Mi hanno chiesto di intervenire ad un convegno dal titolo “Sport e Longevità” che si terrà il prossimo 14 aprile a Chiavari in occasione della conferenza stampa di presentazione della 6° ProvaMaster di Scherma. Tra i relatori Luca Ferraris, Presidente della Federazione medico sportiva, un fisioterapista e osteopata Luca Serpero, una dietista e una psicologa, con competenze indubbiamente maggiori e più specifiche rispetto alle mie.
Infatti, e questa cosa mi riempie di orgoglio, io sono stata invitata non come medico, ma come atleta maratoneta, per portare una testimonianza, a fianco di Michele Maffei, campione olimpico di scherma nel 1972 e ora Presidente Nazionale degli Atleti Azzurri.
Che onore ! E’ la prima volta! E pensare che mi mancano ancora 20 mesi per raggiungere la fatidica età dei 65 anni che sancisce per legge l’entrata nell’anzianità.
“Non posso fare brutta figura” ripetevo mentalmente questa mattina durante un breve e solitario allenamento all’alba delle 6 prima di entrare in clinica per la lunga guardia.
Ed eccomi qui, a scrivere quello che mi passa per la mente, dopo aver navigato in rete per rendermi conto della concorrenza, in fatto di corsa.
Su internet si trova di tutto e di più, ma, a parte qualche rara pubblicazione controcorrente, che gli atleti abbiano più chance di vivere a lungo appare un fatto inconfutabile.
“Lo sport allunga la vita. E lo fa quanto più è intenso per una semplice ragione: homo sapiens non è stato selezionato per passare le sue giornate seduto a una scrivania[…]”. Inizia proprio così un articolo del 2011 apparso sul blog del Corriere della sera. Gli autori fanno riferimento a una ricerca pubblicata sul British Journal of Sport Medicine che valuta la longevità di professionisti di varie discipline, concludendo, appunto, che lo sport allunga la vita. E, cosa che mi ha fatto luccicare gli occhi, recita “ […] gli atleti dediti a sport di resistenza guadagnano più anni di quelli che praticano sport di potenza: insomma la maratona farebbe meglio dei 100 metri”. Testuali parole. Gli studiosi si sono poi interrogati sulle ragioni di questo vantaggio nella sopravvivenza, valutando anche i fattori genetici, senza osservare differenze tra campioni e comuni cittadini, differenze che avrebbero potuto selezionare e avviare all’agonismo individui meno predisposti alle malattie. Il merito più accreditato starebbe nello stile di vita degli ex-atleti che, anche invecchiando, prolungano il beneficio della carriera sportiva e si mantengono attivi, obbedendo a un programma scritto nei geni di tutti, non solo degli sportivi. “ Un individuo sedentario del nostro tempo consuma solo il 38% dell’energia dei suoi antenati”, scrivono gli autori e, detto così, trovo che sia un numero piuttosto sconcertante.
Il sole 24 ore- Salute riporta un articolo dal titolo intrigante scritto nel dicembre 2014 da una certa Silvia Soligon che fa riferimento a uno studio pubblicato su JAMA Internal Medicine: ”Sentirsi giovani: ecco il segreto per vivere a lungo. Un nuovo studio conferma: si ha l’età che ci si sente”. Il mio pensiero va a Fortuna, la napoletana che ci ha lasciati all’età di 104 anni e mezzo, che sempre ripeteva: “Io non mi sento vecchia! C’ho - cen-to - e - quat-tro - an-ni !” scandendo bene sillaba per sillaba, non perché avesse difficoltà a parlare, ma per sottolineare l’ambito traguardo. Sembrava quasi che ce la facesse anche dopo quella brutta frattura di femore che l’aveva costretta a letto per un periodo troppo lungo, ma non è andata così. Insomma, Fortuna ci ha lasciati con l’amaro in bocca, nella convinzione che avrebbe potuto raggiungere un podio ancora più alto, proprio per la sua voglia di vivere. E dire che non aveva mai partecipato alle Olimpiadi Ebbene, secondo gli autori, “basta sentire di avere tre anni in meno rispetto all'età riportata dalla carta d'identità per ridurre del 5% la probabilità di morire nell'arco di 8-9 anni”. Altro dato, seppur non clamoroso, che mi ha fatto luccicare gli occhi dall’emozione pensando che a ogni traguardo di maratona, raggiunto per ben 21 volte, mi sento di avere almeno 20 anni di meno. Solo per un attimo, però. Sarà sufficiente? Lo studio rileva inoltre che l’associazione tra il sentirsi più vecchi e il rischio di decesso non è correlabile con i problemi di salute come il cancro, le malattie cardiovascolari, il diabete, l’ictus e l’artrite e neppure con gli stili di vita come fumo, depressione, funzioni cognitive, anche se le persone con un’età percepita maggiore tendono ad essere più sole e fisicamente meno attive.
