzettato e proporgli se vuole andare a dare da mangiare ai piccioni.
2. Interventi per i disturbi psicologici e comportamentali (approccio/comunicazione,): al momento dell’arrivo al centro, D. va accolto in modo rassicurante e non coinvolto in attività, in quanto abbiamo osservato che tende a riposarsi sulla sua poltrona in sala CD. Quando chiede della sua casa e di sua figlia, possiamo fargli vedere il video-messaggio della figlia, in cui lo saluta e gli ricorda che si vedranno a casa alle 18 circa, quando ritorna dal centro con il pulmino. Quando è particolarmente agitato, tranquillizzarlo, ricordandogli dove si trova, il giorno, l’indirizzo di casa, e che alla sera torna a casa dalla figlia. Se non serve, scrivere un biglietto con l’indirizzo di casa, che D. si mette in tasca e ciò sembra per ora rassicurarlo. Il tono sorridente ed ironico, viene da lui accettato e serve a smorzare certe sue arrabbiature. Quando vede arrivare il pulmino, dato che inizia spesso ad agitarsi, rassicurarlo e ricordargli l’indirizzo di casa anche davanti agli autisti, ciò aiuta a dargli fiducia anche nelle persone che lo porteranno a casa.
3. interventi di inclusione sociale/socializzazione: per favorire che si alimenti in sala da pranzo con gli altri utenti e non in saletta CD da solo, predisporre un tavolo senza altri compagni. Controllare che ci siano sempre tutti i materiali (cavatappi, coltello, tovagliolo ecc.), perché se manca qualcosa a tavola si mette in ansia. Favorire continuità con le abitudini dei pasti a domicilio.
4. iInterventi ambientali e strutturali: Ricordargli quale è la sua poltrona personale presso la sala CD, lasciarla libera da panni e cuscini, per facilitarne il riconoscimento.

CHI ATTUA QUESTI INTERVENTI: gli OSS, l’Animatrice, l’Infermiere, la RAA, gli autisti del pulmino, il famigliare.
QUANDO E PER QUANTO TEMPO: durante tutte le ore di permanenza al CD e tutti i giorni per 1 mese fino a verifica e nuovo PAI.
IL PAI: UN LAVORO D’EQUIPE
Tutto quello che ho descritto sopra è stato pensato, discusso e validato nell’incontro d’èquipe in cui si è poi compilato il PAI.
All’incontro e alla compilazione del PAI hanno partecipato: la RAA che ha coordinato e indirizzato il lavoro dell’èquipe, tenendo conto delle informazioni sociali reperite dal famigliare, gli O.S.S. che hanno compilato le schede NPI, ADI, Braden, e portato- assieme alla loro esperienza decennale- le osservazioni e le proposte degli interventi sopracitati, l’Infermiera che ha portato la sua valutazione infermieristica correlata dalle schede di valutazione della non autosufficienza e l’animatrice che ha condiviso le sue conoscenze nel campo della terapia occupazionale.
Dopo la compilazione del PAI la figlia è stata informata ed ha condiviso con noi le decisioni prese.

CONCLUSIONI
Dopo un mese D. appare più tranquillo e ci riconosce, si orienta e sa dove prendere la scopa e la paletta per spazzare il giardino; questo lo occupa parecchio tempo durante il giorno, per cui non chiede di andare a casa, solo verso le 16.30 inizia a chiedere notizie del pulmino ma il video messaggio funziona.
Non amando la confusione dopo pranzo riposa da solo in una sala attigua al CD, durante le feste partecipa ma dopo mezz’ora per evitare che la confusione lo agiti lo si accompagnava fuori. La scheda N.P.I. ( che valuta i disturbi del comportamento) da 45/144 è scesa a 19/144. Nella scheda i dati sul cammino incessante e l’agitazione sono calati ma ancora importanti, mentre l’irritabilità , la disinibizione e l’ansia sono molto calate.
D. libero di muoversi e di “trafficare “ in autonomia con scopa e paletta, indirizzato e accompagnato da operatori accoglienti, tranquilli e consapevoli delle sue problematiche vive il CD come un luogo famigliare, anche noi siamo meno affaticati e più pazienti: abbiamo fatto un buon lavoro..sorride spesso mentre parla con noi.
Il suo sorriso ci ricorda che una buona accoglienza e presa in carico insieme al lavoro in equipe sono fondamentali nel lavoro di cura, il suo sorriso non possiamo scordarcelo anche oggi che non c’è più.

rossella romeoIl convegno "Tecnologia e innovazione dei servizi pubblici e privati per gli anziani", ideato e organizzato da Fondazione ASPHI, ha fatto il punto sugli ultimi dieci anni di attività dedicata al mondo degli anziani, iniziata con un progetto sull’ascolto degli audiolibri (Ascoltalibri) e sviluppata in tutti i contesti di vita, dalle RSA ai centri diurni, fino ad approdare al domicilio, proprio in piena emergenza sanitaria.
In questo percorso sono stati numerosi i compagni di viaggio che con cui sono state realizzate queste sperimentazioni che hanno introdotto la tecnologia nel processo di cura e di assistenza delle persone anziane.
Per coinvolgere e valorizzare tutte queste collaborazioni il convegno ha occupato tutta la mattinata del 15 dicembre scorso e buona parte del pomeriggio:
Dalle 9.30 alle 11.30: Presentazione del progetto Domicilio 2.0 - La sperimentazione di un modello di cura socio sanitario per la qualità di vita degli anziani con decadimento cognitivo e dei familiari: esperienze e risultati del progetto Domicilio 2.0, con riflessioni e prospettive sull’innovazione dei servizi.
Dalle 11.30 alle 13.00: Tavola rotonda - Tecnologie assistive e servizi per la cura della persona anziana fragile in un modello di welfare socio sanitario di comunità.
Dalle 14.00 - 16.00: Seminario - Esperienze di innovazione dei servizi socio-sanitari: modelli organizzativi, formazione e tecnologie assistive
Queste sono state le principali testimonianze
• Medici, psicologi, educatori, esperti di anziani fragili
• Ricercatori universitari per la valutazione dell’impatto sociale delle attività svolte
• Centri di ricerca per l’innovazione dei servizi alla persona
• Rappresentanti istituzionali: Comune di Bologna, Aziende Pubbliche di Servizi alla Persona di vari territori e Città Metropolitane, AUSL, Regione Emilia Romagna e Lepida
• Cooperazione sociale, realtà pubbliche territoriali e imprese private che svolgono un ruolo importante nella gestione dei servizi
Proprio in apertura del convegno, è stato presentato il progetto Domicilio 2.0 che ha sperimentato un nuovo modello, che favorisce la permanenza delle persone anziane al proprio domicilio e nel loro contesto familiare, attraverso l’uso della tecnologia e il coinvolgimento del sistema dei servizi pubblici e socio-sanitari.
Ha coinvolto una categoria particolarmente fragile, gli anziani con demenza lieve o moderata, ma anche familiari e caregiver, con l’obiettivo di conservare e migliorare le autonomie e complessivamente la qualità di vita dei soggetti direttamente interessati.

