La crescita esponenziale della popolazione anziana da un lato e, dall’altro, la riduzione della spesa sociale, evidenziano i pesanti rischi che sottendono il sistema di welfare assistenziale italiano.

Un sistema, tra l’altro, a forte caratterizzazione “monetaria” che ha erogato non tanto servizi, quanto contributi economici quali, in primo luogo, l’indennità di accompagnamento e l’assegno di cura (a titolarità regionale).

Tali contributi economici sono stati di  fatto, per oltre l’80% degli anziani non autosufficienti , la sola contropartita  rispetto ad un crescente fabbisogno assistenziale per  fare fronte alle funzioni di vita quotidiana.

Un fabbisogno che, nella maggior parte dei nuclei familiari, ha trovato risposte in una attività condotta, in primo luogo, da milioni di donne (mogli, figlie, nuore…) che si sono fatte carico del lavoro e delle responsabilità della cura.

Una responsabilità che spesso non trova forme di conciliazione non solo con l’attività lavorativa, ma anche con quella prettamente familiare e che determina pesanti situazioni di stress, di depressione, di crescente isolamento sociale.

Sono queste persone, definite professionalmente “ caregiver familiari” (cioè coloro che danno od intendono dare un’assistenza rilevante e continuativa ad un proprio familiare in stato di bisogno) che di fatto hanno sorretto il sistema di welfare italiano in nome di un sentimento affettivo o di un senso del dovere filiale.

Un impegno nella cura che, con il prolungarsi della durata temporale dello stato di non autosufficienza del familiare assistito , rischia di far entrare in un circuito vizioso le vite di milioni di donne e di famiglie.

Un rischio che deve essere combattuto non solo con l’ampliamento dell’offerta di servizi (sia dal lato del pubblico che dal lato profit ) e la creazione di un mercato sociale dei servizi alla persona, ma anche attraverso azioni mirate verso la persona responsabile delle attività di cura.

Ciò nella consapevolezza che la relazione assistente/assistito  è complessa, basata su un equilibrio instabile che rischia di tradursi, nel dispiegarsi dell’azione di cura, in una relazione tra due fragilità a forte interdipendenza (soprattutto affettiva) e difficile da reggere in termini psicologici..

Non a caso molti caregivers, dopo alcuni anni di lavoro assistenziale, accusano disturbi alla salute riconducibili a forme di stress e depressione.

In diversi Paesi europei  sono stati normati , anche grazie a forti azioni di lobbyng  , diritti esigibili da parte dei caregiver familiari.

Ma di quali diritti stiamo parlando?

La funzione di caregiver è spesso assunta a fronte di una necessità, di un’emergenza, in assenza di una conoscenza di ciò che questo significa .

Si assume una responsabilità senza conoscerne la declinazione e le difficoltà che comporta nel breve e nel medio termine, senza avere elementi  puntuali rispetto alla patologia, all’evoluzione dello stato di salute della persona assistita e di ciò che questo potrà comportare non in senso astratto, ma nello specifico della relazione d’aiuto e della gestione delle funzioni di vita quotidiana .

Un bisogno di aiuto che spesso si traduce nella necessità di una continuità assistenziale ( sino a 24 ore su 24) di cui, per definizione, non può farsi carico una sola persona.

Entra quindi in campo quell’esigenza di “avere aiuto” che è stata alla base del fenomeno italiano del cosiddetto badantato  e che si è tradotto, per molte famiglie, in un significativo esborso finanziario a cui si è sommata l’ansia di agire “da soli” (o per circuiti spesso informali/irregolari) nella ricerca di una badante (perlopiù priva di elementi base per la relazione d’aiuto e l’attività di cura) a cui affidare compiti di caregiving

Appare evidente, quindi, che si tratta di garantire in primo luogo un diritto all’informazione.

Informazione sulla condizione dell’assistito, sul ruolo/responsabilità/compiti di chi assume la funzione di  caregiver, sui servizi in essere sul territorio e sulle relative modalità di accesso.

Ma di sola informazione si tratta? Se è vero che l’informazione è condizione prima per l’assunzione di un compito, è pur vero che, per esercitarlo, occorre acquisire le conoscenze e le pratiche ad esso connesse.

Ed allora entra in campo il diritto alla formazione. Quale formazione? Non certo la formazione tradizionale che prescinde, in termini di tempi di realizzazione e di contenuti formativi, da specificità di caso.

