L’incipit del mio articolo del mese scorso descriveva la vicenda di una caregiver che faceva fatica ad accettare la complessità delle soluzioni affidabili allo scopo di calmare un familiare anziano con demenza.
A questo punto, per restare almeno una volta nel tema pattuito di questo numero di PLV, rifacendomi alla mia esperienza umana quasi cinquantennale, continuerei con un piccolo spunto da Jannacci, con Quelli che… declinandolo al femminile in Quelle che… per il peso obiettivo delle donne nel ruolo difficile di caregiver. I maschi, tranne splendide eccezioni, sono accomunati in una sorta di disinteresse o di incapacità al compito. Altri sapranno descrivere meglio di me i motivi antropologici e le delicate trame psicologiche nella scelta o imposizione di questo ruolo.
Tutte le famiglie felici sono simili tra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo. E’ un incipit, di altra levatura: è quello di Anna Karenina di Tolstoj che ben si adatta a qualche esperienza problematica che ho vissuto e che tento di raccontare, partendo da una mia diapositiva oramai storica che riguarda le demenze, schema persino criticato da colleghi che contestavano la complessità e forse la stessa esistenza di alcune situazioni in campo clinico ed anche assistenziale.
La diapositiva merita una breve descrizione che serva a illustrare anche gli ambiti meno considerati rispetto a quelli meglio noti relativi ai deficit cognitivi e ai disturbi comportamentali.
In breve, anomalie motorie possono essere presenti nell’evoluzione della malattia di Alzheimer quasi esclusivamente sotto forma di parkinsonismo legato all’evoluzione ed estensione delle lesioni alzheimeriane (ma anche vascolari: vedi lo Studio delle suore) delle strutture encefaliche profonde preposte ai movimenti volontari ed automatici, ma anche ai diversi psicofarmaci usati nel corso della malattia che possono causarlo (antipsicotici tradizionali in primis); fanno parte del quadro clinico della demenza a corpi di Lewy e spesso anche della demenza fronto-temporale e di quella esclusivamente vascolare.
Le alterazioni vegetative sono legate a disfunzione dell’apparato autonomico centrale (sistema simpatico e parasimpatico, ipotalamo ecc.) ed in qualche modo agli organi interni, a quelli endocrini e di senso. Si tratta di funzioni che non comandiamo attraverso la volontà, come la pressione arteriosa e la frequenza cardiaca, la sensazione di caldo e freddo e la temperatura corporea, la stessa organizzazione del sonno, il peso corporeo, il senso della sete o della fame, magari orientata verso cibi dolci, oppure al contrario il rifiuto del cibo, il controllo degli sfinteri e gli impulsi sessuali. Per il sonno, si pensi solo all’inversione del ritmo veglia-sonno oppure ai disturbi comportamentali e motori nel sonno REM (RBD, REM Behavior Disorders): nella fase REM i muscoli dovrebbero essere “disattivati”; tuttavia queste persone “agiscono i propri incubi” con movimenti anche violenti e aggressivi. Sono presenti nella demenza a corpi di Lewy e nella malattia di Parkinson e, così come la perdita dell’odorato, la depressione o l’apatia, persino la stitichezza le anomalie comportamentali del sonno REM possono precedere anche di anni la comparsa dei sintomi noti!
Ogni ambito, ogni cerchio, ha ovviamente delle sovrapposizioni con gli altri. Per non dilungarmi mi soffermo su un solo esempio: i disturbi comportamentali manifestati da una persona con demenza quando non riconosce la propria abitazione. Nascono indubbiamente da un problema cognitivo, ovvero il non riconoscimento di quella abitazione ben nota, che è complesso in quanto legato ad un deficit gnosico, percettivo, visuo-spaziale e ovviamente anche mnesico, e magari con il supporto del ricordo “vecchio” e nostalgico della casa natia che rimane vivo con il suo corredo di nostalgia e di carico emotivo. Motivi per cui una terapia con psicofarmaci difficilmente sortirà l’effetto sperato dal caregiver.
