“[…]Le malattie devono essere combattute, debellate, sconfitte.
Occorre difendersi dall’attacco degli agenti patogeni allertando le barriere immunitarie.
Esistono organi bersaglio, cellule bombardate, eserciti di globuli bianchi, invasioni batteriche, batteri Killer, terapie d’urto.
Cellule il cui ruolo difensivo non è ancora chiarito vengono chiamate null-cell (nulle, codarde).
Porzioni di DNA che non hanno svelato alla tecnocrazia il loro compito sono etichettate non-sense.
Evidentemente la medicina, malgrado il suo pesante corredo tecnologico, non è ancora completamente uscita dalla fase originaria e arcaica, essenzialmente magica e sacrale, religiosa e rituale.
Questo linguaggio sottende un approccio teso a individuare aspetti divini nell’incombere delle patologie. Rimozione di antiche paure, da cui esorcizzazione terminologica […]”
Scrive così Antonio Guerci, il mio amico antropologo, nel suo saggio ‘Dall’Antropologia all’antropopoiesi ‘– Cristian Lucisano Editore 2007.
Queste frasi mi aprono un vortice di pensieri inerenti l’uso delle metafore, mezzo molto potente per esprimere concetti, utilizzato soprattutto dagli organi di stampa, quando intendono bombardarci - appunto- con titoli sensazionalistici.
Premetto che non nutro affatto sentimenti negativi nei confronti delle metafore, anzi mi piacciono molto, le sento vibrare dentro, le considero il linguaggio dell’anima, ma quando le metafore fanno riferimento alla violenza, è questa che proprio non mi piace.
La terminologia medica è costantemente un bollettino di guerra e la medicalizzazione e mercificazione della salute, unitamente alla pessima abitudine di dividere tutto ciò che è indivisibile, fa sì che le stesse parole, irrispettose e violente quanto inadeguate, vengano riferite a eventi del tutto fisiologici, come il menarca, la gravidanza e la vecchiaia.
A scatenarmi questa riflessione è stato un annuncio pubblicitario che ho letto in questi ultimi giorni sulla mia posta elettronica, con oggetto: Pfizer lancia la campagna Age Now.
Subito sotto un’immagine surreale di una coppia di anziani dallo sguardo innamorato, compare il titolo a caratteri in grassetto: Affrontiamo l’invecchiamento. Segue una breve premessa sugli over 65 che triplicheranno in numero nel 2050 a scapito della qualità della vita e un elogio alla comprensione ed empatia, aspetti chiave per aiutare i pazienti a vivere pienamente l’età matura. In ultimo, in corsivo e virgolettata la citazione attribuita a Ippocrate che uso spesso anch’io nelle mie relazioni “È più importante sapere che tipo di persona abbia una malattia piuttosto che sapere che tipo di malattia abbia una persona” e poi di nuovo un sottotitolo in grassetto, Scoprite Age Now.
Pur con la paura di cliccare su qualche misteriosa casella capace di attivare funzioni a pagamento valevoli per tutto il resto della vita, non potevo certo resistere a questo stimolante invito ed ho cliccato, scoprendo che si tratta nientepopodimeno che di un programma.
Un programma (cito testualmente) che vi supporterà (il vi è riferito a noi medici) durante la gestione e cura dei vostri pazienti anziani, proteggendo e preservando il loro stato di salute fisica e mentale nell’età avanzata. Semplice, non vi sembra?
Il medico potrà ricevere direttamente nella sua casella di posta tutto ciò che è necessario per aiutare il paziente ad affrontare l’invecchiamento: tecniche di comunicazione, consigli utili per l’autonomia, aggiornamenti sulle ultime ricerche e nuove scoperte.
In chiusura con tanto di punto esclamativo: Sfidiamo insieme l’invecchiamento!
Confesso che mi sono sentita offesa, in primo come donna che ha oltrepassato di cinque mesi e tre giorni i fatidici sessantacinque anni senza accorgersi di dover affrontare chissà quali conseguenze, ma anche come medico, perché mi rifiuto categoricamente di pensare che un programma di tal fatta possa essere di aiuto a chicchessia medico o chicchessia paziente. L’unico aiuto, se così lo vogliamo chiamare, è quello di appesantire le tasche della Pfizer, azienda farmaceutica leader del mercato mondiale dal punto di vista del fatturato.
Non comprendo proprio: le parole hanno un senso e sono molto importanti, come riportato nelle seguenti diapositive tratte dalla mia relazione dal titolo “La vecchiaia non è una malattia e nemmeno le assomiglia” presentata al convegno “Dialogo sulla vecchiaia del terzo millennio” tenutosi a Lavagna (GE) nel novembre 2015.
Affrontare significa: assalire, aggredire, combattere, scontrarsi, sfidare, opporsi e come può essere un termine appropriato per aiutare una persona nel delicato percorso del crescere vecchio?
Perché non usare termini come accompagnare, guidare, incoraggiare, illuminare, affiancare che invitano alla speranza, al rispetto e alla pace? Virtù che non guastano affatto per superare al meglio gli inevitabili adattamenti che ci permettono di invecchiare serenamente.
Se è possibile in qualche modo giustificare l’utilizzo di una terminologia da bollettino di guerra nei confronti delle malattie o dei traumi, molto meno si comprende quando si tratta di eventi fisiologici che accadono (e ci mancherebbe altro che non accadessero) nel corso della nostra vita.
La vecchiaia, per esempio, perché mai dovremmo combatterla, contrastarla, farcela nemica, come fosse una malattia? Quale logica perversa si nasconde dietro questi nefasti pensieri?
Pensieri che conducono alla costruzione di armi contro tutto e tutti e all’individuazione di spazi, sempre più rigidi ristretti in nome della sicurezza, per imprigionare coloro che hanno perso la battaglia nei confronti della malattia, o che hanno perso la guerra contro il tempo, sopravvivendo all’usura degli anni.
Questa si chiama medicalizzazione e mercificazione della salute.
Mi ritornano in mente le parole di Guerci: “La dittatura del mercato, articolata secondo dei fittizi bisogni generazionali distinti e stereotipati, è divenuta un succedaneo culturale …” e quelle di Ivan Illich quando sostiene che la iatrogenesi sociale insorge “… allorché la burocrazia medica crea cattiva salute aumentando lo stress, moltiplicando rapporti di dipendenza che rendono inabili, generando nuovi bisogni dolorosi …”.
Per uscire da questo circolo vizioso bisogna riflettere sul significato delle parole, perché dalla riflessione nascono le azioni, quelle giuste che, a loro volta scatenano altre riflessioni e così via.
Altrimenti ahimè il bollettino di guerra della terminologia si concretizza costruendo sempre più armi contro tutto e tutti e spazi, sempre più sicuri tecnologicamente, atti a contenere coloro che hanno perso anche una sola battaglia nei confronti della malattia, figuriamoci se hanno perso la guerra, osando sopravvivere all’inarrestabile scorrere del tempo.