Mille parole per l'eguaglianza

Mille parole per l'eguaglianza

Due temi di demografia sociale hanno trovato spazio (prima del manifestarsi del Coronavirus) nei dibattiti televisivi e giornalistici: il saldo negativo tra nascite e decessi (-212.000) e l’invecchiamento della popolazione (speranza di vita alla nascita di 85,3 anni per le donne e 81 per gli uomini).
Niente di nuovo, ma ad ogni pubblicazione degli indicatori demografici si manifesta stupore per un futuro che, se non si assumono misure concrete e incisive, appare inevitabile.
Come sempre c’è una visione monca, anzi strabica perché parla per compartimenti stagni d’invecchiamento della popolazione come una iattura, diminuzione delle nascite come scelta, livelli di sviluppo economico e sociale, come scenario asettico. Anche la “tradizionalista” ISTAT ammette che c’è “una discreta (? N.d.R.) correlazione, tra intenzioni riproduttive e potenzialità garantite da un maggior sviluppo economico e sociale”.

In un clima da ultima spiaggia, che si ripete sempre in ogni tornata elettorale, riesce difficile, se non impossibile confrontarsi su singoli temi, ancor meno se riguardano il mondo degli anziani, giovani vecchi o grandi vecchi che siano. Eppure le Regioni, gli attori in gioco, sono i titolari delle competenze nel comparto integrato del welfare socio sanitario.
Sarebbe stato utile il confronto sull’assistenza ai non autosufficienti nelle sue diverse declinazioni: dal riconoscimento del ruolo dei caregiver ad una ipotesi di un ventaglio flessibile di tipologie di residenze assistite, dalla cura personalizzata per le diverse malattie degenerative al supporto per chi presenta disabilità funzionali con la previsione di spazi, ausili e sistemi di mobilità e organizzazione delle città.

La rete solidale che ha reso possibile questa grande iniziativa di accoglienza, ma soprattutto di uno spirito di solidarietà e di unità tra le famiglie del Nord e del Sud ha una radice precisa e solida: la forza delle donne emiliane, che con il supporto di organizzazioni nazionali sono state ispiratrici, costruttrici e conduttrici di tutta l’azione, che poi fu replicata anche in altre tragici momenti come l’alluvione del Polesine del 1951 o il terremoto del Belice.
Il libro “ Il treno dei bambini” ha riportato in primo piano quella straordinaria manifestazione di solidarietà e forse, pur essendo un romanzo, è la voce che più parla delle donne: le madri del sud e del nord, le organizzatrici dell’accoglienza, le vigilatrici sul suo buon funzionamento, il loro impegno e la loro determinazione.

Riprendo dal saggio e dall’intervista ad Alessandro Rosina su “ Il futuro non invecchia”: “Nessuna generazione può stare meglio contro le precedenti e senza le successive” ed ancora “La civiltà umana inizia quando …. Si trova ad escogitare qualcosa che nessuno altro essere vivente aveva fatto prima. Anziché andare a cercare il cibo inizia a portare il cibo a se.....Diventa progressivamente stanziale, costruisce abitazioni in villaggi sempre più ampi e cinti da mura sempre più alte e solide”. Rosina cita un grande scrittore Italo Calvino che 46 anni prima di lui, nel suo libro “Le città invisibili” parla della città di Melania ove la popolazione si rinnova , non tutta contemporaneamente, ma in un susseguirsi continuo.

All’inizio dell’anno in corso si erano ripartiti gli stanziamenti previsti nel FNA per il 2018 e si erano avviati gli incontri per la definizione dei criteri per gli stanziamenti nel 2019 di 573 milioni che avrebbero dovuto, secondo gli impegni del Governo allora in carica, essere alla base di un Piano nazionale per la non autosufficienza, (disabili e anziani), punto di riferimento e cornice per gli interventi regionali. Di norma in questo Fondo è stanziato dal Ministero del lavoro e delle politiche speciali una quota di circa 10 milioni dedicata alla ricerca di progetti e azioni per la vita indipendente, parlando di disabili.
Il Piano potrebbe/dovrebbe essere occasione per ridisegnare i contorni di una linea di politiche sociali e sanitarie, finora assente, che prenda atto del mutato quadro demografico, sociale ed economico di questo Paese per il crescente aumento di persone ultra65enni (o ultr75enni, se piace di più).

