Quest’anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà fra le generazioni pone in modo enfatico, anche nelle fotografie che l’accompagnano sui siti dedicati, la figura di un anziano attivo, che ha già in sé le premesse per dare un grande impulso alla solidarietà con le altre età.
Se questa è una scelta di opportunità comunicativa, di certo rischia di presentare l’argomento in modo travisato. L’anziano che ci viene presentato ha tutte le prerogative per dare l’esempio e quindi per rappresentare una vecchiaia vitale e propositiva.
Una vecchiaia di cui è ampiamente soddisfatto e che lo impegna in attività utili per sé e per gli altri.
Questa è la stessa contraddizione che troviamo quando sentiamo parlare dell’importanza del movimento e vediamo foto che riguardano questo argomento. Tipiche quelle dei due anziani sorridenti e con rughe appena accennate che, con l’asciugamano al collo, si avviano verso la piscina; esempio che calza benissimo sia per la pubblicità turistica che per quella delle palestre.
Vivendo quotidianamente a contatto con la popolazione anziana sappiamo che queste immagini non sono reali: la prima impressione che ci deriva dall’incontro con un vecchio è legata al suo aspetto corporeo.
Del tutto diversa però è l’impressione che ci fa un vecchio sportivo: le sue potenziali possibilità sprigionano dalla sua stessa immagine. Viene automatico chiedersi se sia veramente vecchio e se lo sport rappresenti il tramite di una perenne giovinezza. Di certo sappiamo che l’incontro precoce con uno sport equilibrato facilita la vita attiva e che la pratica motoria costante nel tempo ritarda i decadimenti più eclatanti, primo fra tutti quello muscolare, che è alla base di ogni azione.
D’altro canto ci rendiamo però conto che l’aver indotto, attraverso lo sport e le sue pratiche competitive, un’ampia fascia della popolazione a considerare il movimento come privilegio di pochi, ha favorito il progressivo distacco dal proprio corpo “attivo” privilegiando nell’invecchiamento altri aspetti legati alla comunicazione verbale e all’utilizzazione seppur approssimativa della vista e dell’udito. Di fatto poi queste scelte si svolgono preferibilmente da seduti, lasciando alla sola azione “utile” e finalizzata il compito di assolvere all’aspetto motorio.
Un microcosmo che riduce pian piano la “vita” alle quattro mura di casa.
Un invecchiamento attivo e solidale può affermarsi solamente in presenza di un anziano che non ha perso il suo corpo per strada durante gli anni o che non l’ha appeso all’attaccapanni nella soffitta del proprio cervello!
Ci troviamo al giorno d’oggi, dopo che la scienza ha dimostrato l’utilità del movimento nel sostenere la salute e la socialità, promuovendolo a cardine della prevenzione e della promozione di nuovi stili di vita, a cercare di impostare progetti e programmi di risveglio del corpo in ogni fascia d’età, scoprendo, non solo per l’età anziana, che i “senza corpo” sono votati al progressivo decadimento.
Premessa per ogni progetto di riattivazione sociale deve essere il progressivo recupero del proprio corpo proprio nel senso “motorio”. Quando utilizzo questo termine (senza affiancarlo ad altri come “psico” o “socio”) non faccio che allinearmi ad un concetto di unitarietà che non scinde i vari aspetti, ma li collega fra loro di modo da rappresentare quell’unità insita nella definizione stessa di “motorio”. Nessuna azione è possibile senza movimento.
Qualunque progetto di prevenzione non può prescindere dalla riattivazione del corpo, che può realizzarsi nel recupero dell’azione mirata alla quotidianità, in quella funzionale alla mobilità, ma anche in training specifici per recuperare questa o quella potenzialità muscolare.
Questo tema ha ormai catturato l’attenzione di tutti coloro che si occupano della salute collettiva e che con pari dignità dovranno predisporre un futuro nel quale ognuno faccia la sua parte. Le ASL, le amministrazioni locali, le grandi e le piccole associazioni sportive e culturali, dovranno insieme predisporre progetti e programmi di movimento che attirino il cittadino verso scelte motorie a sua misura.
