Il testo di legge sulla Riforma del Terzo settore, recentemente emanato dopo due anni di lavori parlamentari, costituisce un’innovazione normativa importante perché affronta con una visione d’insieme un settore molto differenziato al suo interno e, come qualcuno sottolinea, piuttosto “magmatico”. Al processo di differenziazione-specializzazione del composito universo di soggetti privati che erogano e producono servizi di pubblica utilità senza scopo di lucro, che si è determinato a partire dagli anni ’80, ha fatto seguito il riconoscimento giuridico delle diverse famiglie di questa galassia.
La nostra legislazione, stratificatasi nel tempo e a “canne d’organo”, aveva pertanto esigenza di una revisione organica della disciplina speciale e del titolo II del libro primo del codice civile, ovvero di armonizzare, coordinare e semplificare le norme esistenti compresa la disciplina tributaria e le misure agevolative e di sostegno economico applicabili a tali enti.
Il testo della legge costituito di 12 articoli è di fatto una cornice con i punti cardine che orientano la riforma dettando finalità, principi e criteri di riordino e revisione della disciplina del Terzo settore con il relativo codice, le funzioni di vigilanza monitoraggio e controllo nonché le misure fiscali e di sostegno economico. Il testo dedica una particolare attenzione alle attività di volontariato, di promozione sociale e di mutuo soccorso - in termini più attuali di “auto mutuo aiuto” come importante risorsa di questo mondo - e intende rafforzarne l’identità specifica.
La legge poi contiene in sé come oggetti aggiunti e connessi la revisione normativa in materia di “impresa sociale” e del “servizio civile” universale, nonché l’istituzione della “Fondazione Italia Sociale”. Il testo nelle sue diverse aree di contenuto richiede ora l’emanazione dei decreti attuativi prescritti entro i prossimi dodici mesi.
Gli elementi del testo di legge che si possono considerare più rilevanti al riguardo sono:
1) il doveroso contributo definitorio e di delimitazione di campo del Terzo settore. Per la prima volta è stata dichiarata la sostanziale originalità del settore e la sua intrinseca appartenenza al paradigma operativo della sussidiarietà. Tale aspetto non è affatto secondario data l’incertezza prevalente sul tema tanto che nemmeno un’apposita commissione parlamentare di qualche anno fa ha saputo affrontare.(2) Viene così considerato Terzo settore «il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale, mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi».
La comunità scientifica internazionale si è limitata a definire il “non profit” ma con criteri variabili a seconda degli studiosi o delle scuole di pensiero. Vi è chi considera solo due criteri, ovvero la «natura giuridica privata» e il «non scopo di lucro» - senza far riferimento nemmeno all’«utilità sociale»(3) - mentre altri vi aggiungono una «costituzione formale», l’«autogoverno» e la «presenza di una certa quota di lavoro volontario». Al riguardo il testo di legge stabilisce anche i soggetti che non fanno parte del Terzo settore quali le formazioni e le associazioni politiche, i sindacati, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche, che invece l’ISTAT, in linea con l’Eurostat, inserisce tra le istituzioni non profit.