Le demenze sono associate a bisogni complessi, alti livelli di dipendenza e di comorbilità. La presenza o meno di un caregiver, familiare o meno, le condizioni socio-economico-familiari, la personalità e la storia personale della persona malata, i rapporti con chi l’assiste nonché le relazioni tra le persone che la assistono rendono più ampio il quadro d’insieme, che a questo punto può divenire ancora più complesso. Come tale va spiegato con pazienza a Quelle che…e andrebbe chiarito in verità anche a diversi medici o a qualche “non medico” che magari sono stati formati su questo variopinto argomento ma non si sa da chi e come. Nel mio articolo però mi limito a Quelle che…
1. Quelle che…
Ti cercano disperate telefonando o scrivendo una mail oppure prendendo un appuntamento giorni prima di quello del congiunto con probabile demenza, per spiegarti che il familiare probabilmente malato non vorrebbe venire in ambulatorio a farsi dare un’occhiata perché “sta bene”.
Quando lavoravo in ospedale non mi è mai accaduto in circa 35 anni, di cui almeno 7 in ambulatorio UVA. Invece, fuori ho sperimentato altre realtà: appartengono a queste “novità”, appunto, i casi di persone con demenza assolutamente prive di coscienza di malattia.
Il caregiver non è in grado di convincerle a sottoporsi agli accertamenti ed è legittimamente preoccupato. Questa anomalia può esporre paziente e familiari al rischio di conseguenze serie, come ad esempio danni derivanti dalla maldestra guida di una autovettura, dall’uso del gas in cucina, da errori nell’assunzione di farmaci per malattie varie (si pensi al diabete mellito insulinodipendente, all’ipertensione) oppure di psicofarmaci.
Il rischio è maggiore, ho notato, se la persona con demenza “aveva” (quando stava bene…) una personalità forte e indipendente, che fosse un uomo con incarichi sociali e lavorativi di rilievo oppure una donna spesso vedova da tempo, se era decisionista e abituata al comando. In questi casi risulta sicuramente problematico fare accettare, sono alcuni esempi vissuti, l’aiuto stabile di una badante in casa, il supporto e la compagnia protettiva di qualcuno quando va a passeggiare o a fare la spesa, la sospensione della guida, le stessa visite mediche, un esame, una terapia e comunque un adeguato e opportuno controllo della situazione clinica che la carenza di coscienza di malattia ha reso ancora più composita!
L’assenza assoluta di coscienza di malattia, peraltro, impedisce che il soggetto malato possa ricevere tutele legali o amministrative (assegno di accompagnamento, ecc.) in quanto è improbabile che abbia voglia di presentarsi fisicamente in tribunale da un giudice oppure davanti ad una commissione per l’invalidità. A un comportamento del genere altamente spossante consegue un aumento dello stress e possibili danni economici e materiali per i familiari.
Come si può ovviare? Uno stratagemma. Da anni mi permetto di suggerire ai familiari di autoinviarsi per posta a casa una “lettera dell’INPS” o altro istituto nella quale a causa delle nuove disposizioni governative della legge 24567… del 2013, il pensionato (augurandosi che lo sia…) deve presentarsi quel giorno e a quell’ora dal neurologo di fiducia dell’Istituto per una valutazione che serve a confermare alcuni dati riguardanti la salute e di conseguenza la consistenza dell’assegno pensionistico. In questo modo, toccando il tasto del denaro, si può arrivare almeno ad una prima valutazione clinica. Non è molto, ma è già qualcosa.
Dall’altra parte esiste la persona malata è in qualche modo cosciente del proprio stato, soffre spesso di depressione (e ciò appare anche giustificabile), e peraltro non sempre reagisce positivamente alle terapie antidepressive tentate. Tuttavia, al di fuori da questa visione manichea, bianco o nero, è necessario considerare che esistono variazioni della coscienza di malattia, spesso fluttuanti nell’arco di ore o giorni, e che sono presenti certamente delle forme sotterranee di dolorosa coscienza che noi sani non sappiamo cogliere. Sono casi sparuti ma esistono, dei quali si parla poco.
