Sono passati più di centocinquanta anni da quando Ivan Turgenev, in Padri e figli, faceva pronunciare al giovane nichilista Bazarof la frase rivolta al coetaneo Arkady: “Tuo padre é un buon diavolo, ma è un uomo a riposo, la sua canzone è finita”.
Il papà di Arkady aveva circa cinquanta anni, “oramai” solamente un ufficiale in pensione e quindi in attesa dell’imminente finale di dipartita!
Da allora l’umanità, persino quella schiacciata dalla storia e dalla finanza di rapina, ha guadagnato anni di vita, seppure con un finale intriso di fragilità di vario tipo. Oserei aggiungere che, malgrado la frase alquanto irrispettosa di Bazarof, in fondo la considerazione verso gli anziani, magari limitata ai propri anziani in casa, si è in qualche modo mantenuta nei decenni a seguire.
A parte vari tragici incidenti di percorso come quelli che hanno visto protagonisti Pietro Maso, Loretta Graneri e altri figli carnefici dei genitori, ci metto dentro il film “Parenti serpenti” di Mario Monicelli, un certo rispetto per genitori e familiari anziani si è conservato.
Ora si annuncia all’orizzonte una nube che porta qualcosa di nuovo, di inquietante.
“Ho passato qualche ora, sere fa, ad ascoltare un avvocato esperto di diritto di famiglia che mi raccontava di come siano sempre più numerosi i casi di genitori che si rivolgono al suo studio per difendersi dai figli”.
È Concita De Gregorio ad averlo scritto il 24 agosto su Repubblica.
“È un fenomeno molto diffuso, tra colleghi noto, ma se ne parla pochissimo: sa, i figli sono figli, il buon nome della famiglia, la vergogna, lo stigma sociale. Spesso sono persone della media o alta borghesia: preferiscono che non si sappia. Poi certo, alcuni casi finiscono in cronaca, esplode la violenza, dei fatti di sangue parlano i giornali. Ma mi creda: è capillare. I figli che pretendono dai genitori soldi, beni, che chiedono l’amministratore di sostegno per controllare le loro spese e contestarle. Arrivano a pretendere l’interdizione. I genitori arrivano spesso insieme, piangono. Specialmente le madri: in qualche modo li giustificano, sono pur sempre i loro figli, ma capiscono che si devono difendere e lo fanno… Dunque, la questione è questa: famiglie benestanti, non necessariamente ricche. Figli adulti, più che maggiorenni, a volte anche trenta-quarantenni, che con determinazione, rabbia, con violenza se non fisica senz’altro psicologica rivendicano il loro diritto ad essere mantenuti, a ereditare in vita dei padri, ad avere case, cose, denaro. Colpisce la sicurezza con cui i giovani si sentono autorizzati ad avere quello che credono spetti loro: io penso che debba trattarsi anche di un’abitudine ad essere accuditi, la nostra generazione si è preoccupata troppo di eliminare le difficoltà che avrebbero potuto incontrare e così facendo li ha indeboliti. Infine, sono diventati violenti. Ma non è solo questo. Non può essere solo questo”.
Sono le parole dell’avvocato con le quali Concita conclude l’allarmante testimonianza.
Pochi giorni fa sul Corriere, una storia forse di segno opposto e parimenti angosciante.
Vede protagonista, intervistato, il figlio di Lando Buzzanca, anni 88. Non amo il gossip per cui mi sono limitato a leggere l’articolo, quasi una pagina intera, senza cercare notizie dettagliate altrove. In poche parole, il figlio teme che lo stato di salute mentale dell’attore non gli consenta di fare certi investimenti che ruotano nell’ambito dell’attività lavorativa della più giovane e intraprendente attuale compagna. Sembra peraltro che Buzzanca, già da tempo malato di una forma di demenza oramai avanzata, non sia in grado di capire il linguaggio comune. Tecnicamente si tratta di una componente nota a noi della famiglia dei neurologi da quasi due secoli: si chiama afasia di Wernicke ed è dovuta ad un malfunzionamento legato a vari tipi di lesioni (anche degenerative) che coinvolgono un’area del lobo temporale sinistro (anche nei due terzi dei mancini). Non so, ovvio, se le capacità di critica e di giudizio e il resto del bagaglio cognitivo dell’attore siano traballanti. È una delle storie dei nostri giorni.
Il figlio, breve chiosa, parla di “demenza senile”, demenza che non esiste. Chissà quando ce ne libereremo!
Come neurologo dei vecchi ho dovuto impegnarmi diverse volte in battaglie, anche giudiziarie nel ruolo di perito di parte, difendendo anziani e anziane alle prese con le smanie di familiari, spesso figli ingordi e poco riconoscenti oppure sinceramente preoccupati delle sorti economiche e di salute del congiunto malato. Ho avuto a che fare con figli che presumevano, a torto o a ragione, che il padre stesse dilapidando il patrimonio con la più giovane badante, con l’amica di turno.
Tra i tanti, mi sono occupato del signor Francesco, anni 83 ben portati, accusato dai due figli di essersi appropriato dell’eredità della moglie (nonché madre dei due!), deceduta pochi mesi prima. Ha chiesto, come prassi, il giudice: “All’epoca della registrazione del testamento, la signora era in grado di intendere e di volere”?
Il signor Francesco mi è sembrata persona mite oltre che sano di mente e intelletto, in possesso di un solido senso etico. Molto segnato da questi risvolti imprevisti nell’epilogo della sua vita, non riusciva a capacitarsi di questa denuncia. Ancora rattristato per la perdita della compagna di una vita che aveva scrupolosamente e amorevolmente seguito nelle peripezie dolenti di una malattia di Alzheimer. Ho esaminato i suoi documenti; alcune persone che lo conoscevano – e che conoscevo - mi hanno descritto l’amara vita di caregiver solitario che ha condotto in quei lunghi anni. Appariva sinceramente addolorato e stupito da questa azione legale.
