I giornali dicono che questa pandemia, ha indotto molta gente a comprare o a riprendere in mano il libro di Albert Camus "LA PESTE” e non me ne stupisco: è un romanzo bellissimo, scritto divinamente, e racconta bene molte situazioni che stiamo vivendo in questi giorni.
La vicenda è ambientata ad Orano, in Algeria, e racconta come si manifesta una terribile epidemia di peste: i primi segni, ratti trovati morti per le strade, non vengono presi in considerazione da nessuno, poi cominciano a morire le persone: prima pochi casi con sintomi analoghi, poi il contagio dilaga.
Il protagonista è un medico, il dr. Rieux, che per primo intuisce il dramma che si sta scatenando e che con i colleghi si sottopone a turni interminabili in ospedale, sperimentando lo strazio di non poter evitare la morte dei tanti che via via vengono colpiti. Interi quartieri vengono chiusi e chi è all’interno delle zone in quarantena si sente prigioniero e desideroso di allontanarsi e chi è rimasto separato dai propri affetti, si sente quasi “amputato” di una parte importante di sé e della sua vita (negli anni 40 del ‘900 non c’erano ancora le tecnologie che oggi ci consentono di comunicare con facilità con amici e parenti).
Ogni sera si aspettano i comunicati della radio circa l’andamento del contagio e del numero delle vittime; le ore del giorno e della notte sono scandite dal lamento delle sirene delle autoambulanze; la gente disperata per aver perso i familiari impazzisce e scoppiano disordini; le autorità varano provvedimenti eccezionali. Non si celebrano più cerimonie funebri, ma i cadaveri vengono frettolosamente avviati verso fosse comuni o, nei momenti peggiori, buttati in mare di notte.
Prima o poi il contagio ha la meglio su infermieri, medici e addetti alle sepolture e questi ultimi vengono sostituiti dai tanti che perdono il lavoro e ...
“…da quel momento la miseria fu più forte della paura, tanto più che il lavoro era pagato in proporzione ai rischi”.
C’è lo strazio di chi vede portare via i propri cari e sa che non potrà rivederli, c’è la paura di scoprire i sintomi, ormai noti, nei propri familiari o su di sé e l’angoscia della quarantena… In mezzo a questa tragedia collettiva, il dr. Rieux e i suoi colleghi si impegnano oltre i limiti della forza fisica per soccorrere chi soffre e per cercare cure in grado di salvare vite e di fermare il contagio. Molti protagonisti del romanzo muoiono, ma non prima di aver sperimentato la solidarietà e l’amicizia. Quando finalmente la peste rallenta la sua morsa mortale, la gente esce nelle piazze a festeggiare, cercando di dimenticare in fretta i giorni bui del recente passato, Rieux tuttavia sa che “il bacillo della peste non muore né scompare mai, che può restare per decine d’anni addormentato nei mobili e nella biancheria…e che forse verrebbe un giorno in cui …la peste avrebbe svegliato i suoi sorci per mandarli a morire in una città felice”
Ci sono in questo romanzo brani che mi hanno coinvolto in modo particolare e voglio riportarne un paio per dare l’idea della bravura di Camus.
La visita alla madre. - Per molti giorni Rieux non ha avuto nemmeno il tempo di andare a salutare la vecchia madre, ma finalmente si concede un momento di pausa e…
“...il dottore stava appunto guardando sua madre, tranquillamente seduta in un angolo della sala da pranz…con le mani appoggiate sulle ginocchia, essa aspettava. …Guardò sua madre. I begli occhi marron fecero risalire in lui anni d’ affetto.
“Hai paura, mamma?”
“Alla mia età non si teme ormai gran che”.
“Le giornate sono lunghe e io non sono mai qui”.
“Per me è lo stesso aspettarti, so che devi venire. E quando non ci sei, penso a quel che fai…”
A una certa età può capitare (e l’ho riscontrato in mia madre) di familiarizzare con l’idea della morte e di non sentirla più come nemica, ma come un traguardo verso cui ci si incammina serenamente
Bella anche l’espressione con cui la vecchia signora dice che aspettare è già come essere in compagnia del figlio che sta per arrivare…. Da quando ci si deve arrendere all’inevitabilità dell’allontanamento dei figli e alla solitudine, anche l’attesa è un modo dolce di riempire il tempo di una madre.
Il mare di notte. - Il dr. Rieux e il suo amico e collega Tarrou sono andati sulla spiaggia per farsi un bagno e dimenticare per un attimo il dolore e la devastazione del contagio contro cui stanno combattendo da mesi.
“…tra gli effluvi di vino e di pesce, presero la direzione del molo. Poco prima di giungervi, l’odore dello jodio e delle alghe gli annunciò il mare; poi lo sentirono. Il mare ansava dolcemente ai piedi dei grandi blocchi del molo, e quand’ essi li ebbero superati, gli apparve, spesso come un velluto, flessibile e liscio come una belva. Si misero sugli scogli rivolti al largo. Le acque si gonfiavano e calavano lentamente. La calma respirazione del mare faceva nascere e sparire dei riflessi oleosi alla superficie delle acque. Davanti a loro, la notte era senza limiti…”
È una descrizione stupenda: sembra di vederlo quel mare sotto la luce della luna, se ne sente il “respiro” e la maestosità.
In questo libro Camus, scrittore algerino, dopo il naufragio nell’ indifferenza raccontato nel romanzo precedente, “Lo straniero”, approda con "La Peste” alla scoperta della solidarietà, che porta i protagonisti a coalizzarsi per combattere insieme il flagello dell’epidemia. La sua sensibilità e la sua abilità di scrittore gli hanno fatto assegnare nel 1957 il premio Nobel per la letteratura e mai premio fu più meritato.