2.Foto convegnoASPHI1.foto convegno ASPHI

Nell’ambito di un sistema già esistente di cura a domicilio e nella rete dei servizi, sono state inserite in maniera mirata e graduale alcune tecnologie di uso comune appositamente personalizzate, finalizzate al mantenimento e allo stimolo degli interessi e delle relazioni, e come sostegno alle attività quotidiane.
Inoltre sono stati sostenuti e incoraggiati alcuni comportamenti legati a uno stile di vita in linea con indicazioni di carattere sanitario per la cura e il funzionamento, sia degli aspetti cognitivi sia di quelli motori.
Un aspetto importante ha riguardato la parte di formazione degli operatori socio sanitari che hanno svolto il ruolo di mediatori di questo percorso.
Il progetto ha dovuto tener conto delle ulteriori problematiche causate dell’emergenza sanitaria, ma ha fatto anche emergere dei nuovi bisogni e delle necessità legate agli ambienti di vita e alle abitudini personali, familiari e sociali.
Gli attori coinvolti oltre a Fondazione ASPHI onlus sono:
Centro per i disturbi cognitivi e demenze (Poliambulatorio Byron) - Azienda USL di Bologna,
ASP Città Di Bologna,
ASC InSieme - Unioni dei Comuni Valli del Reno, Lavino e Samoggia, Casa della Salute Casalecchio di Reno,
Unità di Valutazione Geriatrica Ospedaliera del Policlinico Sant’Orsola Malpighi di Bologna
Università degli Studi di Padova
Oltre alle azioni che riguardano direttamente le persone coinvolte, il progetto intende realizzare una “messa a sistema” di questo modello, attraverso un’accurata documentazione, la rielaborazione dei dati emersi per la definizione di linee di indirizzo per la replicabilità dell’esperienza. Gli sviluppi futuri infatti prevedono una creazione di veri e propri Centri di competenza di riferimento su questi temi.
Particolarmente interessante la raccolta delle storie e delle testimonianze delle persone coinvolte: gli anziani e i caregivers, gli operatori socio-sanitari, gli psicologi, i medici, i ricercatori universitari, di cui parleremo nei prossimi articoli.
La ricca documentazione del progetto Domicilio 2.0 e del convegno è anche disponibile sul sito di ASPHI a questo link:
https://asphi.it/contenuti-extra-convegno-15-dicembre/
Per informazioni: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Fondazione ASPHI onlus
La Fondazione ASPHI Onlus si occupa dal1980 di promuovere l’inclusione delle persone con disabilità in tutti i contesti di vita attraverso l’uso delle tecnologie digitali.
Partendo proprio da questi contesti in cui si trovano le persone con disabilità e i loro bisogni, attraverso un’attività di ricerca mirata sulle tecnologie digitali, facciamo in modo che attraverso azioni di sensibilizzazione, comunicazione, formazione e consulenza si realizzino i necessari adattamenti e cambiamenti che incidono concretamente nella qualità di vita.
I nostri ambiti di attività sono: scuola, lavoro, fragilità/anziani, trasformazione digitale del terzo settore, accessibilità informatica, ricerca, diffusione e sensibilizzazione.
La nostra comunità di riferimento comprende persone con disabilità, associazioni, aziende, mondo del lavoro, enti pubblici e privati, di ricerca e formazione, istituzioni, strutture socio-sanitarie, scuola, università
I nostri principi guida sono:
•Competenza: risorse umane qualificate per la progettazione ed il controllo delle attività
•Affidabilità: raggiungimento dei risultati nei tempi e nei costi previsti
•Correttezza: trasparenza dei rapporti con partecipanti, utenti e partner
•Collaborazione: capacità di lavorare con altri e “fare rete”

 

lia tostatiA inizio gennaio il virus è tornato in una nuova variante e con lui si è dovuta riprendere l’organizzazione dell’anno scorso: chiusura ai parenti, suddivisione rigorosa a nuclei per anziani ed operatori, riduzione delle attività di animazione, isolamento preventivo degli anziani nelle camere, contatto solo con il compagno di stanza (se possibile distante) e unico momento di relazione il contatto con gli operatori per le cure igieniche, l’alimentazione e i bisogni primari.
Tornare nelle proprie stanze ha significato per gli anziani che anche quel poco di socialità che si poteva avere stando in corridoio non c’è più.
All’inizio del mese M. si è ammalato, febbre, tampone positivo.
Isolamento per lui e per i contatti: il suo compagno di camera e la sig.ra G.con cui M. trascorreva le giornate.
Lui e lei si erano conosciuti l’anno scorso quando lei, con una diagnosi di Alzheimer precoce in stadio medio grave e disturbi del comportamento era entrata in struttura nello stesso nucleo di M, anche lui con Alzheimer e qualche disturbo del comportamento.
M. è un bell’ uomo, galante, un po’ birichino e chiacchierone. Seduti vicini, un po’ più giovani e carini degli altri, si sono piaciuti e stando spesso insieme sono diventati teneri amici. Quando lei decideva di tornare a casa, lui le diceva che l’avrebbe accompagnata, e così entrambi si recavano spesso al centralino per andare a casa di lei , al centralinista lui chiedeva dove abitasse la sig.ra per poterla accompagnare! Gli operatori intervenivano dicendo di non saperlo e cercando di distrarli. Un po’ a fatica, si riusciva a convincerli ed insieme tornavano nel salottino.
Oggi entrambi sono in isolamento, ognuno in camera singola, dove per altro fanno faticano a stare.
Ed ecco che tutto il lavoro fatto per far avvicinare le persone tra di loro in base alle loro capacità, ai loro gusti, ai desideri di amicizia, in base alle informazioni raccolte dai parenti sui gusti e sulle abitudini, si va perdendo; dentro questa pandemia, ognuno è solo.
L’incontro di queste due persone è stato fortuito, per caso, il posto era solo lì, il posto donna libero era solo nel nucleo dove era lui, l’affetto nato tra loro non era prevedibile, invece diventa prevedibile e attuabile un buon inserimento se questo viene programmato come si deve.
Ora c’è questa pandemia e non si fanno inserimenti, ma finirà e mi chiedo cosa faremo dopo e cosa vogliamo mantenere della nostra organizzazione passata.
Credo che l’incontro con i famigliari dell’anziano e con l’anziano stesso, se possibile, prima dell’inserimento in struttura, sia necessario in quanto l’ingresso di un anziano in CRA, è un momento molto delicato, per l'anziano e per la sua famiglia, che vede coinvolta l'intera equipe socio-sanitaria.
L’anziano e i familiari devono affrontare un significativo cambiamento nella loro vita ad importanti modificazioni, come la perdita parziale o totale dell'autosufficienza, l'isolamento sociale e relazionale e l’affidamento assistenziale ad altri.
L'accoglienza è, quindi, un momento fondamentale per la reciproca conoscenza, al fine di poter individuare i bisogni per un benessere bio-psico-sociale dell’utente e definire un primo piano assistenziale individualizzato, mantenendo l'individualità e autostima della persona.
In CRA esistono dei protocolli che indicano quelle che sono le fasi e gli obiettivi da perseguire per una buona presa in carico.
Gli obiettivi che ci prefiggiamo forse sono alti ma possiamo riassumerli così.
1) accogliere l'utente e la sua famiglia
2) garantire benessere bio-psico-sociale dell'utente
3) raccogliere i dati fondamentali sull'utente per dare continuità all’azione assistenziale
4) evitare isolamento sociale durante l’inserimento
5) ridurre lo stress da istituzionalizzazione