Un elemento di maggiore chiarezza andava fatto rispetto al principio di democraticità che è considerato nella legge ma che non entra nella definizione di Terzo settore, mentre si può considerare a mio avviso discriminante marcando così una differenza tra non profit e Terzo settore, usati come sinonimi o equivalenti anche dai nostri studiosi del fenomeno (Zamagni, Borzaga per citare i rappresentanti delle due principali scuole di pensiero). La tesi che qui si sostiene è che invece i due termini vadano differenziati in ragione di una valenza che li distingue sul piano valoriale e quindi sostanziale. A una prima analisi si può pensare che si tratti di una differenza solo lessicale per cui Terzo settore esprime meglio la peculiare e remota tradizione di intervento della nostra società civile organizzata e dà meglio l’idea di un universo “altro”, mentre il termine "non profit" è limitativo in quanto accentua l’aspetto economico del settore che non è la sua unica né prevalente caratteristica. Tuttavia tale differenza appare sostanziale se attribuiamo al Terzo settore la caratteristica peculiare e distintiva di essere espressione di democrazia partecipativa, oltre che di solidarietà e di utilità sociale. In tal caso il non profit rappresenta una categoria più vasta di soggetti, vincolati esclusivamente alla natura privata e alla non distribuzione degli utili. Il Terzo settore comprenderebbe invece le realtà che nascono dalla partecipazione dei cittadini e che sono gestite autonomamente, in modo democratico da tutti gli stakeholder(4) coinvolti. In tal modo il Terzo settore è contrassegnato dall’esercizio reale dei tre principi costituzionali, quello della libertà di iniziativa (principio di sussidiarietà che mutua anche la piena autonomia dell’organizzazione), della solidarietà (le attività svolte perseguono l’«interesse generale» e non solo l’«utilità sociale»), della democrazia (esalta il valore della partecipazione, della cittadinanza attiva). Non sono pertanto organizzazioni di Terzo settore, ma semplicemente non profit, quelle realtà che pur avendo una natura giuridica privata e il vincolo della non distribuzione interna degli utili, sono controllate da altri soggetti e/o gestite in modo non democratico, come lo sono per esempio le Fondazioni (per lo più) e gli enti ecclesiastici.
2) La declinazione dei principi generali che attraversano il Terzo settore e che fanno opportuno riferimento a quelli della Carta Costituzionale, di partecipazione democratica, solidarietà, sussidiarietà e pluralismo (citati gli artt. 2,3,18 e 118). Inoltre viene rimarcata la non subordinazione del settore ai principi dell’iniziativa economica privata in funzione di «realizzare prioritariamente la produzione o lo scambio di beni o servizi» - come appariva in una prima versione del testo di legge - affermando così che l’economia è per l’uomo e i suoi diritti e non il contrario. Il testo finale stabilisce il criterio di: «riconoscere e favorire l’iniziativa economica privata il cui svolgimento, secondo le finalità e i limiti di cui alla presente legge, può concorrere a elevare i livelli di tutela dei diritti civili e sociali». Tuttavia anche questa formulazione sarebbe potuta essere più coraggiosa stabilendo che “concorre” a elevare i livelli di tutela dei diritti civili e sociali e il benessere generale dei cittadini (funzione promozionale). In tal modo il Terzo settore è arena di partecipazione civica e persegue lo sviluppo economico delle nostre comunità con iniziative orientate all’«interesse generale» e non piegate alle esigenze produttive o da una preoccupazione meramente occupazionomica. Il Terzo settore è pertanto contaminato da una visione etica dello sviluppo e non solo dalla ideologia della crescita.
3) Facilitare la mission delle organizzazioni di Terzo settore (OTS) nel rispetto di norme che tengono conto della loro “funzione pubblica”. Il testo di legge intervenendo sul titolo II del libro primo del codice civile intende ampliare e semplificare la possibilità delle OTS di ricollocarsi con la veste organizzativa e giuridica più adeguata alla loro missione, «semplificando il procedimento per il riconoscimento della personalità giuridica» (ad esempio per ottenere la trasformazione diretta e la fusione tra associazioni e fondazioni). Nel contempo esse sono vincolate a obblighi di informazione da inserire negli statuti, anche verso terzi, di trasparenza, di forme di pubblicità dei bilanci, di garanzie nella gestione patrimoniale e di rispetto dei diritti degli associati. Si chiede così alle OTS comportamenti uniformi rispetto alla loro immagine pubblica, meno autoreferenziali e più corretti nella gestione economico-patrimoniale.
