Per la prima volta Rodari affronta il meraviglioso mondo della mitologia greca e racconta, con la sua consueta maestria, la storia di un personaggio femminile, l’eroina per eccellenza della produzione Rodariana, ovvero, la sua più completa rappresentante di un nuovo modello femminile, capace di lasciare il segno anche nell'immaginario dei lettori di oggi.
È un altro piccolo capolavoro dell'irrefrenabile fantasia di Gianni Rodari. (Atalanta . Atalanta Ed. Einaudi ragazzi (Storie e rime), 2009
Atalanta, è una femmina: nasce e subito è rifiutata dal re suo padre, che desidera un erede maschio.
Il padre decide allora di abbandonarla in un bosco.
La piccola Atalanta, viene salvata e allevata da un’orsa sotto lo sguardo vigile di Diana, la dea della caccia; quando ha tredici anni, parte sola alla scoperta del mondo e degli esseri umani.
La sua abilità nella caccia, la porta alla reggia di Calidone, dove ferma con una freccia un mostruoso cinghiale, che nessun uomo è stato in grado di abbattere prima di lei, e vede morire ai suoi piedi il Principe Meleagro. Fugge da quel luogo di dolore e cerca il suo destino: continua a viaggiare, a scoprire il mondo e compiere imprese straordinarie. Diventa un’atleta imbattibile, famosa in tutte le terre emerse. La piccola Atalanta, divenuta una giovane donna forte e coraggiosa, riesce, faticosamente, a ritagliarsi degli spazi d’autonomia, e di conoscenza della vita in tutte le sue forme, si ricongiunge con i genitori, gli adulti e soprattutto con il maschile, cresce curiosa e libera. Impara a essere coraggiosa e paziente, si misura con la gioia e il dolore, con la morte, con la complessità dell’esistenza.
Il suo coraggio, la sua forza d’animo, fanno sfigurare eroi come Tesco e Giasone, dei quali si conquista il rispetto e l’amicizia, e proprio quando è più convinta di non volersi innamorare, la ragazza scopre la magia irresistibile dell’Amore.
"Atalanta è felice quando trova un compagno, con cui correre, con cui non deve fingere di valere meno di lui e che anzi la ama per la sua forza, il suo valore e le sue capacità è “la vittoria dell’amore”.
Rodari in questo racconto non affronta soltanto la rilettura del mito di Atalanta, ma anche quello di alcuni miti molto celebri che riguardano le vicende amorose di altre donne, (Britomarti, Altea) e li usa per mettere in luce la difficoltà e i rischi generati da unioni in cui le donne siano costrette a rinunciare ai loro principi, a umiliarsi pur di riuscire a conquistare l’uomo che amano.
Ha incontrato il compagno che non le chiederà mai di sminuirsi per amor suo o di rinunciare a essere com’è: per questo potrà amarlo liberamente e così, insieme, potranno diventare qualcosa che prima non esisteva." (1)
Il romanzo si conclude quando Atalanta da fanciulla avventurosa diventa una donna, l’una e l’altra lottano: la donna ha deciso di sposarsi, la fanciulla detta le sue condizioni per la “gara” in cui nessuno, uomo o donna avrebbe potuto superarla.
[…] “ Della madre di Atalanta sappiamo soltanto che era una regina, ma una regina infelice perché non poteva dare un figlio al re, un erede al trono. A quei tempi, in Grecia, non vi era città grande o piccola che non avesse il suo re, la sua regina, i suoi principi. Piccoli borghi sperduti tra i monti o in una spaccatura della costa avevano una reggia e una corte, così come i nostri villaggi più poveri hanno un campanile. Il regno di Jaso non era, in sostanza, molto più largo di un lenzuolo, ma il suo orgoglio di sovrano non aveva confini. Quando la balia gli portò Atalanta, nata da pochi istanti, non volle nemmeno vederla.
- Via gridò pestando i piedi per la rabbia. E sputò sul pavimento: - Una femmina… Una principessa. - si provò a balbettare la balia.
- Non voglio principesse, io. Voglio un figlio vero, un maschio, un cacciatore, un guerriero. Non permetterò che la Grecia rida di me, che chiami la mia casa una casa di femmine.
La notizia della nascita di Atalanta non sarebbe arrivata più lontana di quel bosco laggiù, dove cominciava un altro regno , o dietro la collina , dove ne cominciava un terzo.