Accogliere l’anziano e la sua famiglia
I famigliari e l'anziano stesso, se possibile, vengono invitati in CRA, alcuni giorni prima dell’effettivo inserimento, la presa in carico coinvolge tutti i ruoli presenti nella casa residenza, ogni figura ha dei compiti specifici legati alla propria professionalità, ed devono operare in sinergia per il raggiungimento delle finalità del servizio.
Durante il colloquio sono presenti: la RAA, il coordinatore infermieristico, l'OSS tutor, che sarà presente anche la mattina dell’arrivo dell’anziano, il fisioterapista e l'animatrice; per una parte del colloquio sono presenti il coordinatore di struttura per saluto di benvenuto e conoscenza e la segreteria per raccogliere e fornire informazioni di tipo amministrativo. In questa fase la famiglia ha la possibilità di conoscere le figure referenti, a cui fare riferimento in base alle specifiche competenze di ruolo. L’equipe cerca di instaurare un rapporto empatico, di compartecipazione con l'anziano e i familiari, di ascolto, valorizzando la famiglia come risorsa fondamentale per il benessere dell’anziano.
Ogni figura, per il proprio ruolo, raccoglie le informazioni di propria competenza, alcune di queste informazioni sono già in possesso degli operatori attraverso la documentazione ricevuta dai servizi sociali, ma nel colloquio diretto col famigliare e con l’anziano, ha la possibilità di cogliere quelle sfumature emozionali, di relazione tra le parti, di aspettative, che non sono scritte nei documenti ma che si possono cogliere tra le righe di questo dialogo.
La comunicazione col parente deve essere una comunicazione chiara e sincera atta a stabilire un rapporto di fiducia tra il parente e gli operatori della struttura in modo che il parente si senta tranquillo di esprimere agli operatori i dubbi, le paure le perplessità che ha rispetto all inserimento in struttura e alle cure che faremo al proprio caro.
La serietà, la fiducia e l'onesta che ci deve essere in questo rapporto, permettono di aprirsi a un dialogo costruttivo dove entrambi gli interlocutori possano esprimere con chiarezza quelle che sono le azioni che può mettere in campo l'organizzazione, e quelli che sono i bisogni, i gusti e le abitudini della persona.
La relazione col parente è una relazione che si instaura in itinere , non è mai definitiva, è una relazione che va curata e si costruisce nel tempo.
Se si riesce ad instaurare una relazione reciproca ed onesta, i problemi che potranno sorgere nella quotidianità si potranno risolvere, tutti gli attori presenti, potranno così, mantenendo una buona relazione tra di loro, contribuire al benessere della persona.

 

 

 

 

lia tostatiRiflettevo con una mia ex collega a cena che, solo qualche anno fa, se avessi dovuto inserire un genitore in una RSA o CRA della mia città non avrei avuto dubbi a farlo.
Ero sicura che lui avrebbe trovato un assistenza sanitaria più che adeguata, una assistenza sociale ottima, attività ricreative e di animazione, ma soprattutto una ambiente famigliare che avrebbe tenuto conto delle sue esigenze e che gli avrebbe fatto trascorrere senz’altro meglio che a casa con una badante, il tempo di vita che gli rimaneva. Oggi non so se sarei così serena nel farlo.
Certo inserire un proprio caro in una struttura per anziani è spesso una scelta che si fa proprio quando I figli non riescono più a gestire la situazione; oggi come oggi è diventata una scelta ancora più difficile sia per il COVID che per il fatto che a seguito di questa pandemia le strutture non sono più le stesse.
Mi è capitato anche ultimamente di accogliere in Cra una signora anziana con una diagnosi di Alzheimer in fase avanzatissima accompagnata da una figlia in lacrime durante tutto il colloquio di ingresso.
La figlia convivente non era sola nella cura, c’era un'altra sorella che non approvava l’inserimento in CRA, ma che non dava un grande aiuto nella gestione della mamma.
Una mamma con una malattia di Alzheimer in fase medio-grave, afasica, con problemi comportamentali di difficile gestione, seguita a casa quasi esclusivamente dalla figlia ormai allo stremo delle forze.
Non ho potuto far altro che rassicurare la figlia esausta, dicendole che non avrebbe potuto fare diversamente, se non voleva soccombere essa stessa, mentre lo dicevo mi chiedevo se saremmo stati in grado di darle tutta l'assistenza di cui la mamma avrebbe avuto bisogno.
In quell'istante, mi è venuto un dubbio, che qualche tempo fa non avrei mai avuto: in questo momento in cui gli anziani in Cra sono ancora suddivisi per nuclei, spesso stanno nel corridoio del proprio nucleo e distanziati o soli in camera, se vanno in animazione devono stare distanziati e con una mascherina, le attività ricreative sono ridotte e gli OSS sono stanchissimi, diamo una buona assistenza? O solo un'assistenza sufficiente?
Sicuramente questo virus ha sconvolto noi e l’organizzazione, ci siamo dovuti trasformare modificando ogni giorno gli obiettivi che ci eravamo prefissi come struttura e cioè essere una “casa” per i nostri anziani, una casa dove si è liberi di muoversi, uscire in giardino, chiacchierare con chiunque, vivere delle relazioni sociali libere da costrizioni.
La sfida che questa pandemia ci ha portato ad intraprendere è stata quella di provare ad organizzare le attività il meglio possibile nella difficoltà.
L’animatrice ha dovuto riorganizzare le attività per nucleo, e dove non c’erano gli spazi sufficienti ha dovuto limitare i partecipanti alle attività, alcune attività come la cucina sono state molto ridotte se non eliminate, la tombola ha richiesto l’uso di cartelle usa e getta e segnalini personali, per non parlare del canto, un attività presto abolita perché difficile da fare portando la mascherina... peccato... perché cantare insieme è una attività che coinvolge tutti, anche le persone più compromesse dal punto di vista cognitivo.
Per fortuna ascoltare musica, vedere un film o un documentario e fare piccoli laboratori creativi è ancora possibile anche se a piccoli gruppi e in modo ridotto perché l’animatrice è una sola e deve dividersi nei nuclei.
Mancano abitudini e avvenimenti che erano fondamentali nella vita degli anziani: la possibilità di uscire all’esterno: fare gite, andare a teatro, al museo ecc…
Mancano le visite di chi da fuori veniva dentro: i volontari, i ragazzi del servizio civile, il suonatore di fisarmonica, le coriste, chi veniva per fare festa con noi...
Mancano soprattutto, perché molto ridotta, la possibilità per gli anziani di vedere i propri cari che prima del COVID-19 entravano ed uscivano liberamente dalla CRA come fosse casa loro, casa nostra,... la casa di tutti!
Oggi i parenti possono vedere i loro cari solo previo appuntamento 1 o 2 volte alla settimana a seconda del regolamento e per un tempo che varia dai 20 ai 40 minuti. Questo deve avvenire in spazi dedicati, dopo aver espletato le formalità burocratiche richieste.
È incredibile come anche gli anziani più compromessi dal punto di vista cognitivo si rianimano alla vista del parente...ho assistito a scene commoventi di anziani in carrozzina immobili e spesso assenti, che al suono della voce della figlia o del figlio si risvegliavano e riuscivano a fare un sorriso o dire una parola.
In questi due anni la tecnologia ci è venuta in aiuto per mantenere un contatto con le famiglie.
Durante il lockdown abbiamo allestito stanze per gli abbracci, usato il tablet e i telefoni per mantenere un contatto con le famiglie, anche le persone ammalate e in isolamento hanno così potuto comunicare con i propri cari e sentirsi meno soli.
Tutta questa tecnologia, però, va gestita, con qualcuno che sia a disposizione e abbia tempo per seguire le visite, le chiamate, relazionarsi con i famigliari ecc... Attualmente in molte strutture questo lo fa la RAA del nucleo, e saltuariamente quando non è presente lei, l’animatrice o l’OSS.
Il ruolo della RAA come tramite tra la struttura e l’esterno è fondamentale oggi più che mai: lei conosce la situazione sanitaria e assistenziale dell’anziano, lei può parlare al parente con cognizione di causa, a volte capita che se l’anziano è stanco o assopito o semplicemente non è in grado di sostenere una conversazione a lungo, il parente finisca per parlare quasi esclusivamente con la RAA che diventa colei che spiega, racconta, chiarisce, aiuta e che finisce per essere di supporto quasi più al parente che all’anziano stesso.
Il tempo che le RAA stanno dedicando alle visite dei parenti è un tempo importante che sicuramente tolgono ad altre mansioni, ma che, a mio avviso, permette di instaurare col parente, in questo periodo così difficile, quel clima di fiducia reciproca indispensabile per garantire e gestire il miglior benessere agli anziani.

