“Dare vita agli anni” è il titolo di una conferenza realizzata nell’ambito del patto di sussidiarietà 2018-19 e precisamente del progetto della Regione Liguria “Ogni stagione porta i suoi frutti”, dedicato alle persone over sessanta e finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Sarò relatrice insieme all’antropologo Antonio Guerci, professore emerito dell’Università di Genova.
Ebbene, non appena Antonietta, preziosa collaboratrice del progetto, suggerì questo titolo, lo accolsi con grande entusiasmo, certa che avrei potuto trasmettere quanto di mia conoscenza al fine di aiutare le persone a vivere meglio l’avanzare degli anni, in sinergia con la relazione di apertura dell’autorevole amico antropologo. Non avrei mai pensato che la semplice frase “dare vita agli anni” scatenasse in me una raffica di domande , di dubbi, di pensieri confusi e persino contrastanti.
Che cos’è la vita? Mi sono chiesta per prima cosa, ma non ho trovato le parole per definirla. Allora mi sono precipitata a cercarne la definizione su “Vita e Natura –Una visione sistemica”, un’opera di 600 pagine scritta dal fisico Fritjof Capra e dal biochimico Pier Luigi Luisi, dalla quale avevo tratto alcuni spunti per relazioni precedenti.
Il capitolo 7 a pagina 169 è proprio intitolato “Cos’è la vita?” e il primo paragrafo “Come caratterizzare il vivente” esordisce cosi: “E’ sapere comune che non sia possibile giungere ad una definizione della vita che sia universalmente accettata. Ciò deriva dal fatto che la formazione degli scienziati che si occupano del problema- biologi, chimici, informatici, filosofi, astrobiologi, ingegneri, teologi, sociologi, ecologisti (solo per citarne alcuni)- è molto diversificata. In questo libro non ci intratterremo tanto sulla questione di un’unica definizione della vita – una frase che da sola riesca a cogliere tutti i diversi aspetti della vita- ma piuttosto cercheremo di riflettere su una domanda più generale: quali sono le caratteristiche generali di un sistema vivente? ”.
È proprio vero, una domanda tira l’altra, e così scopro che le condizioni necessarie per caratterizzare un sistema vivente sono: la capacità di rigenerarsi, cioè di ricostruire dall’interno le strutture biologiche che sottendono alla loro esistenza (processo autopoietico) e la capacità di interagire con l’ambiente esterno cioè di cogliere delle differenze (processo cognitivo). Scopro che un sistema può essere definito come complesso di elementi interagenti, cioè connessi da relazioni, in modo tale che il comportamento di un elemento è diverso a seconda del tipo di relazioni. E non basta, nei sistemi complessi sorgono, in modo spontaneo, nuove proprietà non prevedibili attraverso lo studio analitico dei singoli componenti che vengono chiamate proprietà emergenti. Il cervello umano, costituito da 100 miliardi di neuroni ognuno dei quali è capace di ricevere fino a 100.000 impulsi , è senza dubbio un esempio di sistema complesso ed il pensiero che sorge da quel milione di miliardi e più di sinapsi della corteccia è un esempio di proprietà emergente. E’ fuori di ogni dubbio infatti che, per quanto si possano approfondire le conoscenze sui singoli neuroni , non scopriremmo mai che un insieme di neuroni possa generare un pensiero.
È affascinante, a questo punto, considerare la vita come una proprietà emergente, che sorge dall’interazione della struttura organica vivente (unità auto poietica) con l’ambiente attraverso un apparato sensoriale-cognitivo che è un prodotto specifico del suo stesso sviluppo e evoluzione. La vita è la sinergia tra i tre domini, come dimostra la figura sottostante.
Secondo questa teoria tutto ciò che appare ai nostri occhi è la rappresentazione mentale di un mondo “emergente” dietro al quale si nasconde una realtà misteriosa e intangibile: la colla che tiene insieme le stelle e gli anemoni di mare, le foreste di sequoie, le commissioni e le istituzioni umane (Bateson G. “Mente e Natura”).
Un mondo straordinario caratterizzato da incertezza e imprevedibilità dove ciò che conta non sono gli oggetti ma i processi correlati alle infinite configurazioni che descrivono le loro interazioni e che formano i sistemi biologici, gli ecosistemi e le organizzazioni sociali.
Ma allora cosa vuol dire dare vita agli anni?
La risposta mi sorge spontanea: dare vita agli anni significa godersi la vita nella sua essenza, cioè godere di quel mondo fatto di pensieri, idee, sentimenti, rituali, significati e valori. Quel mondo che ci fa gioire e soffrire, che ci consente di coltivare l’orto o di dipingere, di andare al cinema o suonare il pianoforte, di giocare a tennis o prenderci cura dei gatti.
Valori? Emozioni? Sogni? Ciascuno di noi ha le proprie aspirazioni, la propria visione del mondo, la propria cultura, come si fanno a mettere insieme tutte queste cose e dare una risposta univoca, accettabile universalmente? La situazione si fa davvero complessa.
