Fin dai primi anni della mia professione mi sono interrogata su cosa volesse dire "essere medico". La ricerca del significato profondo di alcune parole, come missione, vocazione, etica mi ha sempre accompagnato con forza maggiore man mano che cresceva l'esperienza di vita . Ora è diventato quasi un riflesso condizionato cercare di distinguere, ogni qual volta io debba affrontare una decisione professionale, ciò che è giusto e quindi è bene fare da ciò che non lo è.
La parola etica e tutti gli interrogativi conseguenti sono comparsi più volte nei miei scritti, mentre la parola ipocrisia non è mai venuta fuori con tanta chiarezza come mi appare oggi.
Sarà che sono stanca del troppo lavoro, sarà che siamo vicini alle festività, sarà ... sarà ... ma questa terribile parola mi risuona in testa con una forza tale da non riuscire a scrollarmela di dosso.
Il Sabatini Colletti descrive così il significato di IPOCRISIA: Simulazione di virtù e di buoni sentimenti. Insomma, c'è dentro di tutto: falsità, ambiguità, doppiezza e tante altre nefandezze mascherate di onestà e sincerità. Il peggio del peggio.
Tempo fa avevo raccontato la storia di alcune persone anziane in un articolo dal titolo "Etica quotidiana nella cura: 10 anni dopo" pubblicato sulla rivista "La parola e la cura".
Ne riporto alcuni stralci:
La storia di Maria
Maria, quella innamorata di Michele, si arrangia da sola, pur con qualche bizzarria e la schiena curva, paga l'affitto, fa la spesa, riordina la casa. Un giorno cade in strada e finisce al Pronto Soccorso: nulla di grave, ma è anziana, vive sola, il suo pensiero non è proprio affidabile, chi si prenderà cura di lei? Il medico di Pronto Soccorso, non ritenendo eticamente necessario il ricovero, si rivolge ai servizi sociali, affinché provvedano alla nomina di un amministratore di sostegno, che si occupi di trovare una sistemazione consona ai bisogni di Maria. A seguito del comportamento etico dell'assistente sociale, Maria si trova catapultata in RSA, a carico del Comune di residenza con un etichetta di deterioramento cognitivo. Maria non capisce perché non torna a casa, si rifiuta di dare le chiavi ad un estraneo, tenta di scavalcare le sponde del letto, tenta di uscire furtivamente dalla struttura, urla al mondo di sentirsi in carcere ed ecco che è eticamente necessario legarla ad una sedia per impedirle il fastidioso vagabondare e imbottirla di farmaci nel tentativo, altrettanto etico, di farle accettare serenamente la nuova sistemazione. L'amministratore di sostegno, designato eticamente, scopre che Maria è ricca, può pagarsi la retta con soldi propri. Eticamente lo segnala al Comune che sospende la convenzione.
Comportamenti contrassegnati dall'etica, tutti, eccetto il comportamento di Maria ed il mio: quello di Maria per aver ostacolato ingiustamente l'assistenza offerta dalla Società ed il mio, come responsabile sanitario della residenza per aver tradito la fiducia di Maria consegnando le chiavi del suo appartamento all'amministratore di sostegno e per non essere riuscita a impedire la cascata di eventi.
[...] La storia di Germano
Germano ha 69 anni, ma, nell'arco di pochi mesi, una forma di demenza etichettata come morbo di Pick l'ha reso incapace di fare qualunque cosa, se non di occuparsi della raccolta differenziata dei rifiuti, con minuziosa precisione e costanza. Mentre la famiglia vaga da un' istituzione all'altra in modo eticamente corretto per capire come poter affrontare il futuro, un episodio, apparentemente banale, interrompe la monotonia della sequenza: esami - prescrizioni - farmaci. Germano ha la diarrea. Un giorno, poi l'altro e l'altro ancora, il disagio diventa intollerabile e a nulla servono i fermenti lattici, gli antibiotici intestinali e nemmeno i pannoloni, anche quelli più sofisticati , con la mutandina a rete. Non resta che ricorrere al Pronto Soccorso, dove un solerte medico di guardia, accertata la normalità degli esami di laboratorio, decide eticamente che Germano può tornare a casa affidato al curante per la terapia e alla moglie per l'assistenza. Ma Grazia non ce la fa più ad assisterlo, deve affrontare un intervento chirurgico, aiutare la figlia a traslocare, accudire i nipoti, per cui si rivolge ad una RSA privata in grado di accogliere Germano per il periodo necessario, almeno a risolvere la diarrea. Così, anche Germano, si ritrova in un ospizio, ma è convinto di essere in un ospedale, per cui rimane in pigiama e non si alza da letto. Passano poco più di 24 ore e l'addome di Germano non promette nulla di buono: è teso, i borborigmi assumono un timbro metallico, necessita di valutazioni più approfondite: eticamente deve essere di nuovo al Pronto Soccorso. Questa volta la diagnosi è "occlusione intestinale da sospetto volvolo del sigma in paziente istituzionalizzato", quindi la conclusione: "Si rinvia in struttura. Terapia consigliata: Movicol 2 bustine al giorno". Ma la situazione peggiora, l'addome diventa sempre più teso, l'intestino di Germano non accenna a rispondere alle cure. Che fare? Come responsabile sanitario devo intervenire: decido di ricorrere a comportamenti che non si possono definire rigorosamente etici, come telefonate a carattere in parte supplichevole, in parte minatorio, relazioni scritte, altri subdoli escamotage, per avere la garanzia che Germano sia ricoverato in ospedale. Dopo circa una settimana di ricovero in Chirurgia, in cui il quadro occlusivo si risolve senza ricorrere all'intervento, l'ospite istituzionalizzato è rinviato in residenza. Finalmente può proseguire la sua permanenza in RSA a 113 euro al giorno, 100 con lo sconto. La quota, ovviamente, è stata pagata anche nei giorni di ospedalizzazione.[...]