La Grecia non avrebbe né riso né pianto. Ma Jaso, nel suo furore, aveva già deciso. Chiamò il più fidato dei suoi servi e gli ordinò:
- Stanotte, quando tutti dormiranno, prenderai quel mostriciattolo, lo metterai in una cesta , lo porterai in cima alla montagna e lo abbandonerai. - Ma verranno le fiere. Volano le aquile, lassù.
- E tu lasciale volare. Torna a casa in fretta e che nessuno ti veda. La cosa rimarrà segreta tra me e te.
- Mi hai capito bene?
Il servo obbedì, perché non poteva fare diversamente. Quando fu notte, penetrò di nascosto nella camera della regina, tolse la neonata dalla culla, l’avvolse in una coperta perché non si udissero i suoi strilli, caso mai si fosse svegliata, e s’incamminò per il sentiero della montagna. Fece tutto quello che gli era stato ordinato, tornò senza farsi vedere e non disse nulla a nessuno.
La mattina dopo un’aquila fu vista volare reggendo tra gli artigli una coperta rossa. La balia riconobbe la coperta. Alla regina fu detto che l’aquila aveva rapito la sua bambina dalla culla. Forse così avevano voluto gli dei.
A quei tempi la gente era pronta a dare la colpa agli dei del male che faceva o subiva, ma la regina pianse a lungo, in silenzio. Essa non credeva alla cattiveria degli dei e conosceva bene suo marito.
Di lei la storia e la leggenda non dicono più nulla. E’ possibile che la poveretta sia morta di dolore.
Ma Atalanta non era finita in un nido di aquilotti affamati. Quando l’aquila si era calata a ghermire la preda, attratta dal colore vivo della coperta, la cesta era già vuota.
Un’orsa, prima dell’alba, era uscita in cerca di cibo per i suoi piccoli, Trovò la bimba ancora addormentata, la raccolse tenendo le fasce tra i denti e la portò nella sua caverna.
Questo è quello che raccontano gli antichi, ed essi dovevano ben sapere come andarono le cose.
Forse fu la stessa Atalanta, dopo che fu tornata tra la gente, a raccontare come era cresciuta tra gli orsi.
Una folta pelliccia bruna l’aveva riscaldata quando aveva freddo.
Aveva lottato per gioco con gli orsacchiotti, rotolandosi tra l’erba e le foglie. Aveva imparato con loro ad acquattarsi per sfuggire ai cacciatori, a riconoscere gli animali amici, a schivare le fiere nemiche. Osservando il cielo e la natura aveva imparato a distinguere i segni del tempo e delle stagioni. Anche a parlare aveva imparato da sola, spiando i cacciatori che bivaccavano nel bosco, nelle notti di caccia.
Un giorno mentre scherzava con una lepre e la acchiappava con le mani per metterle paura, udì il sibilo di una freccia e si getto faccia a terra, immobile.
Strano. I cacciatori non l’avevano mai colta di sorpresa, prima d’allora. Non aveva udito rumori di passi, né abbaiare di cani, né stormire di foglie e di cespugli smossi.
Una carezza le sfiorò dolcemente i capelli che le scendevano in disordine sulle spalle, ma non era la goffa e affettuosa zampa di mamma orsa. Questo fu l’incontro di Atalanta con Diana, dea della caccia e signora dei boschi. La fanciulla alzò gli occhi e quello che vide decise della sua vita. Vide una giovinetta vestita come un ragazzo, con la tunica corta al ginocchio. Anche i suoi capelli erano corti, un cespuglio selvaggio con cui il vento giocava liberamente. Un cane, accucciato ai suoi piedi, fiutava inquieto l’aria.
Ma soprattutto Atalanta vide l’arco che Diana reggeva in una mano, le frecce infilate nella faretra che portava sulla spalla seminuda.
- Vieni – disse Diana – farò di te una cacciatrice.
Non c’era più bisogno di dirlo. “Voglio diventare come lei” Aveva giurato Atalanta a se stessa…"[…]
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(1) Marzia Camarda "Una savia bambina - Gianni Rodari e i modelli femminili .
(2) Atalanta pag. 7- 8- 9- 10 Ed. Einaudi ragazzi (Storie e rime), 2009 Illustrazioni di Emanuele Luzzati