Le città dovranno cambiare in funzione del recupero del cammino e dell’utilizzo di mezzi che privilegino l’azione muscolare (bicicletta, mezzi pubblici, etc.), e per far sì che tutti possano riappropriarsi della città si dovranno sviluppare programmi di attivazione/riattivazione da svolgere a casa, all’aperto, nelle strutture protette ed in ogni luogo dedicato al movimento.
Ovvio che la riconquista dei movimenti utili a vivere la propria casa serve da innesco ad attività più allargate, anche se minimi e svolti con poco dispendio energetico, così come i “primi passi” fatti per riconquistare il territorio possono portare a mete vicine o lontane, ma è altrettanto vero che “coltivare” il proprio corpo con movimenti che paiono artificiali, come esercizi, giochi, attività svolte in gruppo in luoghi appositamente attrezzati, aggiunge euforia, forza e resistenza agli altri tipi di movimento, che vengono rinforzati e sostenuti. Si dice che ci si allena, in effetti si predispongono possibilità aggiuntive agli schemi usuali.
Il primo progetto che serve da premessa indispensabile all’anno europeo 2012 deve dunque essere quello di considerare prioritariamente le iniziative collegate al recupero ed alla riattivazione del corpo, sapendo che questo è l’aspetto più difficile da programmare. Non bastano sollecitazioni a muoversi, occorrono opportunità territoriali per farlo, non bastano le campagne di sensibilizzazione, si devono tessere occasioni d’incontro, non serve indicare il cammino in città dove si respira aria inquinata, non serve additare il buon esempio di anziani belli e sportivi, si devono costruire le basi per una pratica costante e generalizzata gratuita o a basso costo e a misura d’ognuno, senza cercare competizioni e confronti.
Occorre, dunque, favorire soprattutto pratiche per ognuno…nessuno escluso.
Il corpo può essere ad ogni età forte o fragile e per la varietà che caratterizza questi stati è necessario attivare pratiche individualizzate, sostenute da gruppi di incontro a tema.
Per i più fragili si tratterà di incontri specificatamente di riattivazione verso le funzioni basilari del recupero di una corporeità attiva, mentre per gli altri, meno fragili o più attivi, si imposteranno azioni dirette a rinforzare la pratica costante. Non si creda che per gli ex sportivi l’azione sia più semplice. Per la maggior parte di loro, ossia per quelli che hanno abbandonato la pratica sportiva in età giovanile o adulta, il recupero di una condizione accettabile richiede più impegno dato che spesso l’ex sportivo non si “accontenta” di attività di mantenimento, ma vuole cimentarsi nella sua attività elettiva.
Nella società attuale è difficile predisporre piani di potenziamento di nuovi stili di vita, dato che sono finora falliti i progetti per cambiare l’ambiente che ne fa da sfondo. Per “sfondo” non s’intende l’ambiente artificiale che surroga quello naturale (la palestra o il campo d’atletica non sostituirà mai un prato), né quello meglio attrezzato (i cosiddetti percorsi vita costruiti nei parchi o gli stessi parchi a tema), ma lo sviluppo di coerenti politiche che ridiano vita alla città attraverso azioni urbanistiche attente all’uomo e a ritmi più a sua misura.
Una città che abbia come primo obiettivo quello di recuperare la persona, favorisce in primis il camminare e non è un caso che si dica “dar gambe ai progetti”. Il progetto di una “Città Camminabile” non può essere surrogato da zone pedonali, piste ciclabili, oasi del pedone e giornate di chiusura alle auto.
La Città Camminabile è l’unico sfondo integratore possibile per la nascita di nuovi stili di vita. Solo una Città Camminabile può rappresentare il piano di riferimento della prevenzione! L’abitudine di utilizzare sempre e prioritariamente le gambe, perché la città favorisce e promuove il cammino, integra o sostituisce qualsiasi tipo di ginnastica.