“Ma a chi vuole che lasci i miei averi quando me ne andrò, dottore? Ai miei figli! Non vogliono parlarmi, spiegarmi, lasciarmi spiegare. Non capisco”.
Ha vinto la causa. Non so come avrà disposto in testamento l’assegnazione dei suoi averi.
Di segno opposto la vicenda del signor Nereo, circa la stessa età, uno grande e grosso abituato a comandare in casa e fuori, assolutamente incapace di capire di essere preda di una demenza che gli aveva tarpato le ali del senso critico, di ciò che è bene e di ciò che rappresentiamo come male. Personalità e mancata coscienza di malattia hanno collaborato a complicare tutto (qui) .
Non conosco come sia finita ma, almeno fin dove sono arrivato a seguire lui e i familiari preoccupati, aveva già dilapidato un bel po’ di soldi, miracolosamente comparsi nel conto corrente della giovane amica straniera.
Un altro Francesco, invece, a 80 anni era assolutamente in ottime condizioni fisiche e cognitive, voleva godersi gli ultimi spicciolo di vita fino a quel momento non priva di sacrifici.
Una piccola fortuna costruita dal nulla lavorando sodo era stata già consegnata in vita ai figli, ma evidentemente non bastava: loro volevano tutto e subito! Mite qual era, il signor Francesco ha accettato con umiltà che i figli lo conducessero da me per farsi valutare. Hanno assistito alla visita rendendosi conto dell’ottimo livello mentale del padre al colloquio e ai test cognitivi. Ho parlato a tutti e tre, poi separatamente col signor Francesco da solo e infine con gli imbestialiti figli.
Penso che mi abbiano odiato, intrisi nel sangue dei loro presunti diritti, in un loro mondo etico che non concepisce il senso e la necessità dei doveri.
Lo avranno portato altrove, penso, chissà se avranno trovato qualcuno che ha supportato le loro tesi violente e scandalose.
Ho visto cose che voi umani… direbbe il protagonista di “Blade runner”. In tre vicende ho visto tre fratelli maschi avere le stesse reazioni, trarre le medesime conclusioni:
“La mamma la vedo davvero bene, abbiamo parlato a lungo, è lucida”.
“Ma dovresti fermarti qui nel tardo pomeriggio o, ancora peggio, di notte! Diventa mister Hyde”!
“Sai che non posso per il lavoro e la distanza da qui…. Mah. Per me la pazza sei tu”!
Ecco come una figlia viene incoronata nel ruolo di sfortunata caregiver.
In altre storie le protagoniste erano generose mogli separate che tornavano ad accudire mariti finiti in solitudine, malati di demenza.
L’umanità ha forse bisogno di lezioni di gentilezza e di etica. Mi piace ripetere, quando capita, che “l’etica viene prima della legge”.
Se possedessi più cultura certamente troverei fini citazioni da letture recenti e storiche sull’ingratitudine umana. E non ho, purtroppo, le conoscenze utili a comprendere pienamente se la proposta di insegnamento dell’Educazione Civica nelle scuole sia uno strumento valido.
Mi fa riflettere a tal proposito un argomentato articolo di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere del| 14 luglio, provocatorio già sin dal titolo: “Non sappiamo più educare i giovani (solo compiacerli)”.
“Ingraziarsi i giovani è divenuta da decenni la parola d’ordine di un Occidente sempre più vecchio e sempre più preso dalla paura di esserlo. Compiacere i giovani è divenuto così il primo comandamento di chiunque intenda apparire al passo dei tempi … che si farebbe impalare pur di non chiudere una discoteca da diecimila decibel.
Ma i giovani non dovrebbero essere adulati. Adularli, compiacerli, è il modo più sicuro per rovinarli: perché così li si rinchiude nell’informe in cui essi ancora consistono e dal quale invece devono essere aiutati a uscire, «e-ducati» (condotti fuori: ah la folgorante perspicuità della lingua latina!)… Disgraziatamente è proprio ciò che le nostre società, a cominciare dalle famiglie, non riescono più a fare. Non sappiamo educare le nuove generazioni, dare loro una misura e un retroterra, e quindi un orizzonte di senso per l’oggi e per il domani; riempire di un contenuto positivo di attesa e di speranza gli anni d’apprendistato che esse vivono.
Ed è per l’appunto su questo fronte che anche la scuola italiana registra il suo fallimento più visibile…cioè formare una coscienza, introiettare un limite, plasmare un carattere, sapere che cosa è bene e che cosa è male. Una scuola che coltiva una simile illusione, che crede che la chiave dell’educazione sia l’insegnamento di «democrazia» è una scuola che in realtà ha smarrito il senso della propria natura e con essa la propria anima. Che rimane una sola: l’istruzione.
La scuola è nata per istruire e dalla convinzione che l’istruzione in quanto tale abbia un potere educativo, che essa in quanto tale incivilisce. Solo gli sciocchi o i demagoghi, infatti, credono che l’istruzione consista nell’assimilare un insieme di nozioni e basta. È invece tutt’altro.
Istruirsi, in realtà, vuol dire attraverso le nozioni appropriarsi di un retaggio. Vuol dire cioè stabilire un legame con quanto è stato pensato, conosciuto, scritto e fatto d’importante prima di noi e quindi farlo nostro. Istruzione, infine, vuol dire essere accompagnati nell’impresa da un maