Ritenuto il primo scrittore di favole, anche se nel mondo greco, il genere della favola si presenta inizialmente nella forma dell'«aínos», nella similitudine, come mostra l'esempio offerto, nell'VIII secolo a.C., dall'Usignolo e lo sparviero narrato nelle Opere e i giorni di Esiodo - non a caso definito il primo favolista da Quintiliano, nel quale un usignolo, catturato dal rapace, cerca di impartirgli una lezione sul significato della giustizia.
Secondo i grammatici antichi, fu Archiloco, poeta di Paros, attivo nel VII secolo, il creatore della favola del tipo che sarà poi sviluppata da Esopo, ma restano scarsi frammenti, come frammenti di favola sono in Solone e in Simonide, del VI secolo.
Esòpo (in greco antico: Αἴσωπος, Áisōpos; 620 a.C.circa – Delfi, 564 a.C.) contemporaneo di Creso e Pisistrato (VI secolo a.C.), Gli piaceva molto prendere in giro le persone, i loro vizi, (imperatori, re, ecc..), ma per non farsi arrestare a raccontare tutte queste cose su gli imperatori o re, li trasformò in animali.
Le sue opere ebbero una grandissima influenza sulla cultura occidentale: le sue favole sono tutt'oggi estremamente popolari e note. I primi racconti in forma di favola che ci sono stati tramandati sono i suoi.
Un riferimento alla figura di Esopo si trova anche nella fiaba egizia della schiava Rhodopis, o Rodopi, un antico prototipo di Cenerentola e altri racconti di favole e fiabe.
Una vita romanzesca (e romanzata)
La vita di Esopo è narrata nel Romanzo di Esopo, uno scritto del 1°-2° secolo d.C., il cui primo nucleo risale forse al 5° secolo a.C. poiché il poeta Aristofane e lo storico Erodoto ne conoscevano già alcuni episodi. Nel Romanzo, oltre a numerosi dettagli di fantasia aggiunti per dare piacevolezza al racconto, vengono riportate molte favole, che sarebbero state raccontate dal protagonista in varie occasioni della sua avventurosa esistenza. Secondo il Romanzo, Esopo sarebbe stato uno schiavo frigio, "schifoso, pancione, con la testa sporgente e il naso schiacciato, gobbo, olivastro, bassetto, con i piedi piatti, corto di braccia, storto, labbrone", inizialmente perfino incapace di esprimersi. Questi particolari, certamente inventati , vogliono dare l'idea di un individuo di umilissime condizioni che, nonostante le apparenze, si rivelerà ricco di doti e di ingegno.
Come le sue favole, anche il racconto stesso della vita di Esopo ha un significato morale: non bisogna fidarsi delle apparenze, e non sempre a un bell'aspetto corrispondono intelligenza e onestà. Infatti, il deforme Esopo è in grado, con le sue trovate, di smascherare ‒ senza uso della parola ‒ inganni e sopraffazioni dei suoi compagni di servitù. Esopo riceve allora, per ricompensa divina, il dono della parola e dell'eloquenza; viene poi venduto a un filosofo, il quale resta più volte sorpreso, o beffato, dai suoi consigli. Ottenuta la libertà, si guadagna la fiducia dei cittadini di Samo, l' isola dove viveva con il suo padrone.
Ormai libero, Esopo compie lunghi viaggi in Oriente ed è ospite alla corte di vari re, dei quali si conquista il favore con le sue sagge risposte a enigmi e domande di vario genere. Infine, tornato in Grecia, nel santuario di Delfi dedicato al dio Apollo, Esopo viene condannato a morte per aver denunciato la rozza stupidità degli stessi abitanti di Delfi. Le favole che anche in questa occasione egli narrò, per invitare i cittadini a non compiere un tale delitto, non riuscirono a salvarlo. Tuttavia, secondo la leggenda, Apollo ne vendicò la morte con una pestilenza; e la fama della saggezza di Esopo, grazie alle sue favole, si diffuse nel mondo.
(Nell' illustrazione Esopo con i suoi ascoltatori dipinto da Francis Barlow nell'edizione del 1687 di Aesop's Fabless with His Life).
- La favola esopica
Una favola esopica consiste in un brevissimo racconto, presentato in modo chiaro ed essenziale: i protagonisti sono animali, talvolta anche piante (melograno, melo, olivo, rovo) e perfino oggetti inanimati (muro, chiodo) o fenomeni naturali (inverno, primavera). Scopo della favola è illustrare, con il suo svolgimento, le regole che dovrebbero guidare o che guidano (non sempre nel bene) il comportamento degli esseri umani. Il significato morale di ogni favola è chiarissimo, ma a molte di esse, in età successiva, fu aggiunta una frase (una massima) che lo spiega ancora più chiaramente.
Ogni animale incarna e simboleggia una specifica qualità, negativa o positiva, secondo associazioni che sono vive ancor oggi: così la volpe è simbolo dell'astuzia, ma anche dell'avidità e della slealtà; la formica incarna le doti del risparmio e del duro lavoro, la cicala è immagine di chi, per amore dell'ozio e del piacere del momento, si condanna alla miseria futura.
Un insegnamento morale
Fra le più celebri favole che i Greci attribuivano a Esopo vi è appunto quella della cicala e delle formiche: "Durante l'inverno, le formiche facevano asciugare il loro grano, bagnato. Ecco che una cicala, affamata, chiedeva loro del cibo. Le formiche le risposero: "Perché durante l'estate non hai raccolto anche tu provviste?". E la cicala rispose: "Non avevo tempo, ma cantavo armoniosamente". Le formiche, allora, scoppiarono a ridere, dicendo: "Ma allora, se d'estate cantavi, ora che è inverno balla!"".
Al racconto segue la massima finale (probabilmente, come si è detto, un'aggiunta successiva), che dichiara il contenuto morale della vicenda: "La favola insegna che non si deve essere trascurati in nessun affare, per non soffrire e non trovarsi nei pericoli". Come in questo caso, spesso le favole esopiche hanno una funzione di ammaestramento morale: vogliono, cioè, mostrare, a chi le legge o ascolta, come bisogna comportarsi: così è nel caso della favola della cicala e delle formiche, che ci ricorda l'importanza dell'impegno e della previdenza.
- La critica dei difetti degli uomini
Molte favole esopiche si limitano a mettere in evidenza la cruda ingiustizia, la prepotenza e l'arroganza che dominano nei rapporti fra gli esseri umani, senza poter proporre una positiva regola di comportamento. Così avviene in Il muro e il chiodo: "Un muro, trafitto violentemente da un chiodo, gli diceva: "Perché mi trafiggi, io che non ti ho fatto nessun torto?". Rispose il chiodo: "Non sono io il colpevole di ciò, ma quello che da dietro mi spinge con violenza"". Manca la massima, ma il senso è chiaro: spesso al mondo chi commette un torto è costretto a farlo dalla violenza di altri, ancora più potenti e prepotenti.
Molte altre favole esopiche ‒ come fa lo stesso Esopo nel Romanzo a lui intitolato ‒ mettono in ridicolo la stupidità, la meschinità d'animo o la sciocca vanità degli uomini: "Una volpe affamata, quando vide alcuni grappoli d'uva che pendevano da un pergolato, voleva afferrarli, ma non ci riusciva. Allora, andandosene via, disse a sé stessa: "Sono grappoli acerbi"" (La volpe e il grappolo d'uva).
In alcuni casi, infine, la favola esopica riflette sulle dure condizioni che regolano l'esistenza umana, come in I Beni e i Mali: "I Beni, poiché erano deboli, furono messi in fuga dai Mali, e si rifugiarono in alto, nel cielo. Chiesero allora a Zeus come dovevano comportarsi verso gli uomini. Egli disse loro di non presentarsi agli uomini tutti insieme, ma uno per uno. Per questo, i Mali si presentano di continuo agli uomini, mentre i Beni giungono a essi più lentamente, dovendo scendere dal cielo".
- Il punto di vista della gente semplice
Anche se le favole esopiche spesso offrono norme di comportamento e condannano i vizi umani (la stupidità, l'avidità, la superbia, l'ingiustizia e la prepotenza del debole contro il forte, del ricco contro il povero), tuttavia esse non propongono quasi mai conclusioni in cui la giustizia prevalga sull'ingiustizia, la bontà d'animo sulla cattiveria. Talora, l'unica arma del debole contro la violenza è l'astuzia oppure la semplice sottomissione. Il fatto che Esopo fosse, secondo la leggenda, uno schiavo, destinato a subire l'ingiustizia della propria condizione, e che fosse riuscito a ottenere libertà e considerazione grazie alla propria astuzia, corrisponde perfettamente alla situazione di molti protagonisti animali delle favole a lui attribuite.
