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francesca carpenedoI più, ed io – colpevolmente – tra questi, pensano che la violenza di genere sia determinata da una forte connotazione sessuale.
In realtà non è proprio così, ed in effetti non è detto che la violenza di genere si identifichi solo nella violenza contro il genere femminile, anche se l’accostamento è immediato e ragionevole. Di fatto la definizione generalmente accettata di questo crimine recita che esso si concreta in “ogni atto di violenza nei confronti di una persona e che trova le sue motivazioni nell’appartenenza della vittima ad un determinato genere, o ancora le violenze che colpiscono un determinato genere in modo sproporzionato”. (1)
La violenza contro le donne, più in profondità, si può quindi definire come ogni atto violento – sessuale, fisico o psicologico, ma anche finanziario, da abbandono o medicale – compiuto verso il genere femminile che, come ogni forma di abuso, si sviluppa all’interno di una relazione che può essere affettiva, familiare, amicale, assistenziale o istituzionale, e che – come ulteriore caratteristica – si sviluppa proprio in quanto il soggetto vittima è una donna e non potrebbe essere altrimenti.
Ma oggi ci soffermiamo sulla violenza di genere contro le donne anziane, che è quindi innanzitutto una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione - come l’ageismo, che in questo caso agisce da, come potremmo dire?.. potenziatore. Come non essere abusanti di fronte ad una vecchietta che percepiamo come debole, per sua natura accogliente e poco abituata ad un contraddittorio e magari anche un po’ tocca? La tentazione è davvero troppo forte ed il risultato garantito! Obiettivo che potrebbe anche non essere raggiunto se la nostra vittima fosse un uomo.
Lo spunto mi arriva dalla conferenza che si è tenuta, come sempre on-line, il 10 gennaio scorso per la presentazione dei risultati di un’indagine sulla violenza ai danni delle donne anziane nell’area dell’Est Europa (2), zona fino ad ora poco studiata con riferimento al tema specifico.
La base di partenza per questa ricerca è il database ad ampissimo spettro creato in occasione di uno studio condotto nel 2018 dall’OCSE (3) sul benessere e la sicurezza delle donne. Da questo documento, la Croce Rossa Serba insieme all’UNFPA (4) e alla sezione europea dell’INPEA (5) hanno estrapolato una serie di dati interessanti per l’analisi del fenomeno della violenza di genere sulle donne di età compresa tra i 65 e i 74 anni.
Alcune considerazioni appaiono facilmente prevedibili, come ad esempio la generale mancanza di dati sulla prevalenza degli abusi sulle donne anziane – parliamo della fascia di età post-riproduttiva, cioè quella dai 49 anni in su. In questo senso lo studio condotto presenta un carattere di originalità rispetto alla maggior parte degli studi sulla violenza contro le donne, anche se persiste un tetto all’età massima presa in considerazione.
I risultati sottolineano l’importanza di un approccio continuo rispetto all’intero arco della vita della donna. Mi spiego: sebbene sia vero che la probabilità di subire abusi da parte delle donne anziane dipenda sostanzialmente dalla loro vulnerabilità – dovuta ad esempio a condizioni economiche svantaggiate, a situazioni di non autosufficienza fisica o psichica, o ad un certo grado di debolezza e dipendenza affettiva – risulta altrettanto fondamentale prendere in considerazione tutto l’arco della storia personale delle vittime ed in particolare la sofferenza di episodi violenti nell’età infantile e adulta. Lo studio infatti dimostra come la presenza di reiterati abusi nel corso di tutta l’esistenza possa essere considerato come fattore di rischio molto alto al verificarsi di abusi anche nell’età anziana.
L’analisi condotta distingue due macro gruppi di attori violenti: i partner e i non-partner. E anche gli abusi vengono raggruppati in tre macro classi: le violenze sessuali, le violenze fisiche altre e gli abusi psicologici. È interessante anche notare come siano stati definiti due intervalli temporali: un arco molto ampio che parte dai 15 anni di età e un periodo molto più ravvicinato definito nell’ultimo anno precedente la rilevazione. In questo caso i risultati per la medesima domanda (6) mostrano grandi differenze, il che ci fa pensare che il comportamento violento non sia – fortunatamente – una costante comportamentale: se è vero che nell’arco di 50 anni è molto probabile (più del 50%) che una donna abbia subito un abuso, non è per forza vero che ci sia stato abuso anche nel corso degli ultimi 12 mesi (meno del 20%).
In sintesi la ricerca conclude che nella regione esaminata (7) più del 56% delle donne anziane intervistate ha subito una qualche forma di violenza sin dall’età di 15 anni -nel 49% dei casi per mano del partner - e che la forma di violenza prevalente è un abuso di tipo psicologico (circa 48%). Le violenze fisiche da parte del partner costituiscono il 18% degli abusi. Molto inferiori sono, come si diceva, le percentuali se l’intervallo di tempo considerato è quello dei 12 mesi precedenti l’intervista.
Per quanto invece concerne gli abusi subiti da un non-partner, vengono presi in considerazione solamente gli abusi fisici e sessuali e nella maggioranza dei casi questi si sviluppano all’interno della sfera affettiva e amicale: amici e vicini nel 26% dei casi, altri familiari e parenti (compresi i figli) nel 25%.
Merita poi sottolineare che – nel caso di abusanti non -partner – si parla di violenza sessuale non solo in relazione ad assalti fisici ma anche con riferimento a commenti sull’aspetto delle vittime o a domande offensive sulla loro vita privata.
Le conseguenze più importanti si registrano a livello psicologico, con il 26% delle intervistate che denuncia ansia, difficoltà a dormire (25,5%), fino all‘insorgere di stati depressivi (17,4%).
Ma quali sono i fattori di rischio principali nei casi di violenza contro le donne anziane?
La relazione della Croce Rossa Serba, rileva delle componenti che potrebbero essere considerate geograficamente rilevanti. Penso ad esempio a situazioni di dipendenza da alcool, a matrimoni forzati o in età molto giovane e a stili di vita fortemente influenzati da norme e usi patriarcali. Fattori di rischio più comuni rispetto ai paesi occidentali sono invece la dipendenza economica e la presenza di disabilità.
La presentazione si è quindi conclusa con delle raccomandazioni (8) ad agire in differenti settori come ad esempio quello della raccolta dei dati.
L’inclusione delle donne anziane nelle indagini sulla violenza di genere, sul tipo di violenza cui sono soggette, sull’ambiente – domestico o istituzionale – in cui si verificano gli abusi… tutti questi dati andrebbero a completare il quadro della violenza sul genere femminile durante tutto l’arco della vita, dando così un quadro preciso di come le forme di violenza si distinguono nelle varie fasce di età.
Nelle leggi contro la violenza di genere l’età anziana dovrebbe essere poi considerata sia come un fattore di rischio aggiuntivo sia come un’aggravante in sede processuale. Anche il settore dei servizi sociali e assistenziali potrebbe implementare maggiori servizi di denuncia e sostegno alle donne anziane e contemporaneamente sostenere i lavoratori del settore a rischio di burn-out e quindi di comportamenti abusanti. Infine il settore della formazione può contribuire a prevenire, identificare e gestire situazioni di potenziale o conclamata violenza ai danni delle donne anziane, attraverso corsi di formazione e sensibilizzazione dei professionisti ma anche con incontri di informazione diretti alle stesse donne anziane.
Ritengo che questa conferenza sia stata illuminante sotto molti aspetti e ha provocato in me una serie di riflessioni che mi auguro di poter trasmettere, magari suscitando anche reazioni forti.
Prima di lanciare la bomba però vorrei soffermarmi su alcune questioni interessanti. Innanzitutto sull’area geografica oggetto dello studio. Per noi Europei, così come per la maggior parte degli Stati dell’America Centrale, è abbastanza scontato trattare certi temi e anzi, ci sembra che ormai le battaglie da condurre si siano trasferite su altri piani più profondi rispetto al basilare nominare (cioè dare un nome) una necessità (quella del rispetto dei diritti umani) o un problema (quello del maltrattamento delle donne).
In molte aree del pianeta, e penso soprattutto alle zone del Medio ed Estremo Oriente e all’Africa, questo genere di trattazione viene invece purtroppo oscurato da altre gravi emergenze. Perciò mi sembra molto positivo il fatto che queste iniziative comincino a diffondersi anche in aree fino ad ora rimaste scoperte.
Trovo tuttavia che alcuni passaggi siano rimasti sostanzialmente inesplorati. Ad esempio la distinzione dei soggetti abusanti nei due macro gruppi – partner e non-partner – è un punto di partenza tipico nella trattazione della violenza contro le donne, ma mio avviso fuorviante che influenza poi una serie di considerazioni che potrebbero essere effettuate semmai ex-post e non ex-ante.
Come forse è utile ricordare “Il maltrattamento sulle persone anziane” - donne o uomini o gender-fluid - “può essere considerato come uno o più atti – o mancanza di azioni appropriate – che si possono verificare all’interno di ogni relazione dove insiste un’aspettativa di fiducia e che è causa di danno o fonte di stress per una persona anziana” (9). Perché si verifichi un maltrattamento è quindi necessaria, alla base, un’aspettativa di fiducia, situazione che si realizza in ogni relazione dove esista uno scambio. La violenza di genere è rivolta ad un determinato soggetto perché appartenente ad un genere definito, in questo caso le donne, ma rimane – prima di tutto – un maltrattamento ed una violazione di un diritto. Trattare i soggetti abusanti come partner da un lato e il resto del mondo dall’altro induce a considerare i maltrattamenti come più gravi se arrivano da un soggetto piuttosto che un altro, mentre invece il maltrattamento è un crimine in sé.
Ancora, la violenza sessuale è tale indipendentemente da chi la infligge. E come dimostrano i risultati della ricerca, l’abuso psicologico rappresenta la maggiore percentuale anche nella violenza di genere. Premere sulla violenza sessuale mi sembra solo un mezzo per attirare l’attenzione. Un po’ come la storia di Pierino e il lupo, alla lunga rischia di far perdere interesse. Ancor di più mi trovo in sintonia con le raccomandazioni della parte conclusiva della conferenza quando sottolinea l’importanza di indagini più dettagliate sulle forme di violenza sofferte: l’abbandono, l’abuso medicale o lo sfruttamento finanziario nell’età anziana possono comportare conseguenze devastanti per la vita di una donna, tanto quanto uno strattone, che viene considerato una violenza fisica.
In secondo luogo finalmente assistiamo all’accostamento tra la violenza di genere e le donne anziane! Mi sono sempre chiesta infatti perché la violenza di genere fosse considerata tale solo se veniva inflitta a donne in età riproduttiva. E le bambine in età prepuberale? E le donne in menopausa? Anche queste esclusioni hanno fatto si che si generasse l’equivoco che la violenza di genere sia sostanzialmente una questione sessuale. Non è vero! La violenza di genere, come si è detto in apertura, è una violenza che si dirige verso soggetti appartenenti al medesimo genere, nessuno/a escluso/a e non consiste solamente in un abuso di tipo sessuale o fisico.
E qui arrivo al nocciolo della mia questione per la quale mi piacerebbe si innescasse un dibattito, una reazione.
Negli ultimi 20 anni mi sembra di essere stata testimone di un certo irrigidimento di confini nella trattazione di determinati temi a carattere sociale. Il raggiungimento di un certo benessere sociale, fisico ed economico nei Paesi sviluppati ci ha permesso di volgere lo sguardo alla sistemazione di problemi secondari rispetto alla più prosaica/basica sopravvivenza.
Il tema più immediato è stato, ovviamente, il rispetto della persona e dei suoi diritti: alla salute, all’istruzione, al lavoro e via via a scendere. Sicché dai diritti universali si passa ai diritti particolari. Non fraintendetemi: sono assolutamente favorevole ed incline a pensare che tutti, ma proprio tutti debbano avere la possibilità di vivere nel mondo migliore possibile. Ma mi rendo anche conto che continuare a restringere il campo dei soggetti titolari di un determinato diritto, alla fine farà esplodere il calderone.
L’esempio della violenza di genere sulle donne anziane cade a fagiolo.
La donna anziana vittima di violenza dove si colloca? È una donna – e allora viene protetta dalla legge Codice Rosso – oppure è un’anziana – e quindi applichiamo la normativa sui disabili? Perché non può essere semplicemente una persona che ha subito un crimine? E pensiamo forse che un abbandono da parte di un figlio non abbia la stessa valenza pratica ed emotiva in un uomo e in una donna? Che sia diverso a seconda che l’abbandonato sia o meno autonomo? Che sia più o meno grave rispetto ad un’altra forma di abuso? Perché abbiamo sempre più bisogno di restringere il campo?
Ecco, a me tutto questo fa pensare che prima o poi si arriverà al punto di avere talmente tante e troppe regole che non sapremo più a quale affidarci per proteggere o farci proteggere, tornando così al punto di partenza.
Sarei invece incline a considerare la violenza di genere e il maltrattamento come prospettive alternative di un medesimo fenomeno. D’altronde le statistiche ci insegnano che solitamente le donne sono più longeve degli uomini, ancorché meno autonome ed indipendenti. Quindi in ultima analisi le due prospettive finiscono quasi per coincidere.
E qui mi fermo prima di entrare in campi dove altre e più qualificate persone hanno maggior diritto di parola..