Anzi, anche su questa mia esperienza, forse molto pragmatica e certamente priva di una adeguata e prolungata analisi della psicologia di chi ne è affetto, vengo contestato con argomenti che asseriscono che una coscienza c’è sempre e che, appunto, noi non riusciamo a comprenderne la profondità!
Sto raccogliendo le mail disperate di familiari in situazioni del genere…
I pazienti senza una parvenza di coscienza di malattia li ho visti “finire peggio degli altri”, in quanto hanno continuato a vivere come pensavano fosse giusto perché “loro stavano bene”, alimentandosi male e curandosi peggio, magari continuando ad assumere farmaci che li accompagnavano da una vita (il famigerato Tavor, ad esempio, oppure un ipotensivo o un diuretico non più necessari), guidando e andando incontro a incidenti, cadendo per strada, rimanendo vittima di furti e violenze di vario tipo.
Ricordando un caso tra questi, posso riallacciarmi ad un'altra esperienza...
2. Quelle che…
Ti telefonano da Torino perché hanno parlato col fratello che vive a Mestre, il quale dice che la badante della mamma, che abita a Udine, non riesce a farle fare il bagno…
Chi frequenta questo sito sa alla perfezione che non si possono valutare in questa maniera molte situazioni che si possono presentare nell’arco di una storia di demenza, nell’ottica di poter proporre delle strategie ovviamente non farmacologiche. Le chiamo informazioni di terza mano, le più complesse da gestire, direi impossibili da affrontare se non si ha un contatto con colei che sta in prima linea, in questo caso la badante.
I casi di informazioni di seconda mano prevedono un intermediario che abita lontano dal familiare accudito dalla badante, ma restano similmente difficili da governare. E faticoso spiegarne il motivo al familiare lontano che, come tanti, ambisce alla soluzione 1 + 1 = 2 ovvero 1 persona agitata + 1 sedativo = la persona agitata si calma, che non è sempre attuabile.
3. Quelle che…
- Signora, se vede vagabondare in casa inquieta la mamma e lei l’abbraccia e le fa un grande sorriso, le parla con voce calma e ricca di calore umano, se le dà un bel bacio sulle guance, ecco, se fa questo è probabile che la mamma si rassereni.
- Ma la mamma non mi ha mai abbracciato e io neppure ho mai abbracciato e baciato lei… e ora non riesco.
Ecco come si può perdere per strada l’opportunità di agire in modo corretto ed evitare farmaci inutili o dannosi per effetti avversi o paradossi. In modo più profondo lo spiega Valerio Magrelli…
4. Quelle che…
Si disperano perché uno o più familiari “non capiscono” come dovrebbero comportarsi con la persona malata. Anzi, qualcuno rema contro:
- Sono stato a pranzo con la mamma e ho visto che sta bene, mi risponde a tono, si ricorda i nomi dei miei figli e di mia moglie. Era persino allegra.
- Per favore, oggi resta qui fino al tardo pomeriggio. E se potessi almeno una volta sostituirmi la notte te ne sarei grata: la mamma tra qualche ora e poi per tutta la notte si trasforma in mister Hyde…
- Lo sai che non posso fermarmi. Mah, per me la pazza sei tu…
Disse il fratello…
5 Quelle che…
- Per me la mamma è solo depressa e vuole noi accanto, è una forma di ricatto! Ti ricordi da bambine?
- No, credimi, c’è anche una demenza che non le fa capire lo spazio che la circonda e il significato delle cose. Anche se ricorda abbastanza bene le vicende recenti e pure la data di oggi, dobbiamo aiutarla!
- Beh, se ci credi… anzi, se le credi, resta tu a casa sua e assistila!
Ecco come, a volte, “si crea” una caregiver…
Ecco come si cede ai luoghi comuni sulle demenze: ne scriverò presto!
Ecco apparire sulla scena madre il sacrificio…
Il passo successivo, a questo punto, va ancora dedicato a…
6. Quelle che…
Si sacrificano, generose, amorevoli per indole o per il peso di antichi doveri inculcati dalle loro mamme o dalle nonne o dai maschi della casa, oppure semplicemente quel senso di pudore e di affetto che la malattia non scalfisce.
- Signora, da medico di suo marito e suo le ordino, dico le ordino! di andare alle terme vicine a casa sua due volte la settimana, così può curarsi le ginocchia malandate, fare del benefico movimento e rilassarsi dallo stress dell’accudimento di suo marito. Le sue figlie sono d’accordo e la sostituiranno a turno amorevolmente!
- No, siamo sposati da cinquanta anni e non lo lascio neanche un minuto!
Le ho chiamate Dure al pezzo! ricordando certi racconti di mio nonno sulla prima guerra mondiale.
Un po’ di cattiveria!
7. Quelle che…
- Siamo venute per fare ottenere alla mamma l’assegno di accompagnamento…
- Si, ma… la diagnosi? Avete fatto accertamenti? E magari un tentativo di cura togliendo farmaci non necessari, trattando meglio l’ipertensione o il diabete o modificando la vostra assistenza? Provando quei farmaci per la malattia che non sono fulmini di guerra ma che a volte funzionano?
8- Quelle che…
- Ci deve pensare lo stato, noi siamo stanche e abbiamo il lavoro...
9. Quelle che…
Rileggetevi l’inizio del mio articolo del mese scorso su Gli abusi nascosti e il senso perduto di responsabilità che risponde a Quelle che…
- Come mai non c’è un farmaco per calmarlo nel tardo pomeriggio?
Ma sento di dover tornare buono e finire con un bel 10…
10. Quelle che…
Sono protagoniste di altre infinite situazioni e chiedono…
Come mai … non si lava?
… non si cambia gli abiti?
… orina sulle piante di casa?
… chiede continuamente di mangiare?
… mangia sempre dolci?
… non vuole bere?
… ha perso tutti gli interessi che aveva?
… ha dimenticato come si usa il computer?
… vede bambini e gli prepara il pranzo?
… dice che mio padre, che ha 87 anni, la tradisce?
… che i vicini le rubano il minestrone entrando in casa non si sa come e poi lo allungano con acqua?
… ha scambiato il giorno con la notte?
… non sa usare lo spazzolino da denti?
… e la forchetta… e mangia con le mani?
… fa caos se il cibo e il piatto hanno lo stesso colore?
… scambia il water col bidet?
… non riesce più a vestirsi?
… non mi riconosce più?
… non vuole più uscire?
… uscirebbe sempre?
… si muove in maniera instancabile?
… non parla più?
… mi chiede come mai non viene a trovarlo la sua mamma?
E finirei con
Quelle che … restano deluse dalla pochezza delle armi della medicina…
Quelle che … si aspettavano di più…
Quelle che … si sono accorte che il medico ha fatto finta di eseguire il Mini Mental…
Quelle che … sono frastornate perché “la mamma sta bene in quanto il Mini Mental è negativo”…
Quelle che … oltre al Parkinson ora devono combattere anche la demenza…
Quelle che … non si aspettavano questa tegola di diagnosi …
Quelle che … hanno ambedue i genitori con demenza…
Quelle che … trascurano la loro salute…
Quelle che … hanno contemporaneamente da curare una loro grave malattia…
Quelle che … vengono abbandonate dal marito mentre sono impegnate ad accudire un genitore con demenza…
Quelle che … non vanno al cinema da almeno dieci anni…
Quelle che … sono arroganti e pretendono la soluzione farmacologica a tutti i costi…
Quelle che … sono gentili di animo.
A tutte loro, affaticate, nervose, avvilite, scoraggiate, prive di speranza, l’augurio sincero di ricevere da noi medici risposte esaurienti sui tentativi di cure farmacologiche, pur con mille trappole o difetti e qualche pregio, e da noi e dagli altri professionisti della salute i consigli adeguati, applicabili, corretti e condivisi sulle strategie prioritarie! non farmacologiche.