Navigando su internet mi impatto su di una frase che mi induce a riflettere sul senso delle parole: ”Come prevenire le complicanze dell’invecchiamento”.
Sul vocabolario Treccani online si legge:
“ complicanzas. f. [der. di complicare]. – Il complicare, l’esser complicato. È termine ant., frequente però nell’uso medico col sign. di complicazione, ma preferito a questo termine quando si voglia indicare non tanto il sopraggiungere di un evento morboso accessorio quanto, concretam., l’evento stesso che, casualmente concomitante, o più spesso favorito o provocato dalla principale malattia in atto, è tale da complicare l’evoluzione o il decorso di questa.”
La mia impressione, quindi, era fondata: l’invecchiamento è la malattia in atto, inesorabilmente progressiva, alla quale si può aggiungere un evento morboso accessorio che ne complichi il decorso. Per dirlo in altre parole, l’invecchiamento, in quanto malattia cronica, necessita di attenzioni da parte della scienza medica , per prevenirne le complicanze. Il ragionamento non fa una piega e riesco a comprendere anche il significato del sottotitolo: “ Il benessere come scienza”.
Da tempo sono fermamente convinta che le nostre azioni quotidiane traducano i nostri pensieri, i principi morali e le finalità sepolte nelle nostre coscienze, per cui tengo a precisare che comprendere la logica di un ragionamento, non significa affatto condividerlo o giustificarlo.
Sempre più mi simpatizza Ivan Illich quando scrive, in “Nemesi Medica” , sulla iatrogenesi: clinica, culturale e sociale. Come si fa a dargli torto quando dice con toni forti e provocatori che la corporazione medica è diventata una grande minaccia per la salute? Sostiene infatti che l'applicazione di cure mediche, lungi dal guarire l'individuo dalla malattia, funzionano a loro volta da agenti patogeni, ancora più di batteri, virus e altre cause note( iatrogenesi clinica). Oppure quando afferma: “ll concetto di morbosità si è esteso fino ad abbracciare i rischi prognosticati. Dopo la cura delle malattie, anche la cura della salute è diventata una merce cioè qualcosa che si compra e che non si fa […]. Ci si tramuta in pazienti senza essere malati. La medicalizzazione della prevenzione diventa così un altro grande sintomo di iatrogenesi sociale[ … ].E infine la iatrogenesi culturale che "distrugge nella gente la volontà di soffrire la propria condizione reale". La civiltà medica ha ridotto anche il dolore a problema tecnico e lo ha privato del significato personale, trattandolo allo stesso modo per tutti. Invece il dolore è il sintomo di un confronto con la realtà e non può essere"oggettivamente misurabile".
A pensarci bene, l’invecchiamento associa tutte e tre le iatrogenesi: Vecchiaia= malattia (clinica e culturale) che necessita di cure assistenziali specialistiche per lo più erogabili dalle residenze per anziani (sociale).
Alla faccia di Illich che auspicava: “ […] nessuna assistenza dovrà essere imposta a un individuo contro la sua volontà: nessuna persona, senza il suo consenso, potrà essere presa, rinchiusa, ricoverata, curata o comunque molestata in nome della salute […]”, la società odierna, non infrequentemente, impone ad anziani, contro la loro volontà e in nome della loro salute, la reclusione a vita ( alla quale in altri contesti si dà il nome di ergastolo) in luoghi di cure e assistenza “specialistica”. Per la maggior parte di questi anziani, spesso rimasti soli al mondo, esistono due sole alternative: la rassegnazione ( ahimè, ben diversa dalla persuasione!) o la morte, intesa in senso metaforico e no. Che tristezza!
Ma allora, tornando al punto di partenza: in cosa consiste la prevenzione delle complicanze dell’invecchiamento? Di che tipo di prevenzione si tratta?
Primaria, no di certo, in quanto c’è malessere ( acciacchi ) e malattia ( certificata dai dati anagrafici); secondaria nemmeno in quanto gli acciacchi sono presenti e la diagnosi precoce non ha senso di esistere per una malattia dai criteri diagnostici inconfutabili. Con tali presupposti cade anche il concetto, più moderno, di prevenzione quaternaria in quanto il malessere presente è correlabile ad una malattia certa. Anzi la prevenzione quaternaria, che per definizione implica la presenza di malessere (da parte del paziente), ma di assenza di malattia (da parte del medico) diventa inapplicabile nell’anziano, tanto più in quelli che si sentono benissimo e sono orgogliosi della meta raggiunta. Per fortuna ne esistono parecchi esempi: personalmente conosco tre anziane signore, ultracentenarie, e altre che si avvicinano ai 100 anni, che sono ben felici di essere ancora al mondo e si godono, per così dire, i loro malesseri e malumori passeggeri. Tutte hanno scelto liberamente di entrare in una casa di riposo come luogo di vita. Sarà un caso?
Quindi la prevenzione a cui si riferisce la frase in questione non può essere che la terziaria, il cui scopo è quello di evitare le recidive e le eventuali complicanze, partendo dal presupposto che è presente il malessere (acciacchi) e la malattia( vecchiaia).
Ma come si fa a evitare le recidive dell’invecchiamento? Impossibile. Non resta che passare alle complicanze dell’invecchiamento, ma, anche in questo caso, ci troviamo di fronte ad una affermazione senza senso, più che paradossale: se la “malattia principale” è sancita dall’inesorabile trascorrere del tempo, allora per evitarne le complicanze c’è un’unica possibilità: fermare il tempo.
Licari sostiene :“ La complessità non è mai stata così semplice” e penso proprio che abbia ragione.
Basterebbe accettare che l’invecchiamento e la morte fanno parte inesorabilmente del nostro ciclo vitale per evitare confusioni che portano a rimedi che si dimostrano poi “peggiori dei mali”. Allora sì che possiamo promuovere a gran voce l’unica prevenzione riconosciuta valida, la primaria, l’unica che può essere attuata solo da chi ne ha la volontà: condurre una vita regolare, mangiar bene, muoversi quanto si può, , qualunque sia l’età, la cultura, la religione, l’appartenenza politica, il ceto sociale.
E perché no, pensare o sperare, che solo la volontà e la libera scelta sono in grado di fermare il tempo.
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