Sono sempre stata attratta dal significato dei detti e proverbi che in famiglia venivano citati frequentemente, soprattutto da nonna Rosina, forse, penso ora in età ben più matura, per il fascino che suscita in me il sapere antico, basato sul buonsenso e sull’esperienza.
“Prevenire è meglio che curare” è senza dubbio tra i detti più popolari e, oserei dire, di una attualità sorprendente dal momento che viviamo in una società perseguitata e, talvolta ahimè paralizzata, dal rischio per qualunque cosa, al punto che la frase risulta tra le più gettonate negli slogan televisivi e negli articoli delle riviste di ogni genere. D’altra parte è pressoché impossibile non essere d’accordo su un concetto generale così realistico, espresso con un linguaggio chiaro e inconfutabile.
Se ti svegli al mattino, vai al bar per prenderti un cappuccino in santa pace, riesci ad accaparrarti il giornale a disposizione dei clienti dopo aver puntato a lungo colui che se ne è appropriato prima di te e, sfogliando le pagine velocemente, trovi un articolo dal titolo “L’importanza di prevenire per poter vivere a lungo in salute”, sfido chiunque a resistere dal leggerlo. È un invito di una tale forza emotiva che, se proprio non hai tempo per leggerlo o non riesci a fotografarlo col cellulare cercando di passare inosservato, come ho fatto io, corri subito al giornalaio più vicino a comprarti il quotidiano che lo ha pubblicato.
Devo dire , fra l’altro, che sono particolarmente sensibilizzata su queste tematiche, dal momento che in data 19 ottobre, esattamente 10 giorni prima della pubblicazione dell’articolo, è stata presentata in Chiavari la conferenza dal titolo “Dare vita agli anni” pubblicizzata con le seguenti parole:
“L’uomo, fin dai tempi più antichi, ha ricercato una fonte, una pozione, un elisir, capaci di garantire l’eterna giovinezza se non addirittura l’immortalità. Questo sogno è attuale ancora oggi ed è indubbio che lo sviluppo tecnologico e scientifico abbiano offerto un ampio contributo nel prolungare la nostra esistenza.
Ma cosa significa dare vita agli anni?
Quali sono gli elementi che ci permettono di vivere bene??? Parliamone insieme a Antonio Guerci e Rosanna Vagge”.
Alla vista dell’articolo, confesso che, almeno per un istante, mi è balenato nella mente che venissero riportati spunti di riflessione tratti dalla eccellente relazione del Prof. Emerito Antonio Guerci, il cui curriculum non è affatto di poco conto, essendo titolare della cattedra UNESCO “Antropologia della salute-Biosfera e Sistemi di cura” e curatore del Museo di Etnomedicina Antonio Scarpa; non certo della mia, considerato che “nemo propheta in patria”.
Ma, giunta alla lettura dell’ottava riga, una frase di poche parole, riesce a spegnere inesorabilmente l’ultima scintilla di speranza e a farmi affiorare un sentimento di avvilimento misto a rabbia e ad una sgradevolissima sensazione di impotenza.
Eccola: “I controlli, soprattutto quelli di routine, a volte possono salvare una vita”.
Per avvalorare quanto sopra, l’articolo prosegue con una serie di dati tratti da un non meglio identificato recente studio in cui si sottolinea come il 60% degli over65 non abbia mai fatto una spirometria, il17% mai un esame dal cardiologo, il 46% mai l’esame del sangue occulto nelle feci, il 56% mai una valutazione della densità ossea e una donna su 10 non controlli mai il seno.
Premesso che io personalmente mi sento parte in causa, facendo appunto parte della “casistica dei mai” , ad eccezione dell’ultimo relativo al seno, in quanto non specifica se nel controllo, oltre ecografia e mammografia, sia compresa o no la auto-palpazione delle proprie mammelle, mi accorgo che le frasi successive acquistano sempre più un tono perentorio sottolineando l’importanza di sottoporsi a periodici controlli medici, più ancora di adottare stili di vita appropriati.
Ma non è tutto, perché, poco più avanti si legge così: “In molti tipi di tumori sono presenti alterazioni del DNA che sembrano svolgere un ruolo di primo piano nell’insorgenza della malattia. Per questo motivo, oltre a modificare lo stile di vita, molte volte è bene effettuare degli screening per individuare predisposizioni genetiche ereditarie o lesioni cancerose allo stadio iniziale. L’importanza degli screening sta nella possibilità di individuare gli stadi iniziali della malattia anche in persone che non hanno sintomi”.
Sgrano gli occhi, incredula, notando solo in quel momento il sovra titolo dell’articolo: “Lo screening genetico” .
Come è possibile, mi chiedo, che le parole vengano utilizzate fraintendendone il significato? È solo ignoranza e incompetenza oppure si tratta di opportunismo e malafede?