(1) What is gender-based violence? | European Commission (europa.eu)
(2) Conference “Exploring violence against older women in the Western Balkans, Moldova and Ukraine” (redcross.org.rs)
(3) OSCE-led Survey on the Well-being and Safety of Women | OSCE
(4) United Nations Population Fund (unfpa.org)
(5) INPEA - information and news about the prevention of elder abuse
(6) gender-based-violence-against-older-women-in-see-and-ee-final.pptx (live.com)
(7) Lo studio dell’OCSE coinvolgeva Albania, Bosnia Erzegovina, Kossovo, Moldavia, Montenegro, Macedonia del Nord, Serbia e Ucraina
(8) recommendations.pptx (live.com)
(9) Definizione derivante dalla Dichiarazione Globale sulla Prevenzione del Maltrattamento agli Anziani. Toronto, 2002

francesca carpenedoSignor Babbo Natale i suoi capelli e la barba bianchi mi fanno supporre che lei sia in giro da un bel po’ di tempo. Mi potrebbe dire come, secondo lei, la gioventù è cambiata nel corso degli anni?
Carissima Francesca,
comincio col dirti che è un piacere ricevere una lettera che, una volta tanto, non sia una richiesta di regali o desideri da esaudire… A pensarci bene, non so quando è stata l’ultima volta che qualcuno mi ha fatto una domanda che riguardasse me e le mie opinioni.
Perciò volentieri ti dedicherò qualche minuto per risponderti. Strane domande, le tue!
In effetti, assieme alle mie fidate renne, solco i cieli di questa nostra stanca terra da un bel po’ di tempo. E devo dire che mai come in questi ultimi due anni ho dovuto farmi luce con le fiaccole e confortare Rodolfo e gli altri che mai avevano visto tanto buio nel cielo. ..e nei cuori. Sconfortante.
Ma tant’è, io non posso perdermi d’animo. Il mio lavoro è meraviglioso ma anche parecchio impegnativo: da me ci si aspetta gioia e serenità e non sempre mi sento all’altezza. D’altronde sono un uomo anch’io. Magari un po’ speciale, ma sempre uomo.
Ma non tergiversiamo, perché il tempo è poco.
Mi chiedi se i bambini siano cambiati nel tempo. Certo che sì! I bambini di oggi sono molto più svegli e reattivi dei bimbi della tua generazione. Bombardati come sono da stimoli e informazioni di ogni tipo, è una fortuna se riescono anche solo per poco tempo ad incantarsi davanti alla nuova foglia di un albero o ad un gattino che vuole giocare con loro. E poi mi sembrano più soli e meno felici. Ovviamente non tutti i bambini sono uguali: dipende da dove vivono, se la famiglia li sostiene, se sono ricchi o poveri, se possono andare a scuola e giocare o devono iniziare a lavorare quando ancora non sono adolescenti.
Però c’è una cosa che li accomuna: uno strano scintillio nello sguardo, direi una luccicanza (niente a che vedere con Shining, per carità), una sorta di aura buona e di energia positiva che li eleva rispetto agli adulti perché li rende potenzialmente capaci di grandi e belle cose. Il problema è mantenerla, quest’aura, nutrirla per far sì che non si perda, per fare in modo che i bambini diventino gli adulti di domani, migliori di quelli di oggi.
Questa purezza c’è oggi come c’era allora ed è la cosa più bella che i bimbi possiedono. È un dono inestimabile e bisognerebbe averne grande cura. Purtroppo invece i bambini di oggi la perdono molto più in fretta di quanto avveniva un tempo. E smettono di credere in me e in tutta la magia che ci può essere nella vita.

Lei pensa che i bambini rispettino la saggezza sua e quella dei loro parenti più anziani così come lo facevano le generazioni precedenti?
I bambini non sanno cosa sia la saggezza e non hanno consapevolezza di tutto il patrimonio di esperienze che le persone della mia età hanno accumulato nel corso della loro vita. Loro sono alla ricerca della gentilezza che riconoscono nel sorriso e nella disponibilità. Ecco, non parlerei di rispetto ma di fiducia. Ti faccio io una domanda: qual è il ricordo che porti nel cuore di tua nonna Wally? Sono certo che lei per te è stata il porto sicuro dove rifugiarti, la persona verso cui volgevi lo sguardo quando non sapevi cosa fare o avevi un desiderio fortissimo. E il motivo per cui so che è così è perché lei ti amava di un amore puro, disinteressato. Diverso dall’amore di mamma e papà, che è non meno puro. Era come una luce. E tu la ripagavi con lo stesso amore: l’ascoltavi e la guardavi cercando di imitarla e sperando un giorno di essere bella ed elegante come lei.
Ecco, per me è così con tutti i bambini del mondo. E la magia è tanto più grande quanto più a lungo dura. A volte i bambini di oggi sono come quelli di ieri, a volte purtroppo vengono privati di tutto questo troppo presto. E troppo presto imparano il lato meno lucente della vita.
Se ai bambini viene detto che Babbo Natale non esiste e che i regali li portano i genitori, la magia del Natale si trasforma in una necessità di stare buoni e non fare arrabbiare i genitori in modo che poi quel giocattolo, la playstation, il telefonino arrivino a destinazione senza troppi problemi. E Babbo Natale è solo il primo di una lunga serie di disillusioni. Si finisce col non credere più a nulla. E se non c’è nulla in cui credere, non c’è nulla da rispettare. Così anche i nonni perdono il loro ruolo, si crede non abbiano nulla da trasmettere e il loro amore, così come tutte le cose che loro ci possono insegnare, viene ignorato. Vengono dimenticati e tornano utili solo quando ci sono aspettative da soddisfare.