salvatore raoLogo La bottega del possibile “La Bottega del Possibile” è un’Associazione di Promozione Sociale, che si costituisce il 24/01/1994 con sede in Torre Pellice (TO) avendo per finalità la diffusione della cultura della domiciliarità, divenuta nel tempo il riferimento nazionale per tutti coloro che operano nel campo dei servizi e degli interventi di sostegno alla domiciliarità.
A distanza di tempo, siamo orami prossimi a festeggiare i suoi 28 anni, la mission de La Bottega del Possibile continua a restare la promozione della cultura della domiciliarità, questo è l’abito sociale che continuiamo ad indossare; ma tale promozione è stata fin dall’esordio sostenuta attraverso la programmazione e l’erogazione di alcuni seminari.
La formazione è sempre stata un pilastro fondamentale tra le attività dell’Associazione. Nei primi 13 anni della sua vita, Bottega ha gestito in proprio svariati corsi Adest prima e OSS poi. Ma nel momento in cui occorreva scegliere se trasformarsi in una agenzia di formazione, i soci decisero che era opportuno mantenere lo status di Associazione di promozione sociale, da allora venne scelto di occupare uno spazio nel campo, che potremmo annoverare, della formazione continua. “Bottega” si propose quindi come una sorta di agenzia formativa non accreditata, come un luogo di ”sosta e di pensiero”, come luogo nel quale gli operatori dei servizi sociali e sociosanitari potevano trovare nuovi stimoli, nutrimento alla loro motivazione, accrescere le loro competenze e conoscenze anche attraverso lo scambio delle esperienze.
I seminari, che sono stati sempre proposti, si sono sempre caratterizzati su un impianto in cui erano sempre presenti contributi teorici di alto profilo, ma anche operatori di profili professionali diversi, impegnati nella realizzazione di progettualità innovative.
Multiprofessionalità e multidisciplinarietà sono gli assiomi sui quali si è sempre lavorato. Altresì, su un modello che inducesse gli operatori a riflettere sul loro agire, a porsi delle domande, ad essere operatori domandieri e con spirito critico; da qui una formazione che potesse accrescere una cultura del prendersi cura, utile per riportare al centro la persona anche all’interno di organizzazioni complesse.
Premettendo che nel luglio 2011 il Consiglio Nazionale Ordine Assistenti Sociali ha deliberato l’accoglimento della richiesta di accreditamento come agenzia privata per la formazione continua e, a partire dallo stesso anno, abbiamo cominciato ad accreditare i nostri eventi ECM, inizialmente attraverso una convenzione con l’ASL To 3 e poi, dal novembre 2017, in autonomia come provider privato.
Una attività quella formativa che man mano si struttura in un programma annuale denominato “La Borsa degli Attrezzi”. Si tratta di un ciclo di eventi formativi che possono essere di mezza giornata, una giornata intera o due giorni e che sono aperti a tutti ma rivolti specificamente ai soggetti che operano, a vario titolo, nel sistema dei servizi socio-sanitari.
La Borsa degli Attrezzi è divisa in filoni che, con poche variazioni nel corso del tempo, sono stati sostanzialmente incentrati su questi temi:
- Welfare
- Disabilità
- Le professioni socio-sanitarie
- Le demenze
Il tutto chiaramente sempre collegato al fil rouge della nostra mission.
Stimiamo di aver coinvolto, nel corso del tempo, diverse migliaia (sicuramente oltre 15 mila) di operatori ai nostri seminari. Ed è indubbio che questo rapporto- entrare in contatto-ci ha permesso di assistere ai cambiamenti che sono avvenuti sia nel corpo delle varie professioni sia nel sistema dei servizi.
Va anche evidenziato che “Bottega” ha sempre cercato di porre una particolare attenzione alla figura dell’OSS, una figura di base ma non di basso livello, essendo anche la figura che più di ogni altro è a con-tatto con la persona fragile e con ridotte autonomie. Un “pilastro portante” del sistema delle cure domiciliari ma anche residenziali, l’operatore ponte essendo colui che interagisce con le diverse figure che sono coinvolte nell’attuazione del piano assistenziale personalizzato. In relazione a questo nostro sguardo e considerazione abbiamo sempre ritenuto utile e doveroso promuoverne la figura, essendo un figura professionale che necessita di essere sostenuta, riconosciuta, valorizzata perché chiamata ad occuparsi di una persona fragile, spesso malata, poco autonoma.
Uno dei cambiamenti forse più vistosi, a cui abbiamo assistito, è quello sulla figura dell’OSS. Una figura professionale fatta nascere per fare ordine, riportare sotto un unico profilo riconosciuto a livello nazionale, tutti quei profili professionali di base che venivano formati a livello delle singole Regioni, nonché per operare sia nel settore sociale che sanitario. Ci ritroviamo ancora a distanza di vent’anni con realtà regionali molto diverse, alcune delle quali continuano anche a formare profili diversi dall’Oss; ma il suo campo di impiego sembra essere sempre più verso il settore sanitario, è in atto un processo di sanitarizzazione anche di questo profilo professionale.
Questo processo a sua volta accentua il carattere prestazionalista a scapito della relazione. Il tempo riconosciuto per la relazione e la cura della relazione, sono due ambiti verso i quali oggi sembra esservi non più quello spazio e riconoscimento che invece servirebbe, per consentire a questi operatori (ma potremmo dire ad ogni operatore) di entrare in relazione con la persona di cui si è chiamati a prendersi cura. Essendo, almeno per noi, la relazione che dà senso e significato anche alla prestazione, altrimenti questa rischia di essere arida, distante anche dalle aspettative e dai desideri di quella persona verso la quale si è chiamati a prendersi cura.
Il processo di sanitarizzazione dei profili professionali certamente coinvolge altre figura del sociale, ad esempio quella degli educatori.