Concludevo infine amaramente:
[...] se l'etica è la ricerca con metodo oggettivo e razionale del comportamento giusto, questo non sempre è possibile e non sempre il giusto comportamento garantisce la giusta relazione di cura. I conti non tornano, ecco perché il diavolo fa le pentole e non i coperchi, non riesco più a comprendere cosa sia giusto o no, lecito o no. Forse non si può parlare solo di etica, come ciò che è giusto. Giusto per chi? La storia di Maria ci insegna che il comportamento era giusto per la società, ma non rispettoso per Maria che voleva tornare a casa sua e disponeva anche di soldi per decidere altrimenti. Ecco che allora nel concetto di giusto, riferito alla relazione di cura, deve essere implicito il concetto di rispetto. Ma c'è un altro concetto che mi frulla per la mente, che non può essere disgiunto dall'etica: è il concetto di responsabilità. [...]
La storia di Lidia che vi sto per raccontare mi chiarisce di molto le idee.
Lidia è una anziana signora, nubile, che vive sola, in una bella casa d'epoca di cui è usufruttuaria e si coltiva i suoi hobby, per quanto le è concesso dall'avanzare degli anni. Faceva la maestra di scuola elementare e amava viaggiare, conoscere posti nuovi, intraprendere relazioni con le persone. Ora, all'età di 87 anni, si deve limitare un po' e pensare anche al suo futuro perché i nipoti vivono tutti con le loro famiglie in un'altra città del nord, a più o meno 400 km di distanza.
Decide quindi di mettersi alla ricerca di una casa di riposo che possa accoglierla nel caso ne avesse bisogno, con tutta l'intenzione però di rimanere nella propria abitazione, in pieno centro, il più a lungo possibile. Le gira tutte, soggiorna anche per un breve periodo in una comunità alloggio, ma l'indecisione e la paura di perdere la propria libertà, prima ancora della propria autonomia, la fa da padrone. Il risultato è che tentenna, adduce tutte le giustificazioni possibili per dire che una non va bene per un motivo, l'altra per l'altro e così passano i mesi. Di una residenza si innamora però più delle altre: forse sono i disegni appesi alle pareti, il giardino ricco di piante e fiori, la vivacità del disordine, gli odori della cucina, cose che stuzzicano la sua fantasia e la fanno sentire ben accolta. "Sento che il mio posto è qui" dice ogni qual volte valica l'ingresso della residenza, con la borsetta nera, a tracollo, ben stretta al fianco perché non gliela rubino. E'in attesa che si liberi una camera singola per potersi fermare per un periodo di prova, per cui si presenta di tanto in tanto per controllare la situazione, chiacchiera un po' con la direttrice e poi se ne va. A volte, su invito, si ferma a pranzo, appare soddisfatta e non manca mai di complimentarsi con il personale per il servizio. Quando finalmente si libera un posto, Lidia si decide ad occuparlo. Ma, pur essendo libera di uscire e rientrare a casa, a suo piacimento, con il solo vincolo di comunicare la sua assenza, il pensiero di vivere in una struttura per anziani le sta troppo stretto. E' ossessionata dalla libertà, dalla spesa, vorrebbe pagare giorno per giorno secondo i consumi effettivi, non si fida o meglio si fida un giorno sì ed uno no dei consigli dei nipoti che pur intervengono assiduamente e ai quali ha lasciato la procura in banca. Insomma la sua permanenza a singhiozzo non supera i due mesi, poi Lidia decide di rientrare a casa propria rimandando l'ingresso nella residenza prescelta ad un po' più avanti.
Da allora gli andirivieni sono ancora più frequenti e, ancora pochi giorni fa, è comparsa, con la sua borsetta a tracollo, garantendo l'ingresso in casa di riposo allo scadere di un fatidico periodo di sei mesi, pattuito con la direttrice. Peccato che i sei mesi avrebbero dovuto essere dentro la residenza e non a casa sua. Chi male intende peggio risponde. E' successo proprio così.
Ma tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino. Ebbene, Lidia è stata prelevata dal proprio domicilio contro il suo volere dalle forze dell'ordine su disposizione dei servizi sociali del comune per sottoporla ad una visita di Pronto Soccorso, segnalare l'esistenza di un problema socio-assistenziale, certificare nero su bianco che Lidia ha un decadimento cognitivo ed essere quindi autorizzati alla nomina d'ufficio di un amministratore di sostegno.
I parenti indignati, appresa la notizia solo a seguito della comunicazione giudiziaria, pur essendo stati contattati più volte in passato via mail o telefonicamente dagli stessi servizi sociali, intendono denunciare il fattaccio per il bene della zia. Chi vivrà vedrà.
I conti non tornano davvero. Qui non ci sono tanti interrogativi da porsi, non si tratta di capire cosa è giusto e cosa non è giusto, né per chi è giusto e per chi non lo è. Qui è chiaro, evidente, lapalissiano che l'etica non c'entra proprio niente: non esiste sincerità, non esiste onestà, non esiste compassione, non esiste rispetto della persona, ma impietosa falsità, ambiguità, doppiezza e frode. In una sola parola IPOCRISIA.
E se la società è ipocrita è destinata a morire, come sono morti Maria e Germano e come morirà Lidia se non si porrà freno a questo scempio.