Com’è organizzato il suo villaggio? Lei può essere considerato il comandante in capo? E i suoi colleghi rispettano i suoi consigli?
Ah, questa domanda mi piace proprio! Dunque, da dove partire… perché sai, è un po’ complicato per voi capire… io abito un posto lontano e nascosto. Il villaggio è piuttosto grande e la mia comunità numerosa. E tutti, di comune accordo, abbiamo deciso che, pur restando vicino a voi, avremmo tenuto un profilo, diciamo, basso, senza troppi clamori. Questo ci ha permesso di rimanere in qualche modo “puri” di cuore, come il candore della neve, e dedicarci con profitto al nostro compito principale che è quello di conservare la gioia e farvene dono, ogni tanto. Bada bene, anche noi abbiamo i nostri problemi e dispiaceri – per non dire dolori – però lavoriamo con costanza per fare in modo di rimanere “lucenti” e fare il nostro lavoro per bene. Perché, sai, nessuno regala niente neanche a Babbo Natale e vivere è comunque un duro lavoro. Ti confido un piccolo segreto: Babbo Natale non è sempre la stessa persona dalla notte dei tempi. Diciamo che è un compito e un onore che viene assegnato a sorte nel corso del tempo agli abitanti del mio villaggio. Ora il cappello lo porto io, anche se non so per quanto tempo. Nessuno lo sa. Portare il cappello significa essere sì, il capo, ma non nel modo in cui lo intendete voi: Io sono solo l’esecutore finale del lavoro che noi tutti svolgiamo insieme, nessuno escluso. Questo non vuol dire che sfruttiamo il lavoro minorile, come tanti di voi fanno. Vuol dire che ognuno di noi si impegna per rendere il mondo un posto più bello, almeno per una notte all’anno, che voi – pragmatici fino al midollo – avete per comodità identificato nella notte del 25 dicembre.
I consigli di tutti sono importanti e vengono tenuti nella medesima considerazione. Certo, i più anziani hanno più esperienza sul modo migliore di assolvere al nostro compito che poi è quello di vivere con gratitudine e rispetto verso chi ci sta vicino e verso l’ambiente che ci ospita. E cercare di trasmettere questi valori anche a voi. Direi però che quello che ci contraddistingue tutti è saperci ascoltare l’un l’altro. I più giovani hanno più entusiasmo e, qualche volta, la testa un po’ calda, ma nessuno viene escluso e tutti partecipiamo facendo del nostro meglio, secondo le nostre possibilità. Mai ci verrebbe in mente di abbandonare qualcuno perché ha avuto un rovescio di fortuna o ha combinato qualche danno.

Ha mai subito abusi o maltrattamenti durante i suoi viaggi per il mondo?
E chi mai potrebbe voler far del male a Babbo Natale??
Però guarda, a pensarci bene e anche se non si tratta di vero abuso, a volte rimango male a vedere tutti quei pupazzetti che mi raffigurano e che vengono appesi alle grondaie o alle ringhiere dei terrazzini. Ecco, mi sembra poco dignitoso. E poi cosa mi sta a significare? Che io visiterò quella casa perché lì ci vivono dei bambini buoni? E questi bambini, se sono così buoni, non pensano che a stare appeso lì per 28 giorni non mi fa proprio bene?
Dal momento che la tua intervista richiama spesso il passato, direi che questa è una moda degli ultimi 10 anni che prima non avrebbe mai preso piede. Qualche voce innocente si sarebbe di certo levata in difesa di un vecchio con la barba bianca che già deve sgobbare di notte col freddo per portare dei regali. Ora tutt’al più questi bambolotti, neppure troppo ben fatti, strappano un sorriso o, nel peggiore dei casi, un commento di scherno. Allo stesso modo di come ogni tanto alcuni vecchi vengono trattati: con condiscendenza, se non proprio derisi e abbandonati. Mi sembra voi chiamiate questa pessima abitudine con un nome inglese.. "Ageism, ageismo".
Occhio che poi, come dice l’adagio (anzi, più di uno), chi la fa l’aspetti. E te lo dico pure in inglese: what goes around comes around. Si, ecco, questo mi fa piuttosto arrabbiare e, poiché io mi sento un po’ il simbolo dei vecchi, il simbolo dell’amore che portano ma anche quello che dovrebbero ricevere, ogni volta che un anziano viene maltrattato è come se venissi maltrattato anch’io.

La recente pandemia ha colpito le persone anziane in un modo che non si sarebbe potuto immaginare: un numero impressionante di genitori e nonni sono morti.
Gli anziani sono di fatto rimasti prigionieri nelle loro case o negli istituti di ricovero, senza nemmeno poter parlare con i parenti; un certo grado di ageismo è stato reso visibile, soprattutto nell’assunto che il CoViD non fosse coì pericoloso perché colpiva “solo” (nel suo duplice significato) i vecchi.
Nella sua veste di distinto rappresentante di questa categoria, vorrebbe consigliare o dire qualcosa alle generazioni più giovani mentre consegna loro i suoi preziosi regali?
Il domandone di chiusura, eh?? Mah, come ti accennavo, è molto triste vedere come, in generale, evolvono i rapporti affettivi all’interno di taluni nuclei familiari. La mancanza di empatia, di comunicazione, la lontananza anche fisica tra genitori e figli e tra nipoti e nonni, tutto questo ha innescato una spirale di solitudine e lontananza che questa disgraziata pandemia ha contribuito solo a rendere consuetudine. Come dici tu, nonni prigionieri nelle loro case o confinati nelle case di riposo che non possono vedere i familiari e rimangono (vedi quello che è successo in una casa di riposo a Palermo) alla mercé di personale che a volte non si fa troppi scrupoli nell’uso di metodi assistenziali non proprio ortodossi. Ma anche rapporti familiari sfilacciati, difficoltà di ogni sorta. Insomma buio nel cuore e nella mente. Ecco, ho l’impressione che il mio lavoro quest’anno sarà più duro del solito. Quindi più che un suggerimento avrei una preghiera da rivolgere a te e a tutti i numerosi lettori di Per Lunga Vita.
Cari amici, Babbo Natale è ciò che rimane della vostra innocenza. Ve la ricordate quella febbrile attesa di qualche cosa di misterioso ed insieme magnifico che dall’inizio dell’inverno vi rendeva euforici e provocava in voi scoppi di risa e un inspiegabile buonumore? Sono sicuro di si: ve lo ricordate bene! Dov’è finita questa sensazione? Ecco, visto che il periodo è quello che è e non possiamo permetterci di abbassare la guardia, vi pregherei, cari amici di rimboccarvi le maniche insieme a me e non mollare alla deriva il Babbo Natale che abita dentro di voi a che comincia a stare un po’ stretto in questo piccolo androne in cui l’avete confinato.
Auguroni a tutti e occhio al camino!

 