Nel mio percorso di formatore sui temi legati alla corporeità, movimento e sport, ci fu un momento nel quale mi resi conto che il mondo andava alla rovescia. Venivo chiamato dalle scuole dell’infanzia ed elementari per aggiornare, ma il più delle volte per formare, gli insegnanti sui temi dello sviluppo motorio del bambino e sulla loro traduzione a livello educativo. Ricordo che la direttrice di una scuola di una valle piemontese mi invitò ad un incontro con le insegnanti per impostare un programma di motricità. Arrivai in questa bellissima scuola di montagna costruita in mezzo ad un prato, delimitato da un ruscello e da un bosco. Una scuola a forma di quadrifoglio dove ogni classe comunicava da un lato con il prato e dall’altro con lo spazio centrale, che con semplici manovre dei pannelli divisori poteva trasformarsi in luogo di incontro, in sala proiezione o in palestra. Erano presenti anche due laboratori di scienze e di pittura. Ebbene con mia grande sorpresa mi venne chiesto di impostare con le insegnanti un programma di psicomotricità. In una scuola siffatta mi si proponeva di attrezzare un’aula/laboratorio nella quale gli scolari potessero praticare ore di psicomotricità. Naturalmente, dopo aver spiegato che in quell’ambiente le basi elementari di una crescita equilibrata, anche corporea, necessitavano semplicemente di una traduzione coerente delle moderne teorie dell’educazione e che nessun laboratorio poteva surrogare i pregi e le opportunità didattiche di quel meraviglioso ambiente, nel quale il corpo poteva essere protagonista indiscusso dell’apprendimento in ognuna delle materie da loro insegnate, proposi di impostare il lavoro su queste interconnessioni, pur non perdendo di vista lo sviluppo motorio. Alla loro insistenza di approfondire il tema richiesto fui costretto a motivare la mia rinuncia al corso, prontamente sostituito, venni a sapere poi, da una collega “psicomotricista”. In quegli anni mi capitò spesso di riflettere sul fatto che venivo chiamato nelle scuole per spiegare l’importanza del movimento come se non fosse sotto gli occhi di ogni educatore l’importanza per il bambino di non “soffocare” seduto ore ed ore in un banco, per interiorizzare poi l’educazione fisica come un appuntamento di “libertà ad ore”. Due ore settimanali che, secondo l’educazione del tempo purtroppo ancora in auge tuttoggi, davano risposta al bisogno di movimento del bambino a scuola.
Mi sembrava del tutto irreale spiegare alle insegnanti come riaccendere la motricità dei loro allievi, dopo tutto il tempo che avevano impiegato per spegnerla!
Ebbene oggi, ragionando di invecchiamento attivo, credo che ci si trovi molto spesso nello stesso cunicolo senza uscita.
Dovrebbe essere relativamente semplice spiegare l’importanza del movimento a qualsiasi età, dato che non si dovrebbe trattare di una scoperta, ma di una logica conseguenza dell’essere non solo bipedi, ma umani!
Dovrebbe essere anche abbastanza semplice diffondere l’idea che il movimento deve essere praticato non per la paura di ammalarsi, ma per la voglia di vivere meglio!
Sembrerebbe semplice inoltre spiegare che data l’unitarietà corporea dell’essere umano, ogni movimento, seppur parziale, non sviluppa questa o quella parte di noi stessi, ma cambia letteralmente l’intero nostro “stare al mondo”.
A me pare semplice perché ho sotto gli occhi le migliaia di anziani che in questi ultimi trent’anni hanno approfittato delle proposte che abbiamo predisposto sul territorio, le centinaia di medici che ci hanno aiutato a coinvolgerli, le decine di amministrazioni e di ASL che hanno sostenuto non solo l’attività motoria, da noi proposta da oltre trentacinque anni e che si caratterizza per l’aspetto motorio “dolce”, ma soprattutto il Progetto Integrato che dal 2005 definisce la nostra azione e propone ai cittadini del nostro paese non solo le Ginnastiche Dolci, ma la Ginnastica a Domicilio, e quella al Domicilio Residenziale (RSA e Istituti), l’Attività Fisica Adattata, per chi soffre di algie, i Gruppi di Cammino, la Ginnastica per gli Obesi e per i Diabetici ed i corsi di Acquaticità e di Ginnastica in Acqua.
Una proposta variegata di opportunità sul territorio, e soprattutto sotto casa, per dare ad ogni persona, anche quella con gravi problemi di salute (Alzheimer, Parkinson etc.), la possibilità di mantenere aperta la comunicazione con il mondo e di trovare le modalità per sostenerla muovendosi in esso per continuare a provare emozioni, gioia e voglia di frequentarlo ancora.
Cos’è dunque la prevenzione se non la possibilità data ad ognuno di continuare a scegliere di vivere, invece di assistere passivamente ed a volte inconsciamente alla vita degli altri?
Biografia
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