Certamente notiamo che i profili sanitari sono certamente più spinti a privilegiare una formazione tecnico/professionale, ma vi è anche un largo interesse, anche di questi operatori, a seguire quei seminari nei quali vengono proposte lo scambio delle esperienze, potremmo dire che c’è una forte attenzione a conoscere realtà nelle quali si sono sperimentati processi di riorganizzazione, di attivazione di nuovi servizi e il riposizonamento di alcune figure professionali.
I settori sui quali abbiamo registrato un interesse crescente sono nel campo delle disabilità, delle demenze, delle cure domiciliari. Ambiti che interrogano in generale il mondo dei servizi; la struttura territoriale delle cure domiciliari, i processi e i luoghi deputati al prendersi cura, le organizzazioni, le diverse figure professionali e il loro agire come operatori professionali; interroga le organizzazioni sullo spazio che viene riconosciuto per promuovere il lavoro di rete e di comunità, le condizioni favorenti ed ostacolanti il lavoro sociale professionale fuori dagli uffici.
Le figure professionali che maggiormente siamo riusciti ad intercettare e coinvolgere sono stati prevalentemente gli Assistenti sociali, gli Educatori, gli Oss e gli Infermieri, a seguire vengono gli psicologi, medici specialisti (geriatri, psichiatri, tecnici della riabilitazione..).
Si sottolinea il fatto che la partecipazione delle varie figure professionali è indubbiamente collegata anche al tema del rilascio dei crediti formativi. Dunque è sempre prevalente il numero degli Assistenti Sociali e delle figure che devono conseguire i crediti ECM.
Inoltre, nei seminari che trattano il tema della demenza e della conseguente fatica di chi li assiste e in quelli del filone disabilità, abbiamo spesso avuto una buona partecipazione di familiari caregiver, soggetti disabili e loro familiari.
Occorre anche poter dire che da alcuni anni assistiamo ad un minor investimento degli Enti verso la formazione continua, spesso ci si limita a quella obbligatoria; molti sono gli operatori che per partecipare ad un seminario devono chiedere un giorno di ferie o pagarsi di tasca propria la quota di iscrizione richiesta, gli Oss sono certamente quelli più penalizzati da questo indirizzo, e finché non verrà reso obbligatorio anche per questa figura professionale la formazione continua, si rischia che vi sia un impoverimento crescente della figura stessa.
Il sorgere della pandemia ha certamente modificato la struttura dei seminari, le modalità organizzative, ma anche i bisogni formativi.
Le disposizioni atte a fronteggiare la diffusione del virus, il distanziamento sociale, il contesto venutosi a creare sono stati fattori che hanno sdoganato la formazione a distanza, questa ha avuto uno sviluppo inaspettato, con un’abbondanza di occasioni formative forse come non mai, una sovra offerta che ha anche inflazionato il “mercato”.
Una formazione On Line verso la quale siamo stati obbligati tutti ad orientarci, anche per non essere assenti in un momento certamente drammatico per gli operatori, sottoposti ad uno sforzo straordinario, ad uno stress di prestazione mai conosciuto prima.
Come “Bottega” ci siamo interrogati sul cosa proporre in quel momento, abbiamo quindi deciso di chiedere attraverso una piccola ricerca quali bisogni formativi gli operatori sentivamo di avere, quali disponibilità e in quali orari sarebbero stati interessati a seguire incontri On Line. Abbiamo quindi somministrato un questionario OnLine ad un gruppo di operatori, ricevendo oltre 200 risposte. Il 95% si era dichiarato interessato alla formazione a distanza, il 70% in modalità asincrona per poterne fruire negli orari più consoni; 138 erano quelli anche interessati a seguire seminari webinar.
Le tematiche uscite dalla ricerca sono state in gran parte legate al Covid-19 (es: beneficienza, diritti e giustizia sociale all'epoca del coronavirus; nuove prospettive dopo la pandemia, come ricominciare ed essere vicini a chi ha bisogno? Come organizzare l'assistenza dopo il coronavirus; la domiciliarità post Covid-19: nuove necessità, servizi, strumenti; anziani e coronavirus. Il lutto, la solitudine, le risorse; come cambierà il lavoro di cura? Come recuperare il contatto umano e sociale dopo la pandemia? L’accompagnamento al lutto ai tempi del covid 19 eccetera).
Altre tematiche emerse erano legate al concetto di domiciliarità (es: la domiciliarità per i pazienti con problematiche di dipendenza, supportare le famiglie nella domiciliarità, nuove risposte domiciliari ai bisogni di non autosufficienza, abitare inclusivo ecc…), all’area della disabilità (es: ripensare i centri diurni, l'amministrazione di sostegno a distanza di qualche anno…) dei minori e degli anziani, relative alla professione dell’Assistente Sociale e sulla programmazione/organizzazione della rete dei servizi.
E su queste tematiche abbiamo ricentrato la nostra programmazione, ma riducendo di molto il numero dei seminari e proponendoli in modalità webinar.
La partecipazione è stata soddisfacente, ma il limite di queste modalità è che viene a mancare quel clima caldo che rende possibile formare, seppur momentaneamente, una piccola comunità che si ritrova per apprendere, condividere riflessioni, pensieri e si riconosce nello scambio delle reciproche esperienze. Altro elemento critico è che con questa modalità viene a mancare in parte la ricchezza del confronto tra i partecipanti, vi è una partecipazione più passiva e infine non sono proponibili seminari che durino oltre le tre ore, anche questo contingentare i tempi va a discapito della qualità.
Concludo questo riflessione con l’auspicio che si possa tornare a riprogettare la nuova Borsa degli Attrezzi non solo in modalità a distanza. Certamente questa modalità non potrà che essere nel catalogo della nuova offerta, è nostra intenzione mettere in campo un’offerta multicanale.
 (All’elaborato ha contribuito Ombretta Geymonat, referente sistema qualità e dell’accreditamento dei progetti e seminari formativi)

 

 

lia tostatiOggi si parla molto delle attività di infermieri, medici, di chi lavora in ospedale, si tengono convegni con nomi illustri in grandi città, ma gli operatori socio-assistenziali (OSS), gli animatori, gli infermieri e i coordinatori responsabili delle CRA non ci sono...probabilmente troppo impegnati in prima linea a tenere su i servizi. Eppure tutti loro sono stati gli attori protagonisti, insieme agli anziani, dell’evento che in questo anno e mezzo ha scosso le Case Residenze Anziani (CRA) (1)...l’arrivo del virus Sars COVID-19 e le sue nefaste conseguenze.
Un virus che ha trascinato in un vortice i nostri servizi socio- assistenziali, si è insinuato nelle vite di tutti noi e prepotentemente nei luoghi dove vive la popolazione più fragile: gli anziani, colpendo le CRA e le RSA.
Gli operatori che lavorano in queste strutture sono stati magnifici, hanno dato tutto quello che potevano e forse di più... si sono fatti doppi turni per sostituire il collega ammalato, hanno rimpiazzato gli infermieri nelle competenze che consentiva loro il profilo OSS, si sono ammalati a loro volta, ma appena hanno potuto sono tornati subito al lavoro, perché gli anziani nella casa Residenza sono anche un po’ gli anziani di tutti noi. L’animatrice, la terapista della riabilitazione le responsabili delle attività assistenziali (RAA), la coordinatrice, tutti hanno fatto il loro lavoro ed anche quello di altri sostituendo, affiancando, stravolgendo l’organizzazione del lavoro per garantire la migliore assistenza possibile nell’emergenza.
Personalmente ho vissuto i primi mesi del 2020 con la preoccupazione e l’ansia che il maledetto virus potesse entrare nella struttura, dove lavoravo (2) così non è stato per fortuna durante la prima ondata. Poi nell’estate nulla è successo ed abbiamo tirato un sospiro di sollievo, sperando che fosse tutto finito, così siamo arrivati a fine anno, ma la seconda ondata ci ha travolti, nonostante la messa in campo di tutti i presidi opportuni: guanti, mascherine, gel, igienizzazioni continue delle nostre mani, degli ambienti e degli ausili e di tutto ciò che ci circondava.
Così è iniziato il “delirio Covid”...in pochi giorni da un caso positivo dopo aver fatto tamponi a tutti, siamo arrivati ad otto casi ed abbiamo iniziato a trasferire gli anziani contagiati per separarli dagli altri.
Dal mio diario: “In struttura c’è un panico controllato, si spostano gli anziani anche 5/6 in un giorno, questo mi fa pensare a chi scappa dalle guerre, a chi emigra, a chi deve lasciare la propria casa portando via solo l’indispensabile...così devono fare i nostri anziani dalle loro stanze.
Oggi la Sig.ra B. deve lasciare la sua camera, è molto angosciata, sa di essere positiva, le dico per tranquillizzarla, che è una portatrice sana del virus non avendo sintomi e non è detto che si ammalerà. Dovrà andare al piano di sopra , in quarantena, perché potrebbe contagiare gli altri. Per fortuna tutti quelli che spostiamo per ora non hanno sintomi!! B. insiste, non riesce a capire perché deve andarsene dalla sua camera visto che sta bene. B. sembra rivivere il momento in cui ha dovuto lasciare la sua casa, un anno fa, dopo aver sgombrato il suo appartamento, una casa popolare, in quanto peggiorata di salute e dopo un ricovero, essendo sola, doveva trovare una sistemazione. “Dobbiamo andare” le dico, così prendo un cambio, la trousse, la dentiera , la collana, gli occhiali e in carrozzina con lei in lacrime percorro il corridoio portandola via, cercando di consolarla dicendole che sarà per pochi giorni...resterà in isolamento quasi 2 mesi”
Così è stato per tanti anziani nei giorni a seguire, molti si sono ammalati, qualcuno è guarito, qualcuno ci ha lasciato senza poter vedere, se non in video, i parenti. Nessuno poteva entrare e chi usciva lo faceva dentro a sacchi neri.
Tutto questo gli operatori non lo possono dimenticare ed ancora se lo portano dentro, la mia preoccupazione ora è questa: ce la faranno gli OSS, gli infermieri, l’animatrice, la fisioterapista, il personale sanitario a reggere una nuova ondata?
Come operatore in prima linea quello che ho capito è che quando sei lì nel vortice pieno, e devi fare tutto il necessario, trovi delle energie che neanche pensavi di avere, non sempre riesci ad essere prudente, per esempio non ti preoccupi neanche che puoi ammalarti tu, si fa quello che va fatto, a tutti i costi, per proteggere i nostri assistiti. Si eseguono tutte le procedure previste nei protocolli operativi, anche se qualche dubbio a volte lo abbiamo avuto sulla loro reale efficacia.
E cosa è rimasto oggi delle nostre Case Residenza, i luoghi dove l’assistenza sociale era un punto di forza, che insieme all’animazione, rendeva la struttura un ambiente vivibile, quasi casa?
Oggi le CRA somigliano sempre di più a reparti ospedalieri per lungo degenti, rigidamente separati dalla vita esterna, visitatori, volontari,famigliari compresi. 
Penso che non sia quello che vogliamo noi operatori sociali  per i nostri servizi e per le CRA.
Credo che dovremmo trovare un altro modo di essere una casa (che tutela?),  senza essere lungodegenza.
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Note
(1) CRA: Casa residenza per anziani è la denominazione della Regione Emilia Romagna delle strutture residenziali per anziani non rientranti nelle RSA
(2) La CRA “Vignolese” gestita dal Comune di Modena

licia boccalettiLa prevalenza della demenza nei paesi industrializzati è circa del 8% negli ultrasessantacinquenni e sale ad oltre il 20% dopo gli ottanta anni. Secondo alcune proiezioni, i casi di demenza potrebbero triplicarsi nei prossimi 30 anni nei paesi occidentali.
La demenza è una delle maggiori cause di disabilità e di non autosufficienza tra le persone anziane in tutto il mondo, nonché una delle principali ragioni che conduce ad un bisogno di assistenza a lungo termine in contesti residenziali o domiciliari. Ciononostante le ricerche evidenziano che le competenze degli operatori sociali, sanitari ed assistenziali a tutti i livelli spesso non sono adeguate ad offrire un’assistenza davvero centrata sulla persona e rispondente all’esigenze specifiche di chi convive con la demenza. Secondo uno studio recente, la maggior parte delle disuguaglianze che le persone con demenza incontrano in tutti i contesti sanitari sono correlate alla mancanza di conoscenze, competenze, comprensione e gestione adeguata delle diverse fasi della progressione della demenza tra gli operatori sanitari.
Per validare questi risultati e per garantire che essi fossero veramente rispondenti alle esigenze nazionali, il progetto europeo Appfordem ha in primo luogo riunito e consultato un gruppo di esperti ed operatori dei settori assistenziale e formativo i quali hanno evidenziato come la prestazione che oggi viene offerta nei servizi di cura, pur di norma adeguata in riferimento ad aspetti pratici, quali l’igiene dell’assistito, la mobilitazione, la nutrizione, è carente rispetto all’aspetto relazionale e di approccio all’utente affetto da demenza. Ciò in quanto l’approccio formativo risulta sovente nozionistico e concettuale, senza che si trasmetta una traduzione dei concetti in pratiche e tecniche operative. Gli esperti hanno sottolineato come ad ora siano più la sensibilità e l’esperienza dell’operatore a dettare la buona riuscita dell’esperienza assistenziale che uno standard diffuso acquisito durante il percorso di studi. In questo contesto, oltre a carenze nei sistemi di formazione e istruzione formali (che dovrebbero concentrarsi di più sugli aspetti relazionali), la ricerca condotta nell’ambito del progetto ha anche evidenziato la scarsità di risorse didattiche aperte e liberamente accessibili rivolte a chiunque – operatore professionale, ma anche caregiver familiare o volontario - sia interessato ad ampliare le proprie conoscenze sul tema, vincolando quindi le opportunità di formazione alla disponibilità di risorse per organizzare corsi dedicati.
Per contribuire ad affrontare questo problema, il partenariato del progetto, finanziato dal programma Erasmus+, durante le sue prime fasi ha sviluppato un programma formativo in grado di fornire agli operatori assistenziali una visione globale delle demenze per affrontare i problemi quotidiani secondo un approccio basato sul modello di assistenza centrato sulla persona, rispettando la sua dignità, promuovendo il benessere dei pazienti in diversi contesti di assistenza e prestando particolare attenzione a sottolineare il ruolo della famiglia come risorsa e alleato, così come l’importanza del continuo scambio di consegne e la condivisione di osservazioni significative tra i membri del team multiprofessionale, ove presente. Un modello formativo che è stato nuovamente sottoposto all’opinione e poi validato da un gruppo di esperti esterni che hanno ritenuto che esso possa effettivamente supportare chi si prende cura di una persona con demenza, de-stigmatizzando la malattia e promuovendo il diritto a vivere bene nonostante questa.
Dopo aver progettato il curriculum formativo, il partenariato ha sviluppato sulla base di questo delle risorse didattiche che saranno messe a disposizione di chiunque, a titolo professionale o personale, voglia conoscere meglio la demenza e come approcciarsi a chi ne soffre. Si tratta di un corso in e-learning, che offre un percorso strutturato basato su risorse teoriche, esercitazioni e casi ed una app, pensata come una risorsa agile da consultare sul proprio telefono per rispondere a quesiti specifici.
Una delle principali innovazioni del progetto Appfordem risiede proprio nell’aver adottato un approccio didattico volto ad ottenere i migliori risultati dalla sinergia tra i diversi strumenti tecnologici a disposizione. Infatti, nelle lezioni strutturate del corso e-learning viene messa da parte la tecnicalità dell’assistenza al malato di demenza, per concentrarsi sugli aspetti emotivi e relazionali, oltre che sulle strategie comunicative e comportamentali da adottare per preservarne la dignità di individui portatori di bisogni unici e specifici. Al contempo, non viene dimenticato il fatto che l’operatività dell’assistenza ad una persona con demenza mette operatori e familiari continuamente davanti ad interrogativi pratici, che necessitano risposte affinché possa essere offerta un’assistenza appropriata: a questo bisogno viene in soccorso l’APP, in cui si dà risposta ai dubbi più comuni. Una combinazione vincente che consente di mirare e personalizzare la formazione rispetto agli effettivi bisogni dei destinatari.
Le risorse didattiche sono ora in fase di sperimentazione: saranno utilizzate da un gruppo di operatori assistenziali e caregiver familiari pilota e valutate in modo critico, per consentire eventuali aggiustamenti prima del rilascio definitivo. A regime, ci si attende che queste risorse possano entrare nell’offerta didattica di strutture, organizzazioni ed associazioni che intendono rafforzare le competenze dei propri dipendenti ed utenti.
Per saperne di più o per partecipare all’azione pilota è possibile contattare il partner italiano Anziani e non solo .scs all’indirizzo email info@anzianienonsolo.it o consultare il sito web: https://www.anzianienonsolo.it/online/appfordem/

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Gabriella fotoLa musicoterapia con persone affette da demenza si inserisce nei percorsi di cura che coinvolgono i pazienti colpiti nella memoria e nella loro identità.
Uno degli obiettivi dell’intervento di musicoterapia è la socializzazione. Gli incontri hanno una struttura regolare prefissata: un inizio con un canto o una strumentalizzazione di insieme, uno svolgimento con proposte di ascolto, di strumentalizzazione e sonorizzazione sulla musica ascoltata, di verbalizzazione, e infine un canto di arrivederci.
Le attività che si possono proporre sono molteplici, e dipendono dalle abilità degli utenti che sono coinvolti in un progetto di musicoterapia. La musicoterapia recettiva utilizza preferenzialmente l’ascolto di materiale sonoro-musicale preregistrato, seguito da una fase di verbalizzazione; la musicoterapia attiva utilizza invece tutto lo spettro di possibilità della produzione musicale, con particolare riguardo all'improvvisazione e all'uso della voce.
I gruppi vengono formati rispettando la parità di genere, quando possibile, dal momento che spesso vengono colpite da demenza soprattutto le donne.
In musicoterapia si utilizzano tutti gli oggetti che catturano l’attenzione delle persone e che sono utili al raggiungimento degli obiettivi prefissati. Pertanto, oltre agli strumenti musicali tradizionali (pianoforte, chitarra, ...) e didattici (strumentario Orff: tamburo, maracas, cembali, legnetti ecc..) si utilizza anche il corpo (mani, cosce, petto, gambe, voce..), nonché tutti gli oggetti che sono presenti nella stanza (tavolo, chiavi, penne, rotoli di carta, libri, tappi, barattoli, scatole, scatoloni, tubi, fogli da stropicciare, ondulare, scuotere, far volare, accartocciare a forma di palla,...ecc.) o che vengono portati dalle persone o, ancora, che vengono costruiti durante una seduta di musicoterapia.
Nel corso degli incontri si utilizzano semplici giochi ritmici e canti dando a ogni membro del gruppo un foglio con la canzone scritta anche quando le persone non sono più capaci di leggere, per dare valore alla dignità di ognuno. Per garantire a ciascuno la possibilità di partecipare attivamente, le proposte sono continuamente rinnovate nei contenuti, nella grafica e nella notazione musicale.
L’ascolto di romanze di opere liriche e di brani musicali in genere rievoca ricordi che sembravano persi stimolando la verbalizzazione, in particolare il racconto di momenti vissuti, storie inventate, balli.
Quando il gruppo verbalizza ciò che la musica ha suscitato, ognuno esprime i propri sentimenti, i propri ricordi, una propria interpretazione della realtà e tutti ascoltano chi parla indipendentemente dal genere, con un atteggiamento non giudicante. La musica inoltre permette di esprimersi senza dover usare parole specifiche, potendo comunicare anche con semplici gesti-suono e utilizzando strumenti ritmici. È capitato che persone con una malattia già avanzata portassero il proprio strumento (armonica, fisarmonica, tamburo) e fossero ancora in grado di suonarlo, accompagnando così il gruppo nella produzione sonoro-musicale.
Relativamente alle differenze di genere, nell’esperienza di chi scrive è capitato che, a fronte di proposte musicali della musicoterapista, gli uomini ricordassero di aver suonato uno strumento mentre le donne intonassero le loro canzoni preferite.
Spesso le persone con demenza diventano più disinibite nei comportamenti; arretrando in un mondo tutto loro dimenticano le diversità che la società ci impone, non fanno più distinzione di genere ma si sentono tutte uguali.
La maggior attitudine alla immedesimazione empatica, alla relazione affettiva, alla comunicazione non verbale a tonalità emotiva in questi gruppi diventa caratteristica anche degli uomini.
I nomi della nostra società definiscono un’identità femminile o maschile. Le proposte musicali fatte sono rivolte a ridurre le differenze coinvolgendo il gruppo con giochi sui nomi e sulle parole che da femminile possono trasformarsi in maschile e viceversa.
Ai partecipanti vengono proposti giochi musicali sul proprio nome, sui nomi dei propri genitori e successive verbalizzazioni.
A partire dall’ascolto di musiche popolari del passato vengono verbalizzati vissuti, come insieme di fatti sociali, culturali e biologici che si legano all’appartenenza dei due generi: le donne lavoravano in campagna o in risaia, gli uomini perlopiù in aziende con funzioni semplici. Man mano che sono passati gli anni c’è stata una maggiore parità tra uomini e donne anche nel contesto lavorativo, entrambi impegnati con mansioni esecutive in azienda; solo in tempi recenti si conoscono persone con maggiore scolarizzazione e con mansioni lavorative di concetto.
Anche oggi nella società e nella lingua italiana ci sono marcate differenze di genere. Con la musica queste differenze si attenuano; la musica non è solo un fatto maschile o femminile ma sia gli uomini che le donne hanno vissuto e vivono con sottofondi musicali che marcano momenti importanti della loro vita, aiutandoli a ricordare.
La musica agisce sull’individuo indipendentemente dalla sua volontà; il ritmo, la melodia, l’armonia sono uno stimolo che a seconda delle caratteristiche culturali, biologiche e ambientali della persona può essere variamente argomentato. Il linguaggio musicale facilita la comunicazione, il contatto e la partecipazione. Inoltre, permette all’operatore di conoscere meglio il gruppo, utilizzando la creatività.
Nonostante il progressivo deterioramento delle facoltà cognitive, in moltissimi casi le persone affette da demenza restano comunque capaci di ricordare melodie e spesso anche alcune parole delle musiche che hanno conosciuto in precedenza e si è verificato che riescono ad apprendere anche nuove melodie; la musica coinvolge l’individuo non solo sul piano emozionale ma facilita anche il riemergere di informazioni riguardanti la storia personale.
Come per ogni intervento terapeutico, anche nella musicoterapia occorre che il professionista operi all’interno di una rete di professionisti, in un’ottica di formazione, condivisione e confronto.
Gli incontri di musicoterapia, a cadenza settimanale, permettono alle persone affette da demenza di trovarsi e ritrovarsi in una attività domiciliare che permette loro di uscire dal proprio isolamento casalingo e nello stesso tempo solleva per un po’ il care-giver, che incontra altre persone con gli stessi problemi di assistenza e ne condivide le criticità, in un viaggio comune.
Di seguito racconterò la storia di due persone, una donna e un uomo, che ho conosciuto nella mia esperienza di musicoterapista.
La prima parlerà di F., una signora che ha partecipato diversi anni ai gruppi di musicoterapia, dal momento in cui le hanno diagnosticato la malattia di Alzheimer fino al progressivo aggravamento, la seconda di A, un uomo che ha sempre suonato la fisarmonica fino a quando è comparsa la malattia. Solo durante gli incontri di musicoterapia ha ritrovato la capacità di suonarla.
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F. era tra le prime persone inviate agli incontri di musicoterapia quando l'attività è partita. Il primo giorno erano presenti cinque persone, tra cui F.
Senz'altro da giovane doveva essere stata molto bella, perché alle soglie degli ottanta anni di età era alta, slanciata, ben curata per merito del marito che l'accompagnava. F. è sempre venuta agli incontri, non è mai mancata una volta.
Mentre era in corso l'attività, il marito si fermava in un'altra stanza con i parenti delle altre persone del gruppo e si confrontava, si raccontava, sostenendosi a vicenda.
F. era la leader del gruppo, la persona che parlava di più, che faceva battute, che suscitava simpatie e antipatie.
La chiamavo il nostro juke box, perché non c'era canzone che non conoscesse e che non cantasse.
Raccontava di aver cantato nel coro parrocchiale, che nella sua famiglia cantavano tutti.
Quando cantavamo Reginella Campagnola, alla fine della canzone e ogni volta, diceva in dialetto emiliano “è troppo alta!”
Parlava spesso del marito, che era bello, bravo.
Quando proponevo gli indovinelli musicali, cioè suono il ritornello di una canzone popolare e molto conosciuta con il pianoforte e chiedo di indovinare, F. rispondeva sempre per prima e riconosceva la canzone, intonandola.
Nel corso degli incontri ho visto la malattia aggredire piano piano F. Ha iniziato a nascondere i fogli delle canzoni in ogni posto, dentro una manica, nel reggiseno, sotto la gonna; ad utilizzare sempre di più il fazzoletto come un punto di riferimento sicuro, da tenere sempre in mano. Ha cominciato ad alzarsi durante l'attività, ad attirare ogni volta di più l'attenzione su sé stessa, a sentire improvvisamente caldo, ad agitarsi per l'ansia che sale contemporaneamente al progredire della malattia, ad esternare in modo eccessivo, dicendo spesso parolacce e alzandosi il vestito, a parlare di sessualità in modo sempre più disinibito.
Alla ripresa dell'attività dopo la pausa estiva, non l'ho vista. Lei, che era sempre presente, di colpo è scomparsa. L'assenza improvvisa della leader del gruppo ci ha lasciato di colpo orfani di una persona importante, a cui volevamo bene.
Alla fine degli incontri il marito di F. è venuto a salutarmi, dicendo piangendo che aveva dovuto inserirla in struttura perché, anche lui anziano, non riusciva più a gestirla. Ho cercato di consolarlo (ma cosa dici in questi casi che non sia banale?). L'ho abbracciato stretto mentre lui piangeva, aggrappandosi a me. Abbiamo vissuto insieme una parte importante di vita di F., dall'esordio della malattia all'aggressione definitiva, frequentandoci ogni settimana, nello stesso giorno e alla stessa ora.
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A. quando era giovane suonava la fisarmonica; l'ha raccontato lui stesso durante una seduta di musicoterapia. Ho chiesto allora ai suoi parenti se lo aiutavano a portarla agli incontri di musicoterapia, così è stato fatto dalla settimana successiva. Inizialmente la suonava in modo confuso ma la sua performance è migliorata nel corso delle settimane.
rrivava alle sedute trainando un piccolo carrello su cui sistemava la fisarmonica; era un modo per trasportarla meglio visto la pesantezza dello strumento. Prima di iniziare le sedute di musicoterapia apriva la custodia, toglieva il fazzolettone che copriva la fisarmonica, lo ripiegava e con dolcezza prendeva la fisarmonica. Lo stesso rituale si svolgeva alla fine degli incontri. Negli ultimi cinque minuti della seduta, prima di cantare la canzone finale, leggevo i titoli delle canzoni che avevamo cantato perché al gruppo piaceva contarle ed era per me un metodo per sollecitare la memoria; contemporaneamente chiedevo ad A. di riporre la fisarmonica. Anche in questo caso lo faceva in silenzio, cosa per lui difficile visto che parlava in continuazione, e con tanto rispetto nei confronti dello strumento.
A. accompagnava con la fisarmonica tutte le canzoni che cantavamo. Nelle pause in cui ritiravo i fogli delle canzoni e ne davo altri, improvvisava sullo strumento o suonava nuove canzoni che proponeva al gruppo.
A. spesso chiedeva a D. di accompagnarlo con i bongos e insieme suonavano diverse musiche mentre il resto del gruppo accompagnava battendo le mani e cantando. Alla fine, i due musicisti ricevevano l'applauso di tutto il gruppo. 


Bibliografia di riferimento e referenti bibliografici

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Goldoni L. Combattere la demenza, con programmi intersettoriali, superando pregiudizi, ritardi culturali e scientifici, 30 novembre -0001 in Perlungavita.it
Goldoni L., Guida alla vecchiaia per conoscere e scegliere, Index Editore, Modena 2013
Imeroni A., L’attività motoria nella grande età. Teoria e metodo, Carocci, Roma, 2001
Larocca F., Follia e Creatività, Sermitel, Roma, 1197
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Lo Cascio G., Carpi. Un'esperienza d'apprendimento: musicoterapia con persone affette da Alzheimer, Servizi Sociali Oggi, n. 1, gennaio-febbraio 2009
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Manarolo G., Borghesi M. – Musica & Terapia, Cosmopolis, Torino, 1998
Mattei G., Lungo la via Vandelli, Edizioni Artestampa, Modena, 2021
Renard C., Il Gesto musicale, Ricordi, Milano 1987
Sacks, O., Musicofilia, Biblioteca Adelphi edizioni, 2007
Trabucchi M., Le demenze, UTET, Torino, 2000