francesca carpenedoDal 1° luglio al 31 dicembre 2021 la Presidenza del Consiglio dell’Unione Europea (1) è stata affidata alla vicina Slovenia, insieme a Germania e Portogallo. Solitamente il Paese che ricopre tale carica, oltre a gestire e coordinare le attività del Consiglio dell’Unione, si fa anche promotore di iniziative ed eventi di particolare interesse. Tra questi rientra la conferenza internazionale “Human Rights for All Ages: Promoting a Life Course Perspective and Intergenerational Cooperation to Combat Ageism” che si è svolta lo scorso 18 novembre.
L’evento è stato organizzato in collaborazione con la Federazione delle Associazioni dei pensionati sloveni e con AGE Platform Europe(2).
Si parla ancora di invecchiamento e di ageismo perché questi sono temi centrali nelle politiche europee, considerato il fortissimo impatto che il cambiamento demografico ha in tutti i settori: dal lavoro alla salute, dalla formazione ai sistemi pensionistici e di sostegno sociale.
Il tema della conferenza prende lo spunto dalla riflessione che una maggiore longevità porta con sé un ventaglio di nuove possibilità, ma anche di sfide, e parte da una domanda:
CHE TIPO DI VITA MI ASPETTO PER IL FUTURO?
Semplicissima la risposta: mi aspetto una vita buona. Magari migliore dei giorni che viviamo attualmente. Una vita fatta di viaggi, impegno nelle cose che ci interessano, di contatti con il mondo esterno e di sicurezza che, nel momento in cui si dovesse presentare la necessità, la società in cui vivo sarà in grado di sostenere le mie scelte e i miei bisogni. Insomma mi aspetto una vita di QUALITA’.
Però se nell’oggi, a questo punto della nostra vita, gli ostacoli che incontriamo sulla strada sono facilmente superabili in virtù delle nostre energie, ma soprattutto del nostro essere parte integrante della società, ciò non significa che lo saranno anche domani. L’ingrigire dei capelli, le nuove rughe sul nostro volto cambiano poco per noi, per il nostro modo di vederci e pensarci nel mondo. Cambiano molto invece per chi ci sta attorno, che ci guarda con occhi nuovi e non sempre benevoli.
A me, che di anni ne ho 58, già capita di notare che le persone che incontro assumono un atteggiamento diverso rispetto a qualche anno fa. Ora, può essere deferenza e forse rispetto. Ma a volte avverto una sorta di condiscendenza che so diventerà la normalità fra 10 anni.
Questo atteggiamento si chiama ageismo ed io ho deciso di affrontarlo e, per quanto possibile, modificarlo.
Ed è esattamente quanto si sono proposti gli organizzatori dell’evento. Gli stereotipi che modificano i nostri comportamenti nei confronti delle persone sulla base dell’età, se diventano la norma, portano inevitabilmente a considerare gli anziani come diversi, alieni.
Ci battiamo tanto per costruire una cultura dell’uguaglianza. Uguaglianza nel senso di aspettativa di pari rispetto, trattamento e opportunità. Tra generi diversi, tra differenti etnie e religioni.
Ma spesso dimentichiamo le diverse fasce di età.
Già si è detto delle forme, dei motivi e della diffusione della discriminazione sulla base dell’età, così come si è detto – e durante la conferenza è stato ribadito – della cronica mancanza di dati necessari a dare una dimensione precisa del fenomeno.
Tra i motivi identificati per spiegare l’ageismo, un fattore rilevante riguarda la separazione tra le generazioni. I tempi attuali sono caratterizzati da uno scarso scambio intergenerazionale, imputabile soprattutto alla diversa conformazione dei nuclei familiari e a un’accelerazione del progresso tecnologico. Ne deriva una sostanziale rigidità dei rapporti, ad esempio, tra genitori e figli. Le cose poi si fanno più difficili se parliamo di nonni e nipoti o, più in generale, di contatti tra giovani e anziani. Tranne qualche fortunato caso in cui i bambini e poi gli adolescenti si trovano a frequentare assiduamente i propri nonni (e viceversa) e a trarne uno scambio proficuo, in generale questi due gruppi poco si conoscono e poco imparano l’uno dall’altro. Con la conseguenza che, quando si incontrano, non sanno più come comunicare.
Triste a dirsi, ma tant’è, ora ci si trova nella situazione di dover pensare a delle nuove politiche e allo sviluppo di strumenti che ci insegnino di nuovo a stare insieme.
Come?
Durante la conferenza si è parlato soprattutto della necessità di modificare il concetto stesso del termine “invecchiamento” attraverso la familiarizzazione con un approccio life-cycle. In sostanza “invecchiamento” non riguarda più soltanto una precisa fascia di età. Si comincia piuttosto ad invecchiare nel momento stesso in cui si viene al mondo. L’invecchiamento cioè diventa un cammino, il percorso continuo della vita e riguarda tutti noi.
Ci si aspetta che questa modificazione concettuale porti a due risultati considerati molto importanti, soprattutto nei confronti delle nuove generazioni. Da un lato i vecchi di domani vengono responsabilizzati verso comportamenti e stili di vita virtuosi, poiché se è vero che la società in cui viviamo ha un ruolo fondamentale nella costruzione di comunità inclusive, è altrettanto vero che noi siamo gli artefici del nostro destino anche per quanto riguarda la scelta del modo in cui invecchiare (patrimonio genetico a parte).
D’altro canto, riconducendo le diverse fasi in cui è frammentata la nostra esistenza, (3) dal punto di vista socio-economico, ad un unicum legato a momenti di transizione fluidi, si trasmette l’idea che l’individuo rimane sempre la stessa persona per tutta la vita, cambiando solo le proprie abilità e necessità, peraltro entrambe sempre presenti.
Ma provocare un cambiamento nel modo di pensare spesso non è sufficiente e i motivi dell’isolamento sociale in cui spesso gli anziani si trovano confinati non dipende solo da colpe riconducibili ai “giovani”. Durante l’incontro si è anche parlato della divisione tecnologica che allontana gli adolescenti – e in parte gli adulti – dagli anziani e viceversa. L’analfabetismo digitale è un problema che riguarda un po’ tutte le generazioni (4) ma assume dimensioni importanti con l’avanzare dell’età. Quante volte abbiamo sentito dire “ah, io il computer non lo voglio usare”, “io voglio solo telefonini vecchia maniera, mica quelle trappole con l’internet, che poi non sai mai cosa succede…”? Bene, questo atteggiamento nei confronti delle nuove tecnologie nel lungo periodo provoca isolamento sociale – e il COVID lo ha abbondantemente dimostrato a quanti, non sapendo usare il computer o rifiutando gli smart-phones, non erano in grado di guardare i propri parenti nemmeno attraverso uno schermo – e allarga ulteriormente il divario con le generazioni più giovani che, a ragione, vengono definiti come generazione digitale.
È ovvio a questo punto che se le occasioni di incontro si diradano e gli argomenti in comune sono pressoché azzerati, giovani e anziani non hanno modo di entrare in un contatto proficuo. E dalla mancata conoscenza nasce la diffidenza. E dalla diffidenza la generalizzazione e la discriminazione chiamata ageismo. Diciamo che il processo è forse un po’ banalizzato ma rende l’idea di come il fenomeno funzioni in ambo le direzioni.
Interessante in proposito è stato il contributo di Lucija Karnelutti, UN Youth Delegate, che dopo aver ribadito come l’ageismo sia un problema che riguarda anche gli adolescenti e i giovani adulti, ha anche sottolineato la consapevolezza, tra i suoi coetanei, che la mancanza di interazione con le generazioni precedenti lascia un vuoto importante nella loro formazione e crescita umana e culturale.
Credo che questo sia il secondo evento internazionale, tra i tanti a cui ho partecipato in questi ultimi due anni, in cui, tra i tanti rappresentanti di organizzazioni di persone anziane era prevista anche la presenza di un membro di un’associazione giovanile. È un primo ma importante passo verso l’apertura di un dialogo dove trovano spazio le esigenze degli uni e degli altri, con un punto di contatto importante: la lotta alla discriminazione sulla base dell’età. In questo tanto i giovani quanto i vecchi perseguono il medesimo obiettivo e possono mettere in campo sforzi diversi – tecnologici ed esperienziali – che porteranno ad un identico risultato: una società inclusiva dove tutti siamo uguali (nel godimento dei diritti umani) e diversi (nelle caratteristiche individuali) allo stesso tempo.
La parte conclusiva della conferenza è stata dedicata alle esperienze pratiche di scambio intergenerazionale: studenti universitari che trovano alloggio in centri di cura dove non pagano l’affitto ma dedicano 30 ore settimanali allo scambio con gli altri residenti anziani; enti locali che promuovono la coabitazione tra persone anziane che vivono nella propria casa e possono ospitare giovani studenti; il piccolo gruppo di meditazione che dà vita ad comunità intergenerazionale dove si vive seguendo i 4 principi di sostenibilità, tranquillità, riflessione a mutua assistenza. Gli esempi sono molti ed è sufficiente fare una ricerca nel web per trovare esempi e proposte.
Anche il dibattito nella stanza della “chat” tra tutti quanti erano collegati all’evento è stato piuttosto vivace e ha dimostrato quanto ancora ci sia da fare anche solo per quanto riguarda la ricerca di una definizione univoca e globale del termine ageismo nelle diverse lingue europee.
In generale direi che ciò che mi rimane da questa giornata è una sensazione già provata e che mi porta a pensare che nella vita pratica di tutti i giorni, così come nelle stanze delle grandi organizzazioni politiche, il tema dell’inclusione e dello scambio intergenerazionale sia già ben masticato e digerito. Basti vedere tutta la mole di documenti internazionali(5) e tutti i micro progetti locali.
Manca invece un coinvolgimento a livello intermedio.
I governi centrali dei singoli Stati Europei – e ancor più i governi locali – fanno ancora fatica a tradurre le raccomandazioni che giungono dall’alto e i segnali che arrivano dal basso in programmi politici definiti e trasversali che tengano finalmente nella dovuta considerazione il cambiamento demografico ormai travolgente e la necessità di rendere nuovamente omogenea la comunità in cui viviamo.

 Note
(1) Per una panoramica sui compiti e le attività del Consiglio dell’Unione Europe si veda Il Consiglio dell'Unione europea - Consilium (europa.eu).
(2) AGE Platform Europe è un’associazione di derivazione dell’Unione Europea e raccoglie le organizzazioni di e per gli anziani. È attiva su tutti i settori della vita degli anziani e collabora con tutte le Direzioni UE per la promozione dei diritti degli anziani. About AGE | AGE Platform (age-platform.eu)
(3) Tipicamente: formazione / infanzia, lavoro / età adulta, pensionamento / vecchiaia
(4) Secondo il Green Paper on Ageing adottato dall’Unione Europea nel gennaio 2021, in Europa un adolescente su 5 è privo delle conoscenze digitali di base. green_paper_ageing_2021_en.pdf (europa.eu) pag. 5
(5) Oltre ai documenti citati nelle note al presente articolo e a quelli relativi agli articoli sul Rapporto Globale sull’Ageismo, volentieri riporto il documento di Kai Leichsenring, Direttore Esecutivo dello European Centre for Social Weklfare Policy and Research, sull’approccio life-course all’invecchiamento https://www.researchgate.net/profile/Kai-Leichsenring/publication/328225820_Ageing_40_-_Towards_an_Integrated_Life-Course_Approach_to_Population_Ageing/links/5bbf7832a6fdcc2c91f6a3e7/Ageing-40-Towards-an-Integrated-Life-Course-Approach-to-Population-Ageing.pdf

EnricoC'è chi li ha vicini e chi no, chi li ha persi e chi li ha tutti, e c'è chi ha anche la fortuna di avere anche i bis: i nonni sono le nostre radici, sono patrimonio dell'umanità per tutti quanti e a tutte le latitudini. Amatissimi dai nipoti, sanno educare come i genitori, ma con la dolcezza e la comprensione che viene dall'età (e, diciamolo dalle minori responsabilità). Senza dimenticare che in un Paese come il nostro sono il vero pilastro delle famiglie, specie di quelle dove entrambi i genitori lavorano. Insomma, i nonni meriterebbero di essere festeggiati 365 giorni l'anno!
La data del 2 ottobre è stata scelta perché coincide con il ricordo degli angeli custodi nel calendario dei Santi cattolico. Nella tradizione cattolica, i patroni dei nonni sono Gioacchino e Anna, genitori di Maria e nonni di Gesù, che vengono celebrati il 26 luglio. Proprio in relazione a tale ricorrenza, Papa Francesco ha stabilito che ogni quarta domenica di luglio, si tenga in tutta la Chiesa, La Giornata Mondiale dei Nonni e degli Anziani!
Dei miei nonni, ho un ricordo meraviglioso. Particolarmente dei nonni materni, Severina e Arturo. La nonna era nata a Castellaneta, il paese di Rodolfo Valentino, il nonno, era originario di Brindisi.
Mia nonna era una donna molto saggia. Non aveva mai voluto imparare a leggere e scrivere. E, nonostante gli sforzi del nonno che la invogliava di continuo, sapeva leggere i numeri del telefono che le avevano scritto belli in grande, su di una rubrica apposta per lei. Non ha mai detto a nessuno di essere analfabeta, diceva semplicemente che non ci vedeva. Era la regina della casa e, in cucina, faceva dei manicaretti – tipicamente pugliesi – da leccarsi i baffi. Mi sembra ancora di sentire il profumo delle sue focacce alte, con il pomodoro, e delle sue zuppe di pesce. Le cozze in guazzetto, bianco o rosso, erano sublimi.
Non amava molto le moine, ma sapeva dare amore e affetto senza bisogno di smancerie. Al telefono, era molto sbrigativa. Ai figli diceva che aveva da fare in casa e non aveva tempo da perdere.
Mi diceva sempre di studiare durante l'anno, perché dovevo essere promosso a giugno. E che gli esami di riparazione a settembre, mi avrebbero rovinato l'estate. Eravamo 4 nipoti. D'estate, la nonna preparava due tubi di carta pieni di monete da 50 e da 100 lire, per comprarci il gelato. A me e a Serena, più grandi, 10.000 lire. A Gabriele e Arturo, i più piccoli, 5.000 lire (ai tempi erano soldi!).
Mio nonno Arturo, faceva parte del personale viaggiante sui treni postali. A 80 anni sapeva ancora a memoria tutte le tratte ferroviarie che percorreva, sia italiane che europee! A Natale faceva un presepio così bello, che tutto il vicinato veniva a vederlo!
Erano nonni d'altri tempi, ma che nonni, i miei nonni!

Il 2 ottobre, da quest’anno, poi, si festeggiano anche gli OPERATORI SANITARI!
Questa festa è stata istituita per rimarcare le disuguaglianze di vita e di salute che affliggono le persone più vulnerabili. L'obiettivo è infatti duplice: ricordare ai leader politici la necessità di assicurare condizioni di vita e lavoro che favoriscano la salute, e l'accesso a servizi sanitari di qualità a tutte le persone che hanno bisogno di cure.
Il tema è particolarmente importante perché a quasi due anni dallo scoppio della pandemia, i gruppi di persone più vulnerabili, che sono esposti al rischio di malattie infettive, hanno difficoltà ad accedere alle cure e alle strutture sanitarie adatte.
Vivo da tanti anni la realtà di Villa Serena – una Residenza Sanitaria Assistenziale – che quanto ad assistenza e cure nei riguardi dei suoi ospiti, è unica e ineguagliabile. I pazienti che la abitano, soffrono delle patologie più diverse. C'è anche un reparto per i malati di Alzheimer.
Alcune persone sono autosufficienti, ed altre lo sono solo parzialmente, oppure no.
Qui tempo per annoiarsi non ce n'è! Infatti, questo sabato 2 ottobre, insieme agli operatori sanitari, dopo un buon pranzetto a sorpresa, con del buon vino e un buon caffè, abbiamo celebrato assieme la festa dei nonni, con una bella fetta di dolce (più lo mandi giù, e più ti tir su), ed i nostri fantastici operatori.
Il clima allegro e spensierato, ha fatto dimenticare per un momento, sofferenze e delusioni portati da questo mostro Covid!
Gli operatori sanitari, sono persone che avrebbero potuto benissimo scegliere un altro tipo di lavoro, ed invece sono qui con noi, e fanno di tutto e di più, per proteggerci tutelarci , e, per quanto possibile, renderci la vita meno amara!
Loro sono i nostri angeli custodi, e a loro va il nostro rispetto e la nostra gratitudine!

francesca carpenedoRicapitolando le due precedenti puntate, il fenomeno della discriminazione sulla base dell’età può coinvolgere diversi momenti della nostra vita; si può manifestare all’interno della comunità ma anche nei rapporti interpersonali o addirittura può essere auto-inflitta; è un fenomeno pervasivo tutt’altro che sporadico.
Dopo aver così inquadrato la situazione e averne valutato la dimensione e le conseguenze sui singoli e sulle comunità, il rapporto dell’OMS, indaga e sintetizza delle possibili vie di risoluzione al problema definendo 3 strategie principali di contrasto al suo manifestarsi, di formazione e di sensibilizzazione delle comunità sociali.
Lo smantellamento di comportamenti e attitudini discriminanti infatti passa attraverso l’implementazione ed il rispetto di regole, la crescita culturale e le relazioni sociali. Da qui i 3 ambiti di intervento identificati:
1. Sviluppo di politiche e interventi legislativi
2. Educazione e formazione
3. Interventi di contatto intergenerazionale

1. Sviluppo di politiche e interventi legislativi (1)
Le “politiche pubbliche” sono atti di indirizzo, impegni o regole coordinate che vengono intraprese dai governi, e dalle istituzioni in genere, per influenzare e modellare i comportamenti della società su temi di interesse comune. Esempi specifici ne sono l’istituzione di organismi di protezione o l’implementazione di piani d’azione riguardanti, ad esempio, il mercato del lavoro o il sistema sanitario per combattere l’ageismo e far sì che i diritti di tutti siano ugualmente assicurati e la partecipazione di tutte le fasce d’età garantita.
La “legge” – in una approssimativa e sicuramente superficiale definizione – corrisponde a quel sistema di norme vincolanti che regolano la convivenza di una comunità internazionale, nazionale o locale e che devono esser rispettate da tutti pena l’imposizione di sanzioni. È attraverso la legge che i diritti degli individui vengono garantiti.
Così definite, le politiche e le leggi possono contribuire alla progressiva riduzione delle forme di ageismo in vari modi.
Una prima via è quella di rendere illecito un determinato comportamento o una certa pratica prevedendo la comminazione di sanzioni a chi violi il divieto. Secondo la teoria della deterrenza questa modalità è efficace nell’influenzare la comunità attraverso la previsione di strumenti punitivi per coloro che, adottando un comportamento ageista, violano delle leggi che tale comportamento rendono illecito.
Oltre a renderlo illecito, le politiche e le leggi di un Paese possono – attraverso l’implementazione di una chiara norma sociale – far sì che la comunità consideri l’ageismo come socialmente inaccettabile.
In questo modo i sistemi legale e di governo, forzando la comunità ad adottare un modello comportamentale definito possono – secondo la teoria della dissonanza cognitiva – arrivare a modificare l’intima attitudine delle persone che devono riconciliare il proprio comportamento – imposto – con i propri “sentimenti”.
È anche possibile forzare l’eterogeneità di determinati gruppi e modellare l’ambiente fisico e sensoriale circostante in modo da influenzare il grado di implicito pregiudizio che gli individui manifestano. Ad esempio inserendo nel luogo di lavoro rappresentanti di un particolare gruppo (in questo caso persone anziane), o proibendo la diffusione di immagini svilenti.
L’utilizzo di questi strumenti deve comunque fare i conti con alcune necessarie limitazioni e il superamento di alcuni punti di stallo. Esistono infatti particolari circostanze in cui la distinzione in base all’età risulta fondamentale e legittima. Ad esempio nel determinare chi ha diritto ai benefici pensionistici. In questo caso la definizione del gruppo in base all’età risulta l’unico modo efficace e giusto per raggiungere un determinato risultato o obiettivo.
Il principio informatore dovrebbe essere, in ogni caso, la valutazione se la categorizzazione in base all’età si concreta in un comportamento che va - o meno - a ledere i diritti fondamenti della dignità, dell’autonomia e della partecipazione o se una legittimazione dipende da valutazioni inficiate da stereotipi e pregiudizi.

2. Educazione e formazione (2)
Gli interventi educativi per ridurre e combattere l’ageismo possono coinvolgere tutti gli stadi ed i gradi della fase formativa, partendo dalle scuole elementari, per arrivare fino ai corsi di laurea e/o di specializzazione post-diploma.
Il rapporto dell’OMS identifica due filoni principali attraverso cui si può fare formazione contro la discriminazione per età:
A. Educazione attraverso l’informazione, la conoscenza e l’aumento delle competenze allo scopo di ridurre gli stereotipi, i pregiudizi e le discriminazioni. Questi interventi partono dal presupposto che stereotipi, pregiudizi e discriminazioni sono conseguenza diretta dell’ignoranza, di errate convinzioni e pensiero superficiale. Lavorando quindi su informazioni dettagliate e corrette, sulla demolizione dei falsi miti e sulla formazione di visioni articolate delle varie fasi della vita, è possibile correggere i comportamenti errati.
B. Educazione attraverso lo sviluppo della comunicazione empatica che, attraverso giochi di ruolo, esperienze virtuali immersive e scambio intergenerazionale, hanno lo scopo di promuovere una diversa prospettiva attraverso cui meglio comprendere l’esperienza della vita quotidiana di una persona anziana, non solo nella difficoltà ma anche nella partecipazione sociale. Questo tipo di approccio educativo, che sembra avere molto seguito, fa leva sulla capacità degli individui di avvertire le emozioni degli altri e di immaginare ciò che un’altra persona pensa o sente. Lo scopo è quello di creare capacità di immedesimazione e, attraverso questo, sviluppare maggiore comprensione e, di conseguenza abbattere le barriere dell’ageismo.
Gli interventi educativi possono essere fisici (face-to-face) o essere condotti on-line; possono avere la forma di veri e propri corsi dedicati oppure essere integrati come moduli specifici in altri corsi. Infine possono essere integrati in esperienze dirette di servizio alla comunità (stage lavorativi, esperienze di corsia ospedaliera, ecc).

3. Interventi di contatto intergenerazionale (3)
Un’altra importante strategia di lotta all’ageismo consiste nell’implementare azioni che promuovano il contatto e la cooperazione tra rappresentati di diversi gruppi di età al fine di raggiungere determinati obiettivi che possono essere lavorativi, culturali o di svago.
Consistono in attività che prevedono il contatto diretto tra rappresentanti di diverse generazioni e altre che, viceversa, prevedono un contatto indiretto. Il contatto diretto consiste nell’interazione faccia a faccia, ad esempio, per trasferire competenze lavorative o nell’ambito di luoghi di residenza condivisi. Anche le interazioni familiari tra nonni e nipoti e le forme di relazione amicale intergenerazionale sono un esempio di contatto diretto.
Il contatto indiretto si manifesta quando un amico appartenente al medesimo gruppo anagrafico, intrattiene rapporti di amicizia con un esponente di un’altra generazione e si basa sull’idea che gli amici degli amici sono anch’essi amici, stabilendo così una relazione positiva tra gruppi distinti per età.
Gli studi condotti dall’OMS sulle buone pratiche e i progetti adottati in diversi Paesi, hanno dimostrato l’efficacia delle 3 strategie sopra identificate nel ridurre i comportamenti ageisti nei confronti delle persone anziane. Il rapporto però sottolinea come i risultati attesi possano richiedere anche parecchio tempo prima di manifestarsi e come l’implementazione di azioni e progetti e la predisposizione di politiche comportino dei costi che devono comunque essere compatibili con i risultati, anche se di lungo periodo.
Un altro punto che il rapporto non manca mai di sottolineare è la scarsità di informazioni, in special modo nei Paesi in via di sviluppo, ma anche in quelli più ricchi. E dove le informazioni sono reperibili, spesso non sono validate e/o non sono confrontabili con simili indagini condotte in altri Paesi. Il rapporto globale si conclude quindi con la definizione di 3 raccomandazioni generali per rispondere efficacemente ai comportamenti discriminatori e prevenire l’ageismo in tutte le sue forme (4):
1. Investire, in via prioritaria nell’implementazione delle tre strategie identificate e supportate dalla verifica della loro efficacia
2. Sviluppare o migliorare la ricerca e la raccolta dei dati sui fenomeni di ageismo e sull’efficacia dei rimedi per meglio comprendere il fenomeno e ciò che funziona per ridurlo
3. Ogni organismo e ogni singolo individuo è importante e riveste un proprio un ruolo nel cambiamento della narrativa riguardo l’età avanzata e l’invecchiamento: tutti dobbiamo essere coinvolti.

Ma non finisce mica qui…
In seguito alla pubblicazione del rapporto e in adempimento della terza raccomandazione, anzi forse proprio per stimolare la nascita di un movimento per la lotta contro l’ageismo, l’OMS ha intrapreso una serie di iniziative, prima tra tutte la costruzione di una piattaforma dedicata all’Healthy Ageing dove tutti, ma proprio tutti possono cercare informazioni, pubblicare materiale di ricerca o risultati di progetti (5).
Un’altra interessantissima iniziativa, forse ancora più specifica, riguarda il lancio della “Global Campaign to Combat Ageism”, un progetto molto articolato i cui dettagli si possono trovare sulla pagina dedicata (6) all’interno della quale è anche possibile scaricare, oltre al “Global Report on Ageism” in formato PDF, una serie di strumenti – tra cui slides, suggerimenti per intraprendere azioni, sviluppare conversazioni e discussioni sul tema dell’ageismo in diversi contesti sociali e sui social media – messi a disposizione dall’OMS e utilizzabili da tutti coloro che sono interessati a promuovere azioni e progetti nella propria comunità.
Nella giornata mondiale delle persone anziane (1° ottobre 2021), infine, l’OMS ha lanciato una nuova campagna "Ageism through the Ages" che si concluderà il 20 novembre prossimo, giornata internazionale del bambino, allo scopo di richiamare l’attenzione di tutti proprio sull’ageismo e sui suoi diversi modi di manifestarsi. L’invito per tutti è di visitare la pagina (7) e lasciarsi coinvolgere dalle diverse iniziative, notizie ed eventi.
Per parte mia, ho pensato che potesse essere utile proporre sulle pagine di Per Lunga Vita una sintesi del documento principale, dal momento che ancora non esiste una traduzione in italiano. Spero di aver suscitato almeno una scintilla di interesse nei lettori: mi sembrerebbe di aver già fatto molto e mi sentirei già parte del movimento per il cambiamento!

Vorrei infine dedicare queste 3 piccole puntate al dr. Giorgio Avon che con la sua passione ed i suoi modi gentili ha saputo entusiasmare me e tanti altri al mondo degli anziani e della geriatria.
Ciao Giorgio

E per finire, questa volta sul serio, vorrei usare le domande proposte dal Fraboni scale of ageism e proporvi il gioco del QUANTO SIAMO AGEISTI?

The Fraboni Scale of Ageism FSA (1)

(Misurazione dell’Ageismo Fraboni)

A fianco di ogni frase mettere il numero che meglio descrive la propria risposta in base alla seguente ordinamento:

Totale disaccordo = 1 punto

Disaccordo = 2 punti

Condivido = 3 punti

Condivido completamente = 4 punti

* Le affermazioni contrassegnate da asterisco hanno punteggio inverso

1. Il suicidio di un adolescente è un evento più tragico del suicidio di una persona anziana

2. Dovrebbero esistere dei club speciali, separati all’interno degli impianti sportivi, in modo che le persone anziane possano competere al proprio livello

3. Molte persone anziane sono avare e accumulano il proprio denaro e i propri beni

4. Molte persone anziane non sono interessate a fare nuove amicizie preferendo invece il circolo di amici che frequentano da lungo tempo

5. Molte persone anziane semplicemente vivono nel passato

6. A volte mi capita di evitare di incrociare gli sguardi con le persone anziane quando le incontro

7. Non mi piace quando le persone anziane tentano di iniziare una conversazione con me

*8. Le persone anziane meritano gli stessi diritti e le stesse libertà degli altri membri della società

9. Non ci possono aspettare conversazioni articolate e interessate dalla maggior parte delle persone anziane

10. Sentirsi depressi quando intorno ci sono persone anziane è probabilmente un sentimento comune

11. Le persone anziane dovrebbero trovarsi amici della stessa età

*12. Le persone anziane dovrebbero sentirsi accolte durante i ritrovi e raduni sociali di persone giovani

13. Preferire non andare a raduni aperti nei club di persone anziane, anche se invitato/a

*14. Le persone anziane sanno essere molto creative

15. Personalmente non vorrei passare molto tempo con le persone anziane

16. Alla maggior parte delle persone anziane non dovrebbe essere permesso rinnovare la patente

17. Le persone anziane non hanno una reale necessità di usare gli impianti sportivi della comunità

18. Alla maggior parte delle persone anziane non dovrebbero essere affidati i bambini

19. Molte persone anziane sono più felici quando sono circondate da persone della stessa età

20. Sarebbe meglio se le persone anziane vivessero dove non possono disturbare nessuno  

Nota: (1) da: Fraboni, M., Saltstone, R., Cooper D., & Hughes, S. (1990). The Fraboni Scale of Ageism. Canadian Journal on Aging 9(1), 56-65

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Note:

(1)The Global Report on Ageism, Geneva, World Health Organization, 2021: Chapter 6, pag. 95 e ss.

(2)The Global Report on Ageism, Geneva, World Health Organization, 2021: Chapter 7, pag. 114 e ss.

(3)The Global Report on Ageism, Geneva, World Health Organization, 2021: Chapter 8, pag. 125 e ss.

(4)The Global Report on Ageism, Geneva, World Health Organization, 2021: Chapter 10, pag. 153 e ss.

(5)UN Decade of Healthy Ageing - The Platform

(6)Demographic Change and Healthy Ageing - Combatting Ageism (who.int)

(7)Ageism Through the Ages (decadeofhealthyageing.org)

francesca carpenedoQuesto mese vorrei introdurvi al Rapporto globale sull’ageismo, pubblicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel mese di marzo di quest’anno.
Il termine "ageismo", anche se non di uso comune, è ormai noto a molti di coloro che si occupano dei problemi che ogni giorno affrontano le persone con più di 65 anni così come ad una certa fascia di ricercatori e decisori politici.
Ma perché doverci scrivere sopra un intero rapporto di addirittura 202 pagine?
Un breve salto indietro: in seguito all’evidente e generale processo di invecchiamento della popolazione, nel 2016 fu pubblicato uno scritto dal titolo Global strategy and action plan on ageing and health (2) il cui obiettivo è di portare all’attenzione dei Governi nazionali il tema dell’invecchiamento della popolazione e le sue ricadute in termini sanitari ed economici. Nello specifico si sottolinea che, considerata la tendenza demografica ormai radicata e partendo dall’assunto che la possibilità di invecchiare concessa agli uomini è una conquista – anche se a volte presenta delle sfide importanti – le risposte delle comunità nazionali ed internazionali all’invecchiamento non si possono permettere di ignorare queste nuove sfide ma, al contrario, ci si deve impegnare nel trovare e garantire modalità di recupero, modelli di adattamento e sviluppo e garanzie di conservazione della dignità e, aggiungo io, protezione dei diritti.
Prerequisto essenziale allo sviluppo di efficaci politiche e per la promozione dell’invecchiamento sano (healthy ageing) è la lotta all’ageismo, principale ostacolo alla riduzione delle ingiustizie, alla corretta angolatura da cui guardare alle persone che invecchiano e alla promozione di una comunità di scambio intergenerazionale.
Stesse conclusioni si ritrovano all’interno del piano d’azione The Decade of Healthy Ageing (3) che identifica nella lotta alla discriminazione sulla base dell’età una delle quattro aree d’azione prioritarie (4).
L’argomento è quindi importante e non può essere sottovalutato se non si vuole rischiare di compromettere le azioni future – in termini di sviluppo delle politiche nazionali, ma anche di progetti a livello locale – a favore delle popolazioni anziane, ma anche delle generazioni più giovani.
Per questo motivo l’OMS ha ritenuto importante dedicarvi uno studio approfondito che circoscriva in modo accurato la natura, la dimensione, i motivi del suo manifestarsi, l’impatto e le strategie più efficaci per combattere l’ageismo.
“Ageism” definisce il modo in cui pensiamo (stereotipo), percepiamo (pregiudizio) e agiamo (discriminazione) nei confronti delle persone o di un gruppo eterogeneo definito in base all’età. Mentre il termine è stato usato per la prima volta nel 1969 da un gerontologo di nome Robert Butler, la sua definizione è variata nel corso degli anni al fine di renderla universalmente omogenea anche laddove non esista un termine definito nelle diverse lingue nazionali (ad esempio il termine tedesco Atersdiskriminierung riferisce solo all’aspetto discriminatorio) (5). Anche nella lingua italiana non ritrovo un termine che possa comprendere l’attitudine generale verso un gruppo caratterizzato per età e, per il momento, ci si accontenta di italianizzare il termine anglosassone.
In ogni caso “ageism” non identifica necessariamente un’attitudine negativa, né il gruppo eterogeneo delle persone di età superiore ai 65 anni, riscontrandosi parecchi esempi anche nelle generazioni più giovani.
L’ageismo quindi si caratterizza per dimensione, contesto e forma di manifestazione.
1. 3 le dimensioni di manifestazione. Stereotipo, pregiudizio e discriminazione sono espressioni delle dimensioni psicologiche: pensiero, sentimento e azione o comportamento.
2. 3 i contesti. Fenomeni di ageismo si ritrovano nelle istituzioni, nei rapporti interpersonali e come forma di auto-denigrazione.
3. 2 le forme di manifestazione. L’attitudine ageista può essere esplicita (il comportamento discriminatorio nei confronti delle persone definite per età è consapevole) o implicita (l’attitudine ageista è inconscia).