4) Il riordino e revisione della disciplina del Terzo settore, pur facendo salva la garanzia della autonomia statutaria degli enti, definisce “come” devono operare, quali sono le specifiche attività di interesse generale da sostenere - con le più ampie condizioni di accesso da parte dei cittadini secondo il principio delle “pari opportunità”. Qui è importante sottolineare che è ritenuto più importante quello che un ente di Terzo settore fa rispetto alla veste organizzativa che rappresenta. Pertanto verranno agevolate e incentivate le attività che maggiormente perseguono l’interesse generale, e che si occupano di categorie fragili o di cura di beni da tutelare e valorizzare.
5) Vengono prescritte le forme e le modalità di organizzazione, amministrazione e autocontrollo delle OTS ispirate sia ai principi valoriali che di merito come quelli di «efficacia ed efficienza, di trasparenza, di correttezza e di economicità nella gestione». Il testo chiede infatti garanzie circa la tenuta della contabilità e dei rendiconti, gli obblighi di controllo interno, la verifica periodica dell’attività svolta e delle finalità perseguite, la trasparenza e l’informazione degli stakeholder secondo modalità che tengano conto della dimensione economica dell’attività svolta e dell’impiego delle risorse pubbliche. Vengono stabiliti ulteriori obblighi per le organizzazioni che hanno appalti pubblici rispetto al trattamento economico dei lavoratori e alla pubblicizzazione di ogni tipo di corrispettivo economico attribuito ai componenti di organi, dirigenti e associati. Per le imprese sociali - qualifica attribuita anche alle cooperative sociali e loro consorzi - la legge prevede anche l’obbligo del bilancio sociale. Esse sono tenute a destinare i propri utili prioritariamente al conseguimento dell’oggetto sociale nei limiti massimi previsti per le cooperative a mutualità prevalente. La legge contempla la possibilità che le OTS possano realizzare attività di impresa in forma non prevalente e non stabile purché finalizzata alla realizzazione degli scopi istituzionali, con un’ibridazione di culture, quella dei valori associativi e quella della libertà di impresa.
La progressione e l’entità degli obblighi (fino alla certificazione antimafia) segue la caratura organizzativa e gestionale dell’ente, il suo utilizzo di risorse pubbliche, le attività svolte e il target dei beneficiari, ma ogni organizzazione che operano nel settore sono tenute a essere una “casa di vetro” per gli stakeholder di riferimento.
6) Il testo normativo riprende e ribadisce la legge 328/2000 che ha per prima valorizzato il ruolo delle OTS nella fase di programmazione, a livello territoriale, delle politiche sociali basate su un sistema integrato di interventi e servizi socio-assistenziali e ancor più ne allarga la funzione di partner delle istituzioni anche nel campo dei «servizi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, paesaggistico e ambientale». Per il sostegno a tale funzione si fa altresì carico della crescita della capacità rappresentativa e quindi della rappresentanza legittimata di tali enti affidandosi alle reti associative di secondo livello, da «riconoscere e valorizzare».
7) Dal punto di vista regolativo, una semplificazione importante riguarda la previsione di un Registro unico nazionale del Terzo settore, suddiviso in specifiche sezioni e da istituire presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. L’iscrizione al Registro «è obbligatoria per le OTS che si avvalgono prevalentemente o stabilmente di finanziamenti pubblici, di fondi privati raccolti attraverso pubbliche sottoscrizioni o di fondi europei…». Il sistema di verifica e di controllo dell’operato delle OTS non prevede alcuna istituzione di una nuova Authority ma affida i compiti a due soggetti:
- le reti associative di secondo livello e i Centri di Servizio per il Volontariato, relativamente all’aggregato della solidarietà organizzata, perché adottino adeguate ed efficaci forme di autocontrollo per le OTS;
- il Ministero del lavoro e delle Politiche sociali che si avvale anche di un nuovo organismo, il “Consiglio nazionale del Terzo settore” quale «organismo unitario di consultazione degli enti di Terzo settore a livello nazionale» composto dai rappresentanti delle reti associative di secondo livello. Ancora una volta la legge è rispettosa dell’autonomia e dell’autogoverno delle forze in campo del Terzo settore. Inoltre tale nuovo organo porta al superamento del sistema precedente degli Osservatori nazionali.
