Nel paese dei balocchi
Nella mia ultima permanenza a Londra, ho trovato la città già pronta per il grande business natalizio: luminarie per le strade, alberi pieni di lucine minuscole, vetrine ridondanti di Babbi Natale e renne e già la gente affolla le strade più eleganti per fare i primi acquisti natalizi.
Una domenica, mio nipote, che aveva appena ricevuto in regalo un po’ di soldi da un’amica di famiglia, ha espresso il desiderio di utilizzarli per comprarsi qualche cosa nel più grande negozio di giocattoli di Londra.
Ci siamo perciò armate di coraggio (mia figlia ed io) e lo abbiamo accompagnato ....parlo di coraggio perché andare di domenica nella zona dello shopping è veramente un’impresa da temerari, tanta è la gente che si accalca nelle metropolitane, nei tunnel sotterranei e sui marciapiedi: si procede pigiati come sardine in un lento fiume di varia umanità....
Il negozio, mi sembra si chiami "Hamleys Toy Shop", è paragonabile alla Rinascente di Milano, come dimensioni, ma ci sono soltanto giocattoli di tutti i tipi, per bambini, ma anche per adulti: un palazzo intero a più piani dedicato al gioco, sembra di essere nel Paese dei Balocchi di collodiana memoria. Camminare in quei reparti vuol dire sentirsi storditi da tanta varietà di offerta, che alla fine non sai cosa scegliere.
Mio nipote ha optato saggiamente per due giochini apparentemente molto semplici e creativi, che però si sono rivelati, una volta a casa, una vera truffa.
Uscendo da quel palazzo mi è venuto da pensare che se da una parte i bambini di oggi sono fortunati ad avere tanta disponibilità di giocattoli, che, se ben scelti, possono anche stimolare l’acquisizione di abilità e di nuove conoscenze, dall’altra però sono condizionati dal giocattolo stesso in una sola direzione ed è forse per questo che dopo averci giocato un po’ lo mettono in un angolo e non lo guardano più.
Come era ben diverso il modo di giocare dei tempi della mia infanzia!!! I giocattoli si regalavano solo per Santa Lucia (da noi i regali ai bambini arrivavano il 13 Dicembre e non a Natale) ed era solo o una bambolina o una macchinina o un trenino e quello doveva bastare fino all’anno successivo. Per questo eravamo indotti a creare i nostri giocattoli e a inventare giochi mettendo in moto la fantasia.
Come giocavamo
“Sòta ai pom”
Vicino a casa mia, oltre un cancello enorme sempre aperto (solo ora mi chiedo il perché di quel cancello, visto che non veniva mai chiuso), si apriva un sentiero sterrato lungo qualche centinaio di metri, fiancheggiato da una parte da campi coltivati a grano o a foraggio e dall’altra da un lungo filare di meli, sotto cui noi bambini della contrada ci incontravamo per giocare.
C’ era sempre erba fresca su cui fare le capriole e ombra ristoratrice nei giorni più caldi.
Sul sentiero si poteva giocare alla “settimana” o a spingere qualche cerchione di bicicletta, o dedicarsi a un gioco di abilità con cinque semi di pesca. C’era chi saltava con la corda e chi spingeva una carriolina di legno fatta dal papà.
Gli alberi fornivano ottimi ripari per giocare a nascondino e c’era sempre qualche pianta da cui prendere qualche pera o prugna o un grappolo d’uva, secondo le stagioni, col tacito consenso dei proprietari. Era lì, “sòta ai pom” che ci davamo appuntamento noi bambini della contrada.
Le bolle di sapone.
Ai tempi in cui ero bimba io, la plastica e l’industria non erano ancora entrate nel mondo delle bolle di sapone e non potevi comprarle al negozio in paese. Te le dovevi preparare con un po’ di pazienza: quando il sapone del bucato era diventato così sottile che non poteva più essere utilizzato, io ne prendevo alcune scaglie e le mettevo in un barattolo con un po’ d’acqua, mescolavo a lungo con un bastoncino e poi lasciavo riposare la soluzione in un posticino tranquillo, dove nessuno poteva urtare il contenitore.
Dopo qualche ora, o il mattino seguente, quando il sapone si era ormai sciolto, io andavo a cogliere il fiore del tarassaco (o dente di leone) e il suo stelo cavo diventava la mia cannuccia.
All’ inizio ne sentivo in bocca il sapore amarognolo che poi a poco a poco svaniva.
A questo punto l’attrezzatura era al completo e non mi restava che trovare il posto migliore per incominciare il gioco. Di solito cercavo un luogo elevato perché le bolle avessero modo di volteggiare più a lungo prima di toccare terra, così il posto ideale era sul ballatoio al primo piano, dove si apriva una finestra. Lì c’era una vecchissima cassapanca. Io mi ci sedevo sopra, soffiavo le bolle fuori dalla finestra ed esse cominciavano a volare tremolando verso il basso finché scoppiavano all’improvviso. Erano così belle, così colorate, così leggere, così delicate....
Ed era bello anche soffiare dentro al barattolo: le bolle crescevano, crescevano fino a debordare dal contenitore e la luce si rifletteva su di esse in mille modi diversi.
Quando mi stancavo, riponevo il barattolo nel solito posticino tranquillo: l’indomani avrei potuto giocare di nuovo.