La prevenzione è l’insieme di azioni finalizzate a impedire o ridurre il rischio, ossia la probabilità che si verifichino eventi non desiderati (definizione tratta da Wikipedia) , altra cosa è la predizione che è l’atto di annunciare in anticipo l’avverarsi di eventi futuri, altra cosa ancora è la diagnosi precoce, che è l’individuazione di patologie in fase iniziale che non hanno ancora dato segno della loro esistenza attraverso i sintomi. Esistono poi gli strumenti per attuare la prevenzione, la predizione o la diagnosi precoce. Nel primo caso si tratta di perseguire un corretto stile di vita, nel secondo i tests genetici ci possono dare utili informazioni relativamente ad alcune patologie, nel terzo caso entrano in gioco gli screening diagnostici, conosciuti soprattutto per le malattie neoplastiche, come la mammografia per il tumore al seno, il PSA per il cancro della prostata, la ricerca del sangue occulto nelle feci per il tumore del colon-retto.
Peccato che la classe medica abbia deciso di fare di tutte le erbe un fascio e di dividere la prevenzione in 3 livelli:
1. la cosiddetta primaria sulla quale c’è ben poco da discutere dipendendo esclusivamente dal nostro comportamento. È l’unica vera prevenzione capace di impedire o ridurre l’insorgenza di malattia,
2. la prevenzione secondaria che non previene proprio niente, ma scopre prima l’esistenza di una anomalia che si presume possa evolvere in patologia conclamata,
3. la prevenzione terziaria che si riferisce a persone già affette da malattie croniche complesse e ha lo scopo di evitare recidive o riacutizzazioni limitandone gli esiti invalidanti.
In tutta questa confusione, complice l’eccessiva fiducia nella medicina, l’idea che per salvaguardare la salute sia sufficiente eseguire qualche esame con finalità preventive ha preso pieno campo nell’opinione pubblica.
La vignetta sottostante tratta dalla mia relazione del 19 ottobre scorso sintetizza quanto ho cercato di sottolineare fino ad ora.Inoltre l’istintiva inclinazione verso gli screening è motivata dall’idea che tutte le malattie (specie quelle più temibili), senza interventi terapeutici siano destinate a evolvere fino a uno stadio avanzato. Ma, in realtà, i fenomeni biologici sono meno lineari e prevedibili di quanto immaginiamo e possono avere una crescita tumultuosa e incontrollabile, una evoluzione graduale e suscettibile di trattamento, una crescita lenta senza arrivare a dare sintomi, fino alla regressione e guarigione spontanea. Lo spiega bene Antonio Bonaldi in un articolo del dicembre 2018 dal titolo “Vera e falsa prevenzione – Gli screening e il pericolo della sovradiagnosi” .
È giusto quindi chiedersi se anticipare la diagnosi è sempre utile, anche perché, non potendo prevedere l’evoluzione delle malattie, soprattutto di quelle neoplastiche, siamo costretti a trattarle come se tutte fossero destinate a progredire al peggio.
Si rischia così quel fenomeno al quale si dà il nome di sovra diagnosi che genera, ovviamente, un sovra trattamento, con gravi conseguenze fisiche, psicologiche, sociali, oltre che economiche.
Basti pensare che nella Corea del Sud, dopo l’introduzione dello screening per i tumori della tiroide, gli stessi sono aumentati di oltre il 600%, senza alcun miglioramento della mortalità (Thyroid-cancer incidence and related mortality in South Korea 1993-2011 -The New England Journal of Medicine – 2014).
Gli studi su questa tematica, venuta alla luce a seguito dell’enorme progresso tecnologico, si stanno moltiplicando a vista d’occhio e non nascondono una certa preoccupazione per la difficoltà di invertire la lotta a causa degli ingenti interessi di un mercato della salute in continua espansione.
Non a caso, nel 1986 è stato aggiunto un nuovo livello di prevenzione, la quaternaria, cioè la prevenzione della medicina non necessaria o della ipermedicalizzazione, nata soprattutto per contrastare la tendenza odierna a incrementare le malattie inserendo nella classificazione nosografica alterazioni o anomalie subcliniche, se non addirittura fattori di rischio al solo scopo di trarne un profitto, fenomeno identificato con l’espressione inglese “disease mongering”.
Purtroppo si parla ben poco di prevenzione quaternaria e si sottostimano le influenze negative nei confronti della salute del singolo e della collettività.
Passo dopo passo non mi meraviglierei affatto se finissimo in questa drammatica situazione.
Da che mondo è mondo alla medicina è stato conferito il potere di stabilire il confine tra salute e malattia e ai medici è stata data la delega per curare il nostro corpo e la nostra mente, come se tutti i disturbi
dipendessero da fattori biologici e fossero trattabili per mezzo di farmaci e di procedure sanitarie.
È questo oggi come ieri il pensiero comune.
