Nell’articolo del mese scorso ho parlato di come i media tendano a pubblicizzare gli effetti benefici di pratiche sanitarie a soli scopi economici utilizzando la parola prevenzione, oggi tanto amata, come si usa, o meglio si usava, lo specchietto per le allodole.
Lungi da me l’intenzione di essere noiosa o, ancor peggio, polemica, ma ritengo fondamentale insistere su questo argomento per avvertire i cittadini che quando si tratta di salute è facile cadere nel trabocchetto e lasciarsi attrarre da ciò che ci viene presentato come lusinghiero rischiando di tralasciare, a scapito del buon senso, ciò che è davvero utile e soprattutto possibile fare in ogni diversa situazione.
L’articolo a cui mi ispiro è intitolato “Prevenire è meglio che curare: ecco come aiutare gli anziani” e la presentazione è la seguente: “Gli over65sono soggetti a cadute che possono anche invalidare, ma la tecnologia opera in loro soccorso”.
Il sentirmi parte in causa aggiunge forza alla mia testardaggine e, siccome, oltre ad appartenere alla categoria degli over 65, sono pure reduce da due cadute, a distanza di un mese l’una dall’altra, a seguito delle quali ho riportato, nella prima, una frattura costale, tutto sommato poco invalidante e, nella seconda, una frattura del malleolo esterno della caviglia, ben più limitante la mia autonomia di espressione corporea, mi comprenderete se a leggere certi articoli mi si accappona la pelle.
La tecnologia che opererebbe in soccorso degli anziani che cadono è un robot fisioterapista che si chiama Hunova, capace di realizzare in 20 minuti mediante l’utilizzo di 130 parametri “il primo test al mondo che previene le cadute”. Un test che previene le cadute? La domanda mi pare lecita e, nel contempo, mi appaiono nella mente immagini fantasiose di un robot che viene affiancato ad ogni persona traballante capace di sorreggerla al primo inciampo. Incomincio a preoccuparmi e mi chiedo: “Sarà un principio di Alzheimer?”, poi repentinamente cerco di scacciare questo triste pensiero, mi affretto a rileggere il testo e a proseguire, nella speranza di aver frainteso.
Ecco il testo al capitolo intitolato Il silver index: ”Ogni anno sono circa 37 milioni le persone nel mondo che richiedono attenzioni mediche a seguito di cadute. La Liguria è una regione con alto tasso di anzianità e di conseguenza con molte possibilità di caduta. Per limitare questo problema e per sensibilizzare la società, i centri specializzati offrono la possibilità agli anziani di effettuare una valutazione gratuita per testare il singolo indice di caduta. Il silver index è il primo test oggettivo, clinicamente testato in grado di predire e prevenire la caduta nell’anziano e di proporre al contempo un percorso di allenamento o riabilitazione personalizzata”.
Ecco dove sta l’inghippo! Che un robot possa predire il rischio di caduta utilizzando parametri sofisticati ci sta; ci sta anche che, proponendo un programma riabilitativo di precisione, riesca a prevenire in alcuni casi selezionati ed in un tempo ragionevolmente lungo una eventuale ulteriore caduta, ma, con queste premesse che ritengo semplicemente logiche, quale può essere la sua reale utilità nelle persone affette da patologie croniche che ne limitano la mobilità e l’autonomia nelle diverse condizioni abitative? È davvero applicabile? E a che costi per il singolo e la collettività?
La risposta a questa mia domanda la trovo su internet, in un articolo di Antonio Larizza intitolato Robotica riabilitativa che esordisce così: “Il mio robot è stato programmato per curare le persone sane”. E termina così: ”Nella visione di Ungaro (imprenditore del settore farmaceutico e biotecnologico che ha prodotto Hunova) in futuro tutta la popolazione potrebbe beneficiare di questa forma di medicina di precisione che sfrutta nuove capacità predittive per curare i sani”.
“Curare i sani? Beneficio per tutta la popolazione?” Mi chiedo esterrefatta, trattenendo a fatica la voglia di strapparmi i capelli, corti e grigi.