8) All’attività di volontariato, che permea anche le organizzazioni di promozione sociale e di mutuo soccorso, viene riservato un apposito articolo, sia per rafforzare e ribadire lo status identitario di volontario e la peculiarità delle organizzazioni di volontariato, basate sul carattere di gratuità e di estraneità alla prestazione lavorativa. Inoltre rafforza il ruolo dei Centri di Servizio per il Volontariato, finalizzati a dare a volontari e a organizzazioni solidaristiche, supporto e servizi di qualità - ma non erogazioni dirette in denaro o cessioni di beni mobili o immobili - garantendo a tali Centri un finanziamento stabile, secondo quanto stabilisce l’art. 15 della legge-quadro sul volontariato, e precisandone la governance, aperta alle altre OTS (con volontari) ma con un organo assembleare guidato dalla maggioranza assoluta di organizzazioni di volontariato. Vengono ribadite anche le funzioni di controllo di indirizzo, di gestione e di valutazione della qualità dei servizi erogati dai Centri che spettano ad appositi organismi.
9) Dal punto di vista fiscale viene superata la “giungla” di norme attualmente in vigore e adottato un sistema che premi - con vantaggi fiscali - solamente quelle realtà che effettivamente svolgono attività di utilità sociale con un dimostrato impatto sociale. Il testo prescrive anche la riforma strutturale del cinque per mille (sua stabilizzazione), la promozione delle iniziative di raccolta fondi e i comportamenti donativi delle persone e degli enti intervenendo anche sul regime della deducibilità dal reddito e sulla detraibilità dall’imposta lorda sul reddito delle persone fisiche e giuridiche delle erogazioni liberali, in denaro e in natura a vantaggio delle OTS. Il regime tributario di vantaggio è in linea con l’intento istituzionale di “favorire” l’azione di soggetti che perseguono l’interesse generale, come definito dal principio costituzionale della sussidiarietà.
Si tratta pertanto di una legge epocale in quanto per la prima volta e in modo organico definisce, promuove e regola il vasto mondo del Terzo settore, riconoscendone in modo definitivo la valenza e il contributo essenziale per lo sviluppo etico, sociale ed economico per il Paese.
+++++++++++++++++++++++++++++++++++
[1] Cfr. di Moro G., Contro il non profit, Bari, Editori Laterza, 2014.
2]Per affrontare questo problema nel 1997 era stata istituita in Italia una Commissione parlamentare finalizzata all’«indagine conoscitiva sul Terzo settore», senza tuttavia riuscire a fare chiarezza sulla sua definizione, come si evince dall’esame dei lavori resi ufficiali nel febbraio 2001, ovvero tre mesi dopo l’emanazione della L. 328/2000 (legge quadro per la realizzazione di un sistema integrato di interventi e servizi sociali) che dedica tutto un articolo, il numero 5, al ruolo del Terzo settore esplicitando i soggetti che ne fanno parte.
[3] Nella definizione assunta dall’ISTAT per i censimenti, manca l’accenno all’«utilità sociale» della missione degli enti non profit, per cui i criteri inclusivi concernono solo il “chi” sono e il vincolo economico (not for profit). Per cui nel censimento di questi enti entrano tutte le associazioni, non necessariamente a scopo solidaristico o per l’interesse generale oltre che di variegata natura e vocazione, da quelle religiose a quelle sindacali e partitiche.
4] Stakeholder è «ogni gruppo o individuo che può influenzare il raggiungimento degli obiettivi dell’impresa [o di una organizzazione] o ne è influenzato» secondo la definizione di Freeman R.E., Strategic Management. A Stakeholder approch, London Pitman, 1984, pag. 24.