Occorre mettere a disposizione, contestualmente al manifestarsi del bisogno e alla decisione di “dare cura”, una formazione immediatamente accessibile e personalizzabile in termini di contenuti (in tal senso la scrivente ha progettato e realizzato, nell’ambito della cooperativa Anziani e non solo, un corso per caregiver familiari fruibile, a domanda individuale, on line e con moduli formativi opzionabili dall’utente) che consenta da subito di accompagnare l’azione di cura.

L’informazione e la formazione devono altresì accompagnarsi alla crescita di un mercato di servizi professionali a cui, a fronte del mutare del carico assistenziale e sanitario del familiare, il caregiver possa rivolgersi per acquisire le prestazioni ed i servizi di cui necessita (dall’aiuto domestico “tradizionale” a quello dell’assistente familiare o di prestazioni infermieristiche, riabilitative ecc….) per azioni di sollievo, temporanee o rispondenti a necessità di long term care.

Basti pensare, in tale ambito, alle politiche messe in campo in Francia per sostenere la domanda di servizi alla persona : dalla semplificazione burocratico-amministrativa, alla deducibilità fiscale, a marchi di qualità, alla certificazione delle competenze….

Essenziale è anche la creazione a livello locale, di punti/luoghi di ascolto in grado di favorire lo scambio di esperienze e forme di mutuo aiuto.

Se è vero che in questo campo esistono positive esperienze in particolare connesse a patologie di tipo cognitivo come ad es. la demenza senile ed il morbo di Alzheimer, è pur vero  che per  caregiver di persone colpite ad es. dal morbo di Parkinson, da ictus, da SLA ecc…..mancano punti/luoghi di aggregazione, di confronto, di scambio di informazioni e di prassi…..

Il riconoscimento giuridico della figura del caregiver/carer ha portato, ad esempio, in Inghilterra, non solo a rilevare statisticamente (attraverso il censimento) l’impatto anche economico del ruolo svolto, ma anche a vincolare la predisposizione del piano assistenziale individuale ad un colloquio con il caregiver  teso a rilevarne la disponibilità e la consapevolezza al ruolo di cura (domiciliarità come scelta e non come necessità non solo per l’assistito ma anche per chi deve farsi carico dell’assistenza).

In sintesi : occorre riconoscere il ruolo del caregiver e agire affinché la persona che fornisce cura personale, sostegno ed assistenza ad un’altra persona che ha bisogni speciali per motivi quali disabilità, malattie croniche o temporanee, malattie mentali, fragilità o vecchiaia, possa godere degli stessi diritti, scelte ed opportunità delle altre persone in termini di vita personale, di partecipazione alla vita familiare e a quella sociale nonché partecipare ad azioni formative al ruolo nella fase del caregiving e , nel post caregiving, tese a favorire il rientro nel mercato del lavoro valorizzando le competenze acquisite nell’esperienza di cura (in tale direzione vedi anche la ricerca compiuta da SOFIA scs nell’ambito del progetto europeo “Life after care”).

 I caregiver familiari devono essere valorizzati nel loro ruolo nell’ambito di comunità che supportano ed aiutano l’azione di cura : ad esempio in termini di servizi di supporto alla domiciliarità svolti da organizzazioni di volontariato nell’ambito della governance pubblica, in termini di convenzioni tra imprese/organizzazioni d’impresa e soggetti istituzionali e no profit per favorire l’attivazione di servizi a supporto della conciliazione (vedi ad esempio il disbrigo di pratiche, l’accompagnamento sociale …).

E’ in questa ottica che Cooperativa sociale SOFIA ed Anziani e non Solo hanno promosso in Italia l’esperienza inglese ed irlandese delle giornate della comunità locale dedicate al caregiver.

La prima esperienza in tal senso si è tenuta a Carpi, con il patrocinio del Comune di Carpi, dell’Azienda sanitaria e di 14 associazioni di volontariato aderenti alla consulta del  volontariato ,il 21 maggio scorso (vedi  la relativa documentazione in www.caregiverfamiliare,it) .

Si tratta di un inizio : l’inizio di un percorso teso, anche in Italia, a far riconoscere il ruolo ed i diritti del familiare che si prende cura. Un cammino difficile, complesso, che si scontra con la disinformazione, i pregiudizi, la scarsità di risorse della fase economica e sociale che stiamo vivendo……ma che mette in campo bisogni concreti  e non procrastinabili a cui portatori di interesse, politici, ricercatori e  professionisti devono essere in grado di dare risposte.