Come posso non pensare all’ opera teatrale di Jules Romains, presentata quasi un secolo fa? Parlo di “Knock o il trionfo della medicina" mentre mi rimbomba nel cervello il malsano ragionamento che sta alla base della celeberrima frase “Il sano è un malato che non sa di esserlo”: “Voi mi date un cantone popolato da alcune migliaia di individui neutri, indeterminati. Il mio ruolo è di determinarli, di portarli all’esistenza medica. Li metto a letto e guardo che cosa ne può venir fuori: un tubercolotico, un nevropatico, un arteriosclerotico, quello che si vuole, ma qualcuno, Dio buono! qualcuno! Niente mi irrita come quell’essere né carne, né pesce che voi chiamate una persona sana».
A questo punto non posso far altro che ammettere, con tanto di “chapeau”, che Jules Romains fosse dotato di grandissime capacità predittive.
La scienza e la tecnologia stanno facendo passi da gigante ed è cosa buona e giusta, da esserne davvero orgogliosi. Oggi è possibile raggiungere una tale precisione diagnostica da permettere interventi terapeutici con minima invasività, risolvere problematiche e operare in situazioni cliniche giudicate impensabili solo che 20 - 30anni fa, salvare vite umane anche in età molto avanzata. Ma ricerca scientifica e innovazione tecnologica hanno costi molto alti, in termini di risorse umane ed economiche e sono sottomesse alle regole del mercato, dirette da interessi commerciali e ben poco interessate alla salute delle persone.
Gavino Maciocco, nell’articolo pubblicato recentemente su Salute Internazionale dal titolo “Le multinazionali della malattia” denuncia l’impatto devastante della globalizzazione sulla salute delle popolazioni, generato dalle invasive politiche commerciali delle compagnie multinazionali.
Il cambiamento demografico a livello mondiale con un numero crescente di anziani e vecchi e il continuo aumento delle malattie cardiovascolari, in particolare l’ictus, anche nei paesi a basso reddito, al punto che nell‘Africa sub-Sahariana l’OMS prevede che la mortalità per malattie croniche supererà entro il 2030 la mortalità da malattie trasmissibili, malnutrizione, mortalità materna e perinatale (solo per citare alcuni dati tratti dall’articolo di Maciocco), creano disuguaglianze di salute, tra i paesi e all’interno degli stessi, che non sono mai state così grandi nella storia recente. Molti pazienti affetti da malattie croniche si trovano di fronte a una tragica scelta: curarsi e trascinare la propria famiglia nella povertà o rinunciare alle cure, con la conseguenza di un aggravamento della malattia (e anche in questo caso con ricadute economiche negative). Uno studio che ha interessato 89 paesi ha rilevato che ogni anno 150 milioni di famiglie vanno incontro a catastrofe finanziaria a causa delle spese mediche.
“Mal comune mezzo gaudio”? O piuttosto “tutto il mondo è paese”?
È proprio così, rifletto tristemente, anche in Italia, pur con le dovute differenze culturali e sociali.
Avere uno o più vecchi da curare crea complicazioni devastanti e problemi talvolta insormontabili anche per famiglie a reddito medio –alto con ricadute sullo stato di salute non solo di chi è colpito da malattie croniche che vede limitate o addirittura annullate le chance di recupero per la scarsissima disponibilità di ricovero tempestivo nei centri riabilitativi, per una errata interpretazione della funzione delle cosiddette RSA di mantenimento, ma anche di coloro che, come possono, se ne prendono cura.
I percorsi arzigogolati, per usare un eufemismo, infarciti di procedure burocratiche, talvolta ignoti o incomprensibili agli stessi addetti ai lavori, rendono difficoltoso qualunque accesso ai servizi e questo sì, costituisce una vera e propria minaccia della salute delle persone, compreso il tanto temuto rischio cadute.
Illudere le persone che l’innovazione tecnologica possa risolvere ogni problema, possa dare qualità di vita, è una disonestà che non riesco a sopportare. Offrire gratuitamente un test inutile, anzi dannoso in quanto fuorviante da quelle che sono le reali necessità degli anziani promettendo inaccessibili e costosi programmi riabilitativi, è davvero inaccettabile.