Eppure i servizi sanitari, i più mitizzati, sono stimati incidere per non più del 15% sulle variazioni dello stato di salute delle persone e tra i sistemi sanitari in termini di longevità della popolazione, non esiste correlazione tra spesa e speranza di vita (Da Speciali Guide alla Salute “Disinformazione e Medicina” articoli di Gianfranco Domenighetti – Edizioni Andromeda 2014).
La diapositiva sottostante illustra come ben altri fattori contribuiscano in modo determinante alla longevità, intesa come raggiungimento dell’età di 75 anni.
Purtroppo l’incertezza profonda della scienza e della pratica medica, messa in evidenza dalle pubblicazioni che appaiono sulle più importanti riviste scientifiche di medicina, è praticamente sconosciuta alla società civile e la percezione di mitiche attese di efficacia dell’impresa medico-sanitaria genera, mantiene e fa crescere una infinità di conflitti di interesse, economici e professionali. I mass media ne sono il supporto ed il veicolo di prima scelta, permettendo la diffusione e l’amplificazione delle attese sociali verso una efficacia a 360 gradi della scienza e delle procedure sanitarie.
Queste sacrosante parole, pronunciate a gran voce dal grande economista scomparso, mi risuonano in mente come un triste presagio e mi chiedo se sia possibile arrestare questa tendenza a diffondere, tramite opuscoli e altro, informazioni sanitarie fondate esclusivamente sull’enfatizzazione dei soli benefici delle indagini diagnostiche (anche se unicamente potenziali), sull’omissione dei rischi, degli effetti non desiderati e delle incertezze, sul silenzio circa le controversie di tipo scientifico eventualmente esistenti.
Ovviamente non si tratta di negare la validità di una corretta e mirata prevenzione, ma di far conoscere l’esistenza del fenomeno di “mercificazione” e spesso anche di “spettacolarizzazione mediatica” di pratiche mediche in sé utili – e a volte insostituibili - laddove siano usate con cognizione di causa sia dal terapeuta e, soprattutto, dal paziente.
Numerosi studi dimostrano che, a seconda dell’informazione data dai sanitari, soprattutto nel caso della promozione degli screening, si ottengono consensi molto differenti.
Infatti l’informazione “classica” è centrata sui benefici di una determinata pratica, benefici che, di regola, non sono mai espressi in termini “quantitativi” ed in “valore assoluto” bensì in modo generico e vago.
Un piccolo esempio, relativo allo screening mammograsfico per il tumore al seno, dimostra, come la percezione del beneficio possa essere nettamente superiore alla realtà.
Ma anche riguardo al patrimonio genetico, il cui contributo, in termini di longevità, è stimato intorno al 20-30%, bisogna fare molto attenzione alle lusinghe, come ci insegna Antonio Bonaldi in un bel articolo pubblicato sul sito www.slowmedicine.it nel settembre 2018 dal titolo “Restiamo con i piedi per terra”.
Basti pensare che Il Genetic Testing Registry, al 26 luglio 2018, contiene informazioni su 55.144 test, attinenti a 16.435 geni e 11.227 patologie, ma meno del 2% del totale dei lavori pubblicati sulla genomica riguarda la clinica.
Senza considerare che la scienza procede per prove ed errori ed è ben noto che quasi nulla di ciò che un tempo è stato scientificamente riconosciuto è tuttora valido. Oggi si sa che solo l’11% di oltre tremila prestazioni cliniche di uso corrente si fonda su chiare prove di efficacia (secondo il Clinical Evidence Handbook della Cochrane Collaboration).
Avrei molto altro da dire o meglio da ridire sul modo di presentare i dati dell’articolo da cui ho preso spunto, ovviamente privo di bibliografia e pure di firma, a partire dal sottotitolo apposto in corrispondenza della classica foto che raffigura il medico a braccia incrociate con il fonendoscopio stretto tra le mani: “DI ESTREMA IMPORTANZA SONO I CONTROLLI DI ROUTINE”. A me personalmente la parola “estrema” suona più come una minaccia piuttosto che un invito.
Riportare inoltre che il tumore della mammella rappresenta il 29% di tutte le neoplasie femminili e che il tumore della prostata rappresenta il 20 % delle neoplasie degli uomini sopra i 50 anni di età, non è dare una corretta informazione sull’incidenza dei tumori a seconda della tipologia e del genere, ma induce, in un contesto emotivamente coinvolgente, ad una errata interpretazione, come se una donna su tre, e un uomo su 5 possano essere rispettivamente colpiti da queste temibili patologie.
Sottolineare che la diagnosi precoce ( e solo questa) è fondamentale per la cura e quindi la sopravvivenza non è né giusto né tanto meno corretto e non fa altro che accelerare la corsa verso la medicalizzazione dell’intera vita e rendere le persone sempre più incapaci di conquistare il diritto alla salute, oltre che potenziare le disuguaglianze e mettere a repentaglio la sostenibilità dei nostri servizi sanitari.
Perché, come sostiene Domenighetti, la salute è soprattutto informazione e consapevolezza.