Sempre su Il Sole 24 ore la stessa Silvia Soligon pubblica nel settembre 2014 il seguente articolo: “Un calcolatore di salute per sapere quanto vivremo. Messo a punto in Svizzera, conferma che l’età anagrafica è poco più che un semplice numero”. Un gruppo di ricercatori dell’Università di Zurigo, guidato da Eva Martin-Diener stima che lo stile di vita peggiore, in termini di consumo di alcolici, fumo, attività fisica e presenza di frutta nell’alimentazione, limita al 35% la probabilità di compiere 85 anni ad un uomo di 75. Il calcolatore di salute è valido anche per le donne che però risultano avvantaggiate perché la probabilità di raggiungere gli 85 anni è limitata solo al 45% nelle peggiori condizioni. Il maggior impatto l’avrebbe il fumo e, si sa, chi fuma, difficilmente fa le maratone o anche i 10 km. Martin- Diener spiega che “Scegliere uno stile di vita salutare, invece, fa aumentare questa probabilità fino al 74% nel caso si tratti di donne e fino al 67% nel caso si tratti di uomini. Insomma “uno stile di vita sano può aiutare a mantenersi più giovani di 10 anni”. E non è poco.
Comunque, cercando di mettere insieme gli articoli delle diverse fonti, se è vero che lo sport è l’ingrediente fondamentale della longevità, è anche vero che per praticare uno sport è essenziale la motivazione, cioè, in parole semplici, ti deve piacere. Sembra inoltre che fare attività fisica all’aria aperta, nel verde, sia ancora meglio in quanto i benefici non sarebbero soltanto fisici, ma interesserebbero la dimensione psicologica.La mia mente corre alla 30 km di Cortina-Dobbiaco alla quale ho partecipato nel giugno 2014. Ho patito l’altezza dei 1500 metri, mi mancava il fiato, ma lo spettacolo era tale da permettermi di superare ampiamente il debito di ossigeno. La foto che vi propongo testimonia, più di ogni parola, il mio stato d’animo.
La motivazione, senza dubbio, è la forza trainante che ti fa alzare alle 5 del mattino per andare a correre con le compagne (il femminile è d’obbligo, perché siamo quasi sempre solo donne) e la soddisfazione di arrivare al prefissato traguardo è tale da permetterti di continuare l’allenamento, nonostante gli acciacchi crescenti degli anni che passano. Certo i tempi si allungano, non si può pretendere di avere la stessa performance fisica dei 20 anni, ma l’entusiasmo non diminuisce, così come la pur effimera felicità della vittoria. Anzi ho l’impressione, e non sono l’unica tra gli amici runner “datati” che l’anzianità di per sé rafforzi la capacità di gustare le emozioni e che la bilancia pesi sempre più a favore di quelle positive.
Il fatto di essere anziani e poi vecchi e poi vecchissimi non scalfisce affatto il senso che uno dà alla propria vita. E la celebre frase del Mahatma “Vivi come se dovessi morire domani. Impara come se dovessi vivere per sempre” trova ampia diffusione, almeno per mia esperienza, anche nelle residenze protette e nelle RSA. Insomma, l’età anagrafica non c’entra. La fa invece da padrone la filosofia di vita che non scompare mai totalmente, neanche nelle fasi più avanzate del declino cognitivo. Anche se è cosa ben ardua renderla riconoscibile e inserirla in un test valutativo. Cecilia, entrata in Casa Morando all’età di 96 anni, dopo la morte della sorella più giovane con la quale conviveva, mi ha detto, all’accoglienza: “Non ci penso nemmeno a vendere l’unico immobile di mia proprietà perché, se non mi trovassi bene in questa struttura, potrei decidere di tornare a casa mia con una badante”. Ora Cecilia è prossima a compiere i 100 anni, non ha quasi più polmoni per respirare, ma il suo pensiero non è mutato di una virgola.