Le 3 dimensioni
STEREOTIPO, PREGIUDIZIO e DISCRIMINAZIONE sono espressione di diverse facoltà psicologiche dell’uomo.
Gli stereotipi vengono definiti come strutture cognitive dove vengono immagazzinate una serie di credenze o aspettative riguardo le caratteristiche che definiscono le persone appartenenti ad un medesimo gruppo identificato, in questo caso, in base all’età. Gli stereotipi sono in grado di influenzare i nostri comportamenti e governare le informazioni che intendiamo ottenere o che ricordiamo. Nel caso specifico possono guidare le conclusioni che elaboriamo rispetto alle capacità cognitive e fisiche, allo stato di salute, ecc. e possono farlo in modo positivo o negativo.

tabella Francesca

Il contesto culturale, le caratteristiche sociali, la collocazione geografica e l’età del soggetto ageista a loro volta influenzano la formazione di particolari stereotipi rispetto ad altri che si generano in altri contesti.
Il pregiudizio è una risposta emotiva, positiva o negativa, diretta verso una persona che noi percepiamo come appartenente ad un determinato gruppo. I sentimenti di compassione o empatia sono forme comuni di pregiudizio nei confronti delle persone anziane allo stesso modo in cui paura o avversione possono essere sentimenti diretti nei confronti di persone giovani sulla base dell’assunto che i giovani sono tutti delinquenti e fannulloni.
La discriminazione consiste nelle azioni o nei comportamenti che noi teniamo quando interagiamo con le persone sulla base della loro percepita appartenenza ad un gruppo socialmente definito e che si concretizza in uno svantaggio (discriminazione negativa) o un vantaggio (discriminazione positiva) rispetto al resto della comunità.
Nel caso dell’ageismo la discriminazione si concreta in comportamenti – incluse azioni, consuetudini e politiche – diretti verso persone appartenenti alla medesima classe di età: datori di lavoro che impediscono ad un lavoratore giovane di condurre un progetto solo perché lo ritengono troppo giovane e inesperto o che negano un corso di formazione / aggiornamento ad un lavoratore più anziano solo perché lo ritengono troppo vecchio per beneficiarne, sono esempi di ageismo, così come il pensionamento obbligatorio o il rifiuto di prestare determinate cure sanitarie.

I 3 contesti
ISTITUZIONI, RAPPORTI INTERPERSONALI e AUTO-COSCIENZA sono i tre contesti principali che il rapporto dell’OMS identifica per spiegare le diverse manifestazioni di comportamenti ageisti.
Per istituzione si intende il contesto sociale in cui tutti ci troviamo a vivere: sono le leggi, le regole e le norme sociali, le politiche e le pratiche adottate dalla comunità (uffici pubblici e privati) che di fatto si possono trovare nella posizione di operare restrizioni ingiuste che si traducono in situazioni di svantaggio in cui si vengono a trovare le persone appartenenti ad una determinata classe di età. Si riferisce anche alla promozione di specifiche ideologie o narrazioni che alcune istituzioni adottano intenzionalmente per giustificare il proprio ageismo. E’ particolarmente subdolo: annidandosi all’interno di norme comportamentali e pratiche consolidate spesso non viene nemmeno riconosciuto. E poiché il comportamento discriminatorio non sempre risiede in una specifica volontà, per determinare una forma di ageismo istituzionale non consideriamo un comportamento quanto piuttosto il risultato che questo comportamento ha prodotto. Un caso classico in letteratura è quello dell’ageismo sanitario che si verifica quando un trattamento, la disponibilità di particolare attrezzatura o la possibilità di eseguire esami preventivi viene negata unicamente sulla base dell’età del paziente. In questo senso il CoViD19 ha spalancato il sipario su pratiche ormai consolidate sia nelle strutture sanitarie, ma – ancor peggio – nelle strutture residenziali, luoghi per vocazione deputati alla protezione delle persone più fragili.
L’ageismo interpersonale si manifesta invece all’interno delle relazioni tra due o più persone appartenenti a due diverse classi di età. Il vocabolario semplificato o un tono di voce infantile molto spesso sono un segnale della considerazione e delle aspettative verso una persona anziana, così come un tono condiscendente o il mancato rispetto dei diversi punti di vista di una persona più giovane o più anziana.
L’ageismo auto-inflitto invece è sintomo di internalizzazione e accettazione di pregiudizi che permeano la comunità che ci circonda: nel lungo periodo, la ripetuta mancanza di rispetto o di considerazione inducono sentimenti di inadeguatezza e insicurezza sulle proprie capacità e sul proprio posto all’interno della società.

Le 2 forme
I nostri comportamenti e le nostre azioni possono essere volontari o inconsci. La stessa cosa accade con l’ageismo. Una persona può essere consapevole di attivare delle dinamiche ageiste nei propri rapporti con il prossimo, in modo da procurare vantaggio o svantaggio nei confronti di altre persone appartenenti ad una classe di età diversa.
Altre volte invece le persone attivano questi modelli comportamentali in modo inconscio. Questo succede per due motivi principali:
1. Il “perpetratore” non ha a disposizione sufficienti strumenti per riconoscere la propria attitudine (ad esempio nel caso del personale delle case di riposo non adeguatamente formato o in numero insufficiente rispetto alle necessità o con poco tempo a disposizione per svolgere le proprie mansioni)
2. La persona ageista è calata in un contesto culturale dove i comportamenti discriminatori sono diventati uso comune e vengono routinariamente reiterati dalle istituzioni, internalizza questo modello e lo ripropone in modo inconsapevole.
Questa definizione di agesimo propone una visione in cui le varie componenti sono in grado di interagire le une con le altre rinforzandosi in modo tale da rendere difficile nel tempo la sua eradicazione. L’ageismo fa parte di noi. In modo conscio o inconscio, nei nostri comportamenti verso l’altro o all’interno delle nostre istituzioni. Riconoscere questo fatto ci aiuta a circoscrivere in modo consapevole il fenomeno e a rompere quel circolo vizioso che impedisce di vedere la persona (giovane o vecchia che sia) per quello che è, valorizzandone le capacità e integrandola in modo efficace nella comunità.
(continua…)

Note:
(1) La versione integrale del rapporto può essere scaricata gratuitamente dal sito della World Health Organisation https://www.bing.com/search?q=global+report+on+ageism&form=QBLH&sp=-1&pq=global+report+on+ageism&sc=1-23&qs=n&sk=&cvid=00446A7BA3104836AA87A0B41E80758A
(2) Global strategy and action plan on ageing and health. Geneva, World Health Organization, 2017, 17240_Multisectoral action for a life course approach to healthy ageing-draft global strategy and plan of action on ageing and health For Web (who.int)
(3) La World Health Organization, in collaborazione con le Nazioni Unite ha attivato una piattaforma dedicata alla Decade of Healthy Ageing aperta a tutti: UN Decade of Healthy Ageing - The Platform
(4) Le quattro aree di azione prioritarie identificate dal programma The Decade of Healthy ageing sono: 1. Lo sviluppo di comunità che favoriscano le abilità delle persone anziane; 2. Lo sviluppo di programmi di assistenza integrati che mettono al centro la persona nella sua complessità e di un programma di assistenza di base che risponda alle necessità delle persone anziane; 3. Garantire alle persone che ne hanno necessità l’accesso all’assistenza di lungo termine; 4. La lotta all’ageismo, che risulta essere principio informatore nel raggiungimento degli altri tre obiettivi
(5) The Global Report on Ageism, Geneva, World Health Organization, 2021: Introduction, Box 0.1, pag. XIX

alberto terrileL’obiettivo della vita umana è raggiungere il luogo in cui si stabilisce il collegamento tra l’uomo e la natura . R.W. Emerson 1836
Il nuovo carattere vulnerabile della natura sottoposta all’azione dell’uomo ci impone
una responsabilità verso di questa. Oggi, di fatto, è modificato, nella sua complessità, proprio il rapporto uomo-natura.
L’equilibrio è, definitivamente, compromesso nel momento in cui l’agire umano irrompe nel non umano e la dimensione umana diventa sempre più produzione di una dimensione artificiale a prescindere e a scapito di quella naturale.
“Perciò  se l’animo si distoglie dalle cose umane e si rivolge alle piante, agli animali, ai minerali, non è affatto un errore, come a volte si sente dire. Quell’atto può essere il segno di un puro sforzo di autoconservazione, il desiderio di prender parte ad un’esistenza superiore. Se le fontane si disseccano si va al fiume. Lì non è necessario credere ,il prodigio è palese.
Ernst Junger
Anni addietro iniziai a collaborare con "Casa Morando" interagendo con la dottoressa Rosanna Vagge con la quale condivido una nuova visione etica e a questo riguardo desidero raccontare una breve storia.
Una donna anziana , ospite della residenza Antonio Morando, era spesso triste e demotivata , non riusciva a interagire con la comunità. Aveva una storia contadina alle spalle, una storia che profumava di stagioni , di alberi in fiore e di animali che liberi si muovevano nell'aia del suo piccolo podere.
Rosanna decise che forse portare nel giardino della struttura due galline e un gallo avrebbero potuto sortire un effetto migliore rispetto a qualsiasi trattamento farmacologico antidepressivo. La donna tornò a sorridere e prese a stare meglio di giorno in giorno, aveva ritrovato il senso di quella che era stata la sua vita prima di consegnarsi all'ultimo capitolo dell'esistenza.
Questo evento diede il "LA" e la casa cominciò lentamente ad ospitare diverse specie. Ogni animale a casa Morando ha il suo nome, ve li presento:
Grace è un' oca dal carattere difficile, Rosy un'oca buona e dolce , Angy è l' anatra, Germano, il gallo, Anita e Zoe sono le galline più grosse mentre Gertrude è una gallina piccola mamma dei pulcini Qui Quo Qua ( di colore chiaro) e Emi, Evi, Eni ( di colore scuro) .
Poi c'è la Gatta rossa Vittoria, Cesare un gatto cieco e ancora mamma gatta Tinetta e l'altro figlio Topo sempre in giro assieme a un altro gatto di nome Eugenio .
Cosa significa per me l'espressione "fotografia etica" e come lavoro da fotografo
L’orientamento verso questo tipo di fotografia l'ho vissuto nella forma di una vera e propria richiesta interiore in relazione a quello che stava accadendo alla fotografia negli ultimi decenni.
Le riviste stavano pubblicando troppe immagini di superficie, molto compiacenti e autoreferenti, in virtù di una fotografia che faceva perno sul nome dell'autore rispetto al servizio che avrebbe dovuto avere.
Ritengo sia doveroso in certi casi fare un passo indietro e attraverso il nostro occhio lasciare che il mondo si mostri nel suo splendore come nelle sciagure. L'autore deve con maggior umiltà mettersi al servizio dei contenuti.
La mia missione è raccontare le storie del mondo e dell’uomo. Ho sempre avuto un animo orientato all’etica, il primo debutto è stato nel 1993 a Bagdad, ero partito con un’associazione benefica ed ero il fotografo di questa spedizione. Volevo fare un reportage, ho fotografato tanti volti convinto fosse giusto portare un messaggio, cioè che, nonostante la guerra, la vita continuava, primeggiando sul dolore, sulla morte, su tutta la bruttezza che una cosa atroce come un conflitto può generare .
Quando sono rientrato in Italia ho consegnato il servizio a un’ agenzia milanese che mi rappresentava assieme a tanti altri fotografi ma tutte le testate interpellate lo rifiutarono perché non era sottolineato il dolore di quella gente.
Avevo fotografato delle persone che continuavano a sopravvivere ma i loro sorrisi e la loro fierezza nei confronti della vita non avrebbero incrementato interesse nei lettori, mancava la tragedia, il dolore e quella retorica di cui si servono i media.
Da quel momento mi sono fatto tante domande. Mi sono reso conto che certa fotografia pratica una vera e propria “pornografia del dolore”.
Chi fa immagine ha una grossa responsabilità. Le nostre fotografie raggiungono ogni angolo del globo e per questo secondo me c’è bisogno di rivedere l'aspetto etico.
Certo l’estetica e la composizione hanno e avranno sempre una parte molto importante, ma resta la necessità di un messaggio, di un contenuto.
In questo senso l’estetica deve procedere mano nella mano con l’etica.
Con questo tipo di sguardo sono tornato ieri a casa Morando per mostrarvi la bellezza delle piccole cose, l' incanto di uomini e animali nella cornice di un piccolo spazio adornato con piante e fiori, un luogo animato d'umanità e semplicità.