Un proverbio degli indiani nativi di America, descrive così la vita:
La vita è il lampo di una lucciola nella notte.
È il respiro di un bufalo d’inverno.
È la piccola ombra che attraversa l’erba e si perde nel tramonto”
A me piace moltissimo, riesce a commuovermi, ma ad altri può sembrare banale, addirittura irriverente e non suscitare alcuna emozione.
Incomincio davvero a preoccuparmi, se l’essenza della vita è il vissuto di ciascun individuo, quale tipo di conoscenza potrà aiutare le persone ad orientarsi in questo mondo così diversificato e per di più traboccante di incertezza e imprevedibilità?
Mi viene un’idea: perché non chiederlo a chi di esperienza di vita ne ha accumulata parecchia e può esprimere liberamente e senza condizionamento la propria competenza affettiva?
Mi munisco di carta e penna e lancio uno sguardo alla sala- palestra di Casa Morando dove sono radunati i miei vecchi, mi avvicino a Maria, intenta, come sempre, a lamentarsi di qualche acciacco, esibendo la sua voce stridula e il suo accento meridionale, mi siedo accanto a lei e con discrezione le chiedo: “Che cos’è per te la vita?”
“La vita è bella!” Esclama in un lampo con un sorriso che le illumina gli occhi furbi e curiosi e aggiunge: “È bello godere di mio figlio. Quando si sposerà mi compro un abito nuovo, me lo compro fatto; spero trovi una ragazza che le voglia bene perché mio figlio è bravo, è un giudice. Io vorrei che si sposasse prima che io muoia, vorrei avere un nipotino, ma non ha ancora una fidanzata perché fino ad ora ha pensato alla carriera”.
Non mi meraviglio affatto, Maria è ospite da tempo della residenza e so quanto sia orgogliosa del figlio che rappresenta la ragione della sua vita.
Passo a Pietro che, invece, conosco poco, essendo stato trasferito solo alcuni giorni fa da altra struttura. Pietro, appena 80enne, viveva solo nella campagna e provvedeva autonomamente a se stesso fino a che, nel febbraio scorso, fu trovato seminudo e in piena notte nel terreno antistante alla propria abitazione, in condizioni di ipotermia. Fu diagnosticato un grave problema respiratorio con intossicazione di anidride carbonica, una condizione che prende il nome di carbonarcosi, fu ricoverato in rianimazione, sottoposto a ventilazione invasiva, e si risvegliò ma, come di norma succede in queste situazioni, a qualunque età, la sofferenza cerebrale per la mancanza di ossigeno, aveva causato uno stato confusionale con delirio di agitazione che gli era costato l’etichetta di demenza. Terapia intensiva – sub intensiva- reparto di medicina- RSA di mantenimento per un mese – residenza protetta per un altro mese: la solita trafila. Ad ogni passaggio il deterioramento cognitivo era messo sempre più in rilievo, mentre si affievoliva fino a cancellarsi del tutto la speranza di un recupero. Non c’era altro da fare che ricorrere ai farmaci sedativi e alla contenzione fisica, compresa la cintura al letto.
Per circostanze del tutto fortuite la figlia, disperata, viene a conoscenza di Casa Morando e chiede il trasferimento per poterlo assistere meglio, sarebbe più vicino alla propria abitazione, non nascondendo la prognosi infausta che le era stata presentata.
Di fronte a tale richiesta rimango imbarazzata, tergiverso, ho posto in residenza ma preferirei riservarlo per un ospite meno compromesso, poi di improvviso senza nemmeno accorgermene lascio fare alla pancia e dico “Va bene, potete trasferirlo al più presto in camera singola, non c’è bisogna che lo veda, mi fido dei colleghi , ma le anticipo che noi non leghiamo nessuno e di cinture al letto non se ne parla, non le abbiamo nemmeno”.
Ecco cosa risponde Pietro alla domanda “Cos’è per te la vita?”
“La vita è più che altro un passaggio, bello e brutto, c’è un po’ di tutto. Il fatto che sia bello o brutto dipende anche da come lo vedono le persone. Per esempio le tasse sono una brutta cosa, ma non le tasse di per sé, le persone che te le fanno pagare. Sono troppo alte” . Era abituato a gestirsi da solo la propria pensione ed è comprensibile che, in questo momento, sia voglioso di recuperare la propria autonomia. Riusciremo a interrompere il malefico circolo vizioso? Non lo so ancora, il rischio che cada, che si fratturi qualche ossa o si allontani dalla struttura non lo possiamo certo abolire, ma almeno ora è libero, riesce a camminare con un piccolo aiuto e, a parte alcuni momenti, è orientato e collaborante. La cosa più difficile sarà scalare gradualmente i farmaci, ma so per certo che inizierò a farlo, e a breve.
Vedo Luisa che passeggia avanti e indietro con il suo girello e sussurra tra sé e sé parole incomprensibili con aria pensierosa alternando momenti in cui appare preoccupata e altri in cui è più serena. Anche lei ha un’etichetta di demenza per via di un MMSE molto basso e un trascorso in altra struttura dove rimaneva legata in carrozzina per la maggior parte della giornata.
Le faccio la stessa domanda e senza alcuna esitazione risponde: “ La vita è molto importante, è tutto. Se non hai la vita non c’è niente. Bisogna esseri liberi e in salute, ci vogliono tante cose insieme. Quelli che sono in prigione sono dei poveri disperati, quella non è vita. La vita è bella, basta sapere usufruire di questo”.
È la volta di Franca che ha una storia analoga a quella di molti altri. E’ finita in una struttura a seguito di una frattura traumatica del femore seguita da una cascata di complicanze che l’avevano costretta a letto tra ospedale e RSA per circa tre mesi. Lei che viveva sola sulle alture e con orgoglio si definiva una gattara avendo accudito oltre 100 felini, tutti col proprio nome regolarmente registrati in un quaderno che conserva gelosamente. La perdita di autonomia, la sofferenza, la solitudine, i farmaci che erano stati costretti a somministrarle durante il lungo ricovero, avevano fatto sì che si meritasse pure lei l’etichetta indelebile di demenza e l’inevitabile cintura al letto oltre che in carrozzina. Mi fu segnalata da una giovane collega, Emanuela, che con orgoglio considero una mia allieva, e riuscimmo a breve ad accoglierla in Casa Morando. Non so se fu la speranza, oppure Vittoria, la gatta rossa, o la sospensione dei sedativi o la fisioterapia, ma Franca ritornò in sé e riconquistò gran parte della sua autonomia, per lo meno la soddisfazione di esprimere i propri pensieri, di accarezzare un gatto o prendersi cura di una pianta.
Per Franca la vita è un pezzo di mondo, dove ci si può star bene o male. Poi aggiunge decisa: “Nella vita è importante che il Signore conceda la salute, altrimenti è tutto un tribolare. Ci sono quelli fortunati e quelli sfortunati e poi è un’incognita perché non si sa mai come finisca. Sappiamo solo che tutti dobbiamo morire”.
Anche Ermelinda esordisce dicendo che la cosa più importante nella vita è stare bene, poi inizia a raccontare la sua storia: “Io ho quattro figli, il più grande è geometra, ora è in pensione, il secondo porta le medicine in ospedale, il piccolo è rimasto in campagna , nella casa dove vivevo anche io, è stato operato di un malanno alla vescica, l’hanno portato a Milano. Mi porta il gelato al giovedì , si è sposato, separato ed ha una bambina di 13 anni, Mara. Io ne ho passate tante, mio marito è morto da 20 anni. Va bene così, ma mi dispiace che i miei figli debbano pagare perché io stia qui, io ho una pensione bassa, da coltivatori diretti. D’altra parte dove posso andare? La nostra casa è troppo scomoda”.
Per Orestina la vita è tutto, ha tirato su tre figlie e ha permesso loro di farsi una famiglia. “Io ho 97 anni e mezzo– dichiara con enfasi- ora siamo in 26 e ho 10 pronipoti. Sono molto soddisfatta, mi piace far da mangiare, mangiar bene e spendere poco”.
Mentre prendo appunti, noto che Laura mi sta fissando, come se anche lei volesse esprimere il suo pensiero. E’ molto affettuosa , ogni volta che mi incontra, mi stringe le mani accennando a baciarmele mentre esclama a gran voce: “La mia dottoressa!” Ha vissuto a Milano, prima con la mamma, poi in istituto ed essendo stata riconosciuta dalla nascita ritardata mentale, è stata risparmiata dall’etichetta di demenza. Appena mi volto verso di lei, non faccio nemmeno a tempo a finire di pronunciare la consueta frase che Laura risponde pronta: “ Questa qui è la vita che piace a me. A me la vita piace tantissimo e voglio vivere a lungo … lungo … lungo. Essere sempre libera, senza sorella, anche se Mariangela è un amore, ma io non voglio più vedere nessuno. Facevo i mestieri al mattino per essere libera di camminare quando avevo finito. Voglio andare al mercato, aiutare i miei genitori, tirare su la biancheria dal banco”.
È l’ora del pranzo, gli ospiti ad uno ad uno vengono accompagnati a tavola ed io devo interrompere le mie interviste, confesso, con grande dispiacere. Sento di aver imparato molto, da tutti, persino da Luciana, l’operaia della catena di montaggio, incapace di mettere insieme due parole dal senso compiuto che, scoppiando in una clamorosa risata, mi dice di getto: “La vita è niente!”, poi fissandomi negli occhi aggiunge: “Tu sei la più bella del mondo! Ho lavorato tanto, ho fatto tutto e poi basta. Io sono contenta”.
Grazie, vecchi miei, mormora il mio cuore! Grazie per aver espresso con fermezza e soddisfazione il vostro pensiero sulla vita e di avermi permesso di entrare il quel piccolo pezzo di mondo che vi appartiene svelandomi il senso che ognuno di voi dà alla propria esistenza.
Le vostre parole sono riuscite ad emozionarmi e a farmi comprendere , più con il cuore che con la mente, il significato della frase “dare vita agli anni”.