Una notizia è apparsa sui giornali a fine agosto. Una coppia di anziani, lui 74 anni, lei 67, lui ammalato di tumore, lei di SLA, si sono suicidati in una stanza d’albergo a Carpi (Modena). Ha suscitato per qualche giorno alcuni commenti, poi tutto è finito lì.
Quella tragedia è stata solo l’ultima di una serie di ritrovamenti di corpi di coppie anziane, che decidono di porre fino alla propria esistenza, o con un doppio suicidio o qualche volta un omicidio/suicidio, perché non hanno più le forze e la volontà di continuare quella vita che immaginavano per loro nei giorni a venire.
Ho fatto una breve ricerca in internet. A luglio a Ivrea una coppia di anziani è stata trovata morta a diversi giorni dal decesso, avvenuto probabilmente per cause naturali, senza che nessuno se ne accorgesse.
A Roma altra coppia di anziani (74 e 77 anni) è stata trovata senza vita, in questo caso un omicidio/ suicidio, causa forse le difficoltà economiche che avrebbero impedito di pagare ancora l’affitto.
Poi, solo perché non sono risalita oltre, a Milano a marzo ancora una coppia, due architetti, di 87 e 75 anni hanno messo fine alla propria vita. L’ipotesi anche in quel caso omicidio/ suicidio.

Recupero dal testo di luglio queste parole: “mutamenti demografici, ageismo, spesa pubblica e privata, cronicità, vecchiaia e le integro con “longevità, etica, responsabilità, nuovi anziani, società futura”.
È un secondo capitolo sul tema dell’invecchiamento, integrato con gli stimoli da letture (qui) più o meno (qui) e (qui) recenti.
Affiancare alle ricerche, magari con aggiornamenti e investimenti, sulla non autosufficienza e sulle demenze una riflessione estesa ad un campo ampio di interlocutori attuali e futuri, consueti o inusuali, aiuterebbe ad alzare la testa per fare dei problemi anche drammatici attuali (assistenza, caregiver, costi delle famiglie, assenza di terapie risolutive per le demenza) un’occasione per esplorare altri percorsi.
In mancanza di politiche nazionali condivise e con la frammentazione esasperata di quelle regionali, l’assistenza e la cura delle persone rischiano di avvilupparsi su sé stesse, riproponendo, come un mantra, le esperienze anche interessanti sinora maturate, “sdrammatizzando” le demenze con iniziative pubbliche “popolari” e/o cesellando l’agire pratico, anche con brillanti intuizioni, che si ripeteranno per un periodo imprevedibile nei prossimi mesi/anni.

Si pubblicano quotidianamente sul tema “anziani” numerosi articoli. Quasi tutti hanno come argomento “la salute” anzi la “cattiva salute”. Parole ricorrenti “cronicità, invecchiamento della società, denatalità” accompagnate ovviamente dai dati economici sulla spesa che è/sarà/ dovrebbe essere sostenuta dal SSN e dalle famiglie (ISTAT-qui).
Con una quasi ovvia conclusione: gli anziani ultrasessantacinquenni malati cronici (l’80% dell’intera categoria di pazienti cronici) non si curano più per ragioni economiche, ma anche per gli ostacoli, le procedure amministrative respingenti, il difficile accesso ai servizi.(Osservasalute qui).
Abbondiamo di numeri e informazioni, anche se spesso differiscono solo per la metodologia di rilevazione e non per la ricerca di indicatori significativi (rischiando anche di essere noiosa cito sempre la condizione della donna in generale e quella anziana in particolare, in tutti i campi esaminati) su due macro aree: il quadro demografico e la salute, sempre intrecciate e sempre testimonianza di un peggioramento della situazione. L’aumento della speranza di vita diventa una sciagura per il paese, per di più riguarda le donne “notoriamente” non protagoniste e produttive nella vita del paese.