Ancor di più nel contesto storico che stiamo vivendo.
Margaret Chan, nella relazione introduttiva all’ottava Conferenza globale sulla promozione della salute tenutasi a Helsinki nel giugno 2013, esplicita con forza che la più grande sfida di fronte alla prevenzione delle malattie croniche è la lotta agli interessi commerciali di potenti operatori economici, come Big Tobacco, Big Food, Big Soda, Big Alcohol. E aggiunge: “Non un solo paese è riuscito a invertire l’epidemia di obesità in tutte le classi di età. Questo non è il fallimento della volontà individuale. È il fallimento della volontà politica di prevalere sul grande business “.
Non è necessario un robot con 5 specializzazioni (ortopedia, neurologia, geriatria, pediatria e medicina dello sport) per comprendere che i vecchi, definiti “fragili” proprio per il maggior rischio di eventi avversi che possono comportare un significativo decadimento della qualità della vita, hanno più probabilità di cadere dei giovani atleti, così come è facile comprendere che ben diverse sono le esigenze di un bambino o di uno sportivo rispetto a quelle di un anziano con ridotta autonomia.
Mi chiedo se Hunova è a conoscenza che la paura di cadere, sentimento pressoché onnipresente, soprattutto nelle persone con stato cognitivo meno alterato, è un fattore di rischio non meno importante di altri e, purtroppo, ben più difficile da contrastare. Infatti per togliersela bisogna avere fiducia nel personale di assistenza e fare tanto esercizio, allenarsi, con coraggio, pazienza e, soprattutto, non perdere mai la speranza di riuscirci.
Faccio davvero fatica a comprendere il perché, tra le varie dimensioni che definiscono la fragilità, gli aspetti di tipo fisico-biologico, come la presenza di patologie organiche, la riduzione della massa muscolare, la riduzione dell’acuità e dell’integrità sensoria, assumano un peso maggiore, anche per gli addetti alla cura, rispetto agli aspetti psicologici e sociali, quali la solitudine, la riduzione delle competenze nell’affrontare situazioni stressanti, l’isolamento e l’esclusione sociale. Per i primi ci pensa la normativa a dettare regole e criteri affinché gli anziani istituzionalizzati possano muoversi in sicurezza all’interno delle residenze protette o RSA, ma per gli aspetti psico-sociali, i più rilevanti per la qualità della vita, è necessario possedere una sensibilità ai valori altrui che non è affatto richiesta dalla normativa. Insomma è ben noto, come sia più facile e comodo disincentivare il movimento di una persona con ridotta autonomia motoria, adducendo le più svariate giustificazioni, dalla mancata collaborazione all’alto rischio cadute, alla necessità di ausili di protezione/contenzione piuttosto che credere nelle possibilità di recupero delle persone e adoperarsi con caparbietà e tenacia affinché questo avvenga.
E pensare che l’isolamento e l’esclusione, così come l’abuso di terapie farmacologiche hanno conseguenze ben più temibili e irrisolvibili di una caduta accidentale.
A questo punto mi verrebbe da chiedere al saccente robot se conosce il vecchio detto popolare “chi non risica non rosica” e che cosa ne pensa. Io personalmente credo che sia un detto saggio e di gran buon senso.
“Saltando di palo in frasca”, come è mio solito, dalla medicina di precisione alla ricerca del benessere e, considerato che siamo in fase prenatalizia, voglio farvi conoscere l’elisir di lunga vita elaborato dal Prof. Antonio Guerci, tratto dalla conferenza “Dare vita agli anni” presentata in Chiavari il 19 ottobre scorso.
Si tratta di un ottalogo che raccoglie le raccomandazioni per un invecchiamento sano e sereno proposte all’unisono da numerosi ricercatori nel mondo.
Nulla di innovativo e tecnologico in ciò, ma …
Lascio a voi la riflessione e auguro a tutti Buone Feste.