francesca carpenedoAlle Nazioni Unite, lo scorso mese si è riunito l’Open-Ended Working Group on Ageing per lo svolgimento dell’11esima sessione di lavoro.
Il confinamento imposto da questo momento di grande sconvolgimento sanitario e sociale, ha avuto l’indiscutibile merito di permetterci di accrescere e sviluppare le nostre competenze e possibilità tecnologiche, sicché è stato possibile per la maggioranza di noi – altrimenti esclusi – assistere (e a volte contribuire) non solo alle sessioni plenarie, ma anche a tutte le riunioni organizzate a lato dell’evento principale.
Per i non direttamente coinvolti, l’Open-Ended Working Group on Ageing è un gruppo permanente di lavoro e ricerca, nato per iniziativa dell’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite nel 2010 allo scopo di valutare il quadro legislativo internazionale a protezione dei diritti umani delle persone anziane, identificare i vuoti normativi esistenti e i modi più appropriati per colmarli, incluso lo sviluppo di nuove misure e strumenti. (1)
Considerata la situazione globale emersa, nel corso degli anni si è imposta con sempre maggiore forza l’opportunità di concentrare il proprio lavoro sullo sviluppo di una nuova Convenzione per la protezione dei diritti delle Persone Anziane.
E attorno a questo argomento si sono concentrate le ultime sessioni, ogni anno considerando settori di interesse diversi. Nell’edizione di quest’anno si sono discussi in particolare lo stato dell’arte relativamente al Diritto di accesso alla giustizia e al Diritto al lavoro e all’accesso al mercato del lavoro.
Prendiamo ad esempio il Diritto al Lavoro.
In Europa la discriminazione sulla base dell’età è proibita dall’art. 21 della Carta Europea dei Diritti Fondamentali (2).
Nel 2000 è stata adottata la Direttiva EU che stabilisce il quadro normativo di riferimento per gli Stati membri in materia di lavoro e impiego. Essa sancisce il principio di pari trattamento dei lavoratori e l’obbligo di non discriminazione, tra gli altri, sulla base dell’età. Tuttavia la medesima Direttiva ammette deroghe al principio generale di non discriminazione, deroghe che devono essere giustificate dalla meritevolezza e legittimità dello scopo per le quali vengono invocate. E così i lavoratori più anziani – cioè coloro che si trovano nella fascia di età compresa tra i 50 anni e l’età pensionabile – si possono trovare nella situazione di dover subire discriminazioni dirette (come ad esempio trattamenti economici meno favorevoli rispetto a colleghi più giovani) e/o indirette (come i licenziamenti collettivi che spesso riguardano i lavoratori più anziani) senza peraltro poter invocare alcuna protezione. (3) Tutti eventi che in epoca di pandemia si sono più che amplificati impattando in maniera considerevole soprattutto sulle categorie dei lavoratori in odore di età pensionabile.
Per le lavoratrici donne la situazione è ancora peggiore: stipendi – e di conseguenza pensioni – mediamente inferiori, discriminazione in certi comparti lavorativi, impiego massiccio in mansioni assistenziali spesso non riconosciute. L’elenco è lungo.
Ostacoli ancora più importanti si presentano quando si consideri la possibilità di accesso alla giustizia da parte delle persone anziane.
L’Accesso alla Giustizia è un diritto cruciale per tutte le persone e per i soggetti fragili in particolare, ha affermato Claudia Mahler (4), ed è un prerequisito essenziale nel godimento degli altri diritti umani. Dev’essere inteso in termini ampi: comprende il diritto ad un processo giusto; include la possibilità di poter accedere fisicamente ai luoghi dove si amministra la Giustizia al pari delle altre persone; richiede uguaglianza con tutti i cittadini di fronte alla Corte; presuppone rimedi giusti e tempestivi a fronte di un crimine subito.
Non si tratta infatti solo di rimedio e riparazione ad un torto, ma di supporto economico per i meno abbienti, accesso a servizi di sostegno e di informazione per i più deboli, come ad esempio il particolare supporto di cui necessita una persona con difficoltà cognitive cui è stato sottratto con l’inganno il proprio patrimonio.
E il diritto di accedere ad una giustizia “giusta e inclusiva” è il presupposto per poter godere dei diritti fondamentali di dignità e autonomia.
Le barriere in questo contesto sono molte.
Oltre all’accesso fisico, ancora precluso in molte zone del mondo a causa della persistenza di barriere architettoniche e di distanza fisica dei luoghi dove si amministra la Giustizia, spesso i procedimenti legali non tengono conto delle speciali esigenze di una persona anziana; non usano cautele particolari nelle fasi di testimonianza, prevedono tempi lunghissimi e subiscono ripetuti rinvii; non prevedono assistenza speciale nel fornire informazioni supplementari su come far valere i propri diritti.
Le barriere sono anche di sistema. Spesso infatti il personale ed i professionisti che ruotano intorno al mondo della Giustizia non hanno la sensibilità o la formazione necessaria nel rapportarsi con le persone anziane (5).
Succede così, più frequentemente di quanto si pensi, che una persona anziana, in qualche modo offesa, decida di non difendersi perché le persone chiamate a tutelarla non reputano meritevole la causa (..“è vecchio, non riuscirebbe a vedere la fine della causa”, “è vecchio, magari ha capito male”, “è vecchio, cosa deve farsene dei soldi”…)
Il particolare interesse dell’edizione 2021 risiede nel fatto che le discussioni che si sono sviluppate erano arricchite dal particolare momento che stiamo vivendo: il CoVid19 ha infatti reso ancora più evidenti alcuni tratti che ostacolano il godimento dei diritti umani da parte delle persone anziane (ma ormai parliamo di persone dai 55 anni in su). Tutti gli interventi hanno sottolineato la prepotente emersione di una generalizzata attitudine ageista (6), oramai globalmente applicata e accettata nelle nostre società.
L’ageismo pervade tutti i settori della nostra vita: non solo mercato del lavoro e accesso alla giustizia ma anche formazione continua, accesso alle cure sanitarie, protezione sociale. Sono tutti ambiti dove la discriminazione verso le persone anziane è palese. Gli anziani, lungi dall’essere visti come una risorsa, sono anzi considerati un ostacolo alla prosperità delle giovani generazioni, cui tolgono risorse economiche e possibilità di lavoro.
Questa nuova consapevolezza ha d’altro canto permesso di comprendere appieno e meglio definire i motivi per i quali è necessario completare in breve tempo l’iter che porterà alla firma di una Convenzione ONU per la protezione dei diritti delle Persone Anziane, come a suo tempo successe con la Convenzione per la protezione dei diritti delle Persone con Disabilità. E questo è il miglior risultato dell’edizione di quest’anno dell’OEWG.
L’esortazione della comunità internazionale è rivolta a tutti i soggetti, associazioni e privati cittadini, per un’azione massiccia e collettiva affinché anche i governi nazionali acquisiscano questa consapevolezza e si attivino – a livello nazionale così come internazionale – per la promozione di una società inclusiva e rispettosa delle necessità delle persone anziane.

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Note

(1) United Nations Open-ended Working Group on Ageing
(2) L’art. 21 della Carta Europea dei Diritti Fondamentali recita: “È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale”
(3) The right to work in old age, Nena Georgantzi - AGE Platfrom Europe, marzo 2021
(4) Claudia Mahler dell’Istituto Nazionale Tedesco per i Diritti Umani, nel 2020 è stata nominata UN Independent Expert on the enjoynment of all human rights by older people
(5) United Nations, Open-ended working group on ageing, Eleventh session, Substative Inputs on the Focus Area “Access to justice”
(6) per AGEISMO si intende la stereotipizzazione, il pregiudizio e la discriminazione di una persona o di un gruppo sulla base dell’età