Ora una confessione, o meglio un sogno nel cassetto che vi svelo: ci terrei tanto a salire su uno dei tre gradini del podio, virtualmente, si intende, ai master di maratona nella categoria MF 85. Ciò mi costringe ad alzarmi prima delle 5, per l’indispensabile allenamento, ogni mattina che non smonto di guardia.
Se di maratoneti centenari se ne contano alcuni, come Martin Buster, morto nel 2011 all’età di 104 anni, entrato nel libro dei record per aver corso i 42,195 km della maratona di Londra nel 2008 e l’indiano Fauja Singh, classe 1911, ancora vivente, al suo attivo 9 maratone e portatore per ben due volte della fiaccola olimpica, di donne ne ho trovato una sola. Si tratta di Joy Johnson, detta “nonna Joy”, una dinamica signora di 86 anni, la più vecchia ad aver corso la maratona di New York del 2013, giungendo al traguardo, nonostante una caduta al 36esimo Km, in 7 ore 57 minuti e 41 secondi. Aveva finito il percorso della Grande Mela ben altre 25 volte, ma l’ultima le è stata fatale, morendo il giorno successivo, nel sonno, forse proprio a causa della caduta. Durante un’intervista al Wall Street Journal aveva dichiarato: "Voglio morire correndo. Questa è la mia meta''. E così è stato.
Mi sembra giusto, a questo punto, precisare, che il mio sogno nel cassetto non comprende questo tragico epilogo.
La conclusione di questo sproloquio sportivo mi sembra quasi scontata e, tanto per dimostrare a tutti, che con l’inesorabile avanzare degli anni è più facile che i pensieri dominanti si consolidino piuttosto che sfumino, farò una proposta delirante.
Perché non pensare e organizzare centri residenziali per ex atleti? Con uno spazio aperto attrezzato per l’allenamento e tutor, coach, personal trainer in appoggio alle figure professionali già esistenti e ormai codificate nelle strutture per anziani? Non si pensi che io abbia intenzione di far perdere il lavoro a qualcuno!
In analogia alla Beecham House per musicisti e cantanti lirici in pensione, ampiamente descritta nel film Quartet, una residenza ad hoc per ex atleti permetterebbe loro di proseguire l’allenamento o comunque l’attività fisica, in una situazione “protetta” e di godere il più a lungo possibile di quelle soddisfazioni che lo sport è capace di dare, indipendentemente dai risultati raggiunti. Perché ognuno di noi è campione di qualcosa, basta individuare la disciplina giusta.
Un atleta sa cogliere i segnali del proprio corpo, sa scegliere momento per momento ciò che è opportuno fare, sa vivere nell’incertezza del percorso, del tempo, della performance, sa reagire agli inconvenienti, ha chiara la meta ed è determinato a raggiungerla. Doti che, a mio parere, si rafforzano piuttosto che attenuarsi con l’avanzare degli anni, quasi a compensare la riduzione della prestanza fisica.
Non è forse un luogo comune che i vecchi siano ostinati e caparbi? Che se si mettono in testa qualcosa, non c’è modo di convincerli del contrario?
Se è così, perché non sfruttare le immutabili doti naturali che gli amanti del movimento conservano con tanta passione?
Quale altra medicina permetterebbe tutto ciò?
E quale risparmio, in termine di costi sarebbe possibile?
I miei pensieri di maratoneta sono in genere pieni di dubbi, ma, in questo caso, mi viene spontaneo esprimere un desiderio, capace di darmi la certezza di una vecchiaia dignitosa: entrare in una casa di riposo per ex atleti.
Ovviamente a tempo debito, non ora.