La visione del mondo che emerge da queste favole è, in genere, pessimista ("così va il mondo, male!, ma non ci si può far nulla"), ed è la visione propria della gente del popolo. La gente umile, con le favole attribuite a Esopo, un servo brutto e povero ma tutt'altro che stupido, esprimeva così la propria protesta (rassegnata ma non silenziosa) contro le ingiustizie che era costretta a subire senza poter sperare in un mondo diverso e migliore.
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La favola più celebre e memorabile della produzione di Esopo oltre alle famosissime "La cicala e la formica" - "Al lupo al lupo" - "La gallina dalle uova d'oro" - Il topo dei campagna e il topo di città" - è:
- La volpe e l’uva
(Denigrare quello che non si può ottenere)
E' una favola brevissima, che si può trascrivere praticamente in due righe, ma che però è sicuramente una delle più famose e studiate dell’intera cultura occidentale. Attribuita a Esopo ma ripresa poi da Fedro, Jean de la Fontaine e molti altri, recita infatti all’incirca così:
«Una volpe affamata, come vide dei grappoli d’uva che pendevano da una vite, desiderò afferrarli ma non ne fu in grado. Allontanandosi però disse fra sé: “Sono acerbi”. Così anche alcuni tra gli uomini, che per incapacità non riescono a superare le difficoltà, accusano le circostanze».
Il senso della fiaba è di facile decifrazione. Quando non si riesce a raggiungere un obiettivo che ci si era posti, gli uomini tendono normalmente a inventare una scusa per denigrare l’irraggiungibile oggetto del loro desiderio, in modo da sminuire la portata della sconfitta. Ampiamente studiato in psicologia, il fenomeno va sotto il nome di “razionalizzazione”, secondo la formulazione che ne diede nel 1908 lo studioso britannico Ernest Jones. Il comportamento della volpe è infatti l’archetipico di chi tenta di giustificare con argomentazioni pretestuose un processo che il soggetto stesso ha trovato angoscioso.
In psicologia sociale, infine, la favola di Esopo è spesso stata citata anche per presentare il concetto di “dissonanza cognitiva” introdotto negli anni ’50 dall’americano Leon Festinger. Secondo quest’ultimo, la volpe si trova in un momento di dissonanza tra ciò che vorrebbe fare, cioè prendere l’uva, e la sua incapacità di farlo. Per questo risolve l’angosciosa situazione assumendo che l’uva sia acerba.
Piccola curiosità: la favola può essere letta anche in chiave sessuale, con la volpe che rappresenta un innamorato e l’uva la donna – o sarebbe meglio dire la ragazza – che lo rifiuta. Si è ipotizzato che forse proprio per scansare questa interpretazione, in epoca medievale e moderna la favola sia stata tradotta in inglese con una lieve imprecisione, visto che là la volpe non dice che l’uva è acerba, ma aspra.
Fedro
Il secondo favolista era romano
Scriveva in latino, e la maggior parte dei suoi racconti erano traduzione dal greco delle favole di Esopo.
Fedro riconosce la propria dipendenza dall'opera di Esopo, dando tuttavia alle sue favole maggiore dignità letteraria, riscrivendole in versi senari. Le favole di Fedro hanno un doppio scopo: divertire il lettore con scene di carattere comico, ma anche suggerire "saggi consigli" per vivere.
Seppure questo umile ma dignitoso e arguto favolista non abbia ottenuto fra i suoi contemporanei quel successo che avrebbe meritato, almeno presso il pubblico dotto, i suoi testi, riscoperti già nel Medioevo (molte le chiese in cui figurano bassorilievi raffiguranti le favole esopiche e fedriane) e successivamente nel XV secolo, furono ripagati da notevole fortuna in età moderna. Il favolista Jean de La Fontaine gli deve molto e le favolette di Fedro, per il loro stile semplice e i loro contenuti moraleggianti, ebbero notevole impiego, come già si è sottolineato, nell'insegnamento scolastico del latino. Oltre che da La Fontaine, Fedro è stato apprezzato ed elogiato per il suo stile sobrio ma al contempo elegante da Giacomo Leopardi nello Zibaldone.
-La vita e l'opera
Sulla vita di Fedro le uniche informazioni sono fornite da alcuni cenni presenti nella sua stessa opera: nato forse attorno al 20 a.C. (sotto l'impero di Augusto), visse sotto il principato di Tiberio, Caligola e Claudio; la sua morte deve essere avvenuta attorno al 50 d.C. Egli è uno dei pochissimi autori della letteratura latina di nascita non libera: originario della Tracia, regione della Grecia, era schiavo di Augusto, da cui fu liberato (le origini barbare e servili lo accomunano a Esopo); ebbe anche problemi giudiziari sotto il regno di Tiberio, forse ‒ come egli fa intendere ‒ perché le sue favole provocarono l'irritazione di Seiano, il crudele prefetto del pretorio di Tiberio.
L'insieme delle sue favole giunge a poco più di novanta, tutte in versi (in senari giambici, che sono i versi usati da precedenti autori di commedie latine, quali Plauto e Terenzio), divise in cinque libri. Tuttavia, molte favole, nel corso dei secoli, devono essere andate perdute; circa una trentina ci sono giunte fuori dalla sua raccolta, in una appendice messa insieme da un umanista del Quattrocento, Niccolò Perotto (per questo, si parla di Appendix Perottina).
-Fedro seguace di Esopo
Nel prologo alla propria raccolta, Fedro dichiara esplicitamente di essersi ispirato al modello della favola esopica:
"La materia che Esopo, il creatore della favola, ha trovato, io l'ho rifinita in versi senari. Doppio è il pregio di questo libretto: che suscita il riso e che insegna, con il suo consiglio, la vita dell'uomo prudente. Se poi qualcuno volesse dir male del fatto che gli alberi parlano, e non gli animali soltanto, si ricordi che noi scherziamo con favole inventate"
Fedro è consapevole del valore letterario e morale delle proprie favole: esse, sì, divertono, ma trasmettono anche un messaggio morale. Infatti, come già in Esopo, ogni personaggio animale o vegetale (solo talvolta i personaggi delle favole sono uomini, tra i quali spicca Esopo stesso) rappresenta il simbolo di una qualità o, più frequentemente, di un difetto umano. In questo modo la favola illustra, con la sua trama, le regole che dovrebbero guidare o che guidano (non sempre secondo giustizia) il comportamento degli esseri umani: "l'uomo prudente", cui si riferisce Fedro, è colui che sa comprendere come va il mondo degli uomini e sa, perciò, evitarne i pericoli.
-Fedro e gli umili
In modo ancora più netto, nel prologo del terzo libro Fedro presenta ed esalta la favola come il mezzo con cui i poveri e gli oppressi possono protestare contro le ingiustizie dei potenti, ma nascondendo tale protesta in un racconto apparentemente fantasioso:
"Ora in breve spiegherò perché sia stato inventato il genere della favola. La schiavitù oppressa, poiché non osava dire ciò che avrebbe voluto, trasferì in favolette i propri sentimenti, ed evitò le accuse per mezzo di scherzose finzioni. Io ho trasformato i sentieri aperti da Esopo in una via e ho escogitato più storie di quante egli ne abbia lasciate [...]. Il mio proposito non è accusare i singoli ma mostrare la vita così come è e i comportamenti degli uomini".
È chiaro che, quasi sempre, i comportamenti umani che egli illustra sono la prepotenza, l'arroganza, la vuota superbia, la stupidità e la vanità.
- Il lupo e l'agnello
Questa favola è scritta per quegli uomini che opprimono gli innocenti con ingiuste accuse".
Non a caso, la prima favola della raccolta è dedicata al prepotente che cerca di presentarsi come vittima proprio per giustificare la propria violenta aggressione: il lupo che beve allo stesso ruscello dell'agnello, ma più in alto, lo accusa di intorbidargli l'acqua; quando l'agnello osserva che ciò è impossibile, perché egli si trova più in basso, il lupo tira fuori un altro pretesto, accusando l'agnello di aver parlato male del lupo, sei mesi prima. "Rispose l'agnello: "Ma io non ero ancora nato!" "Per dio ‒ dice il lupo ‒ è tuo padre che parlò male di me". E così, lo afferra e lo sbrana, uccidendolo contro giustizia.
Bibliografia
Alcuni stralci dall' Enciclopedia dei ragazzi (2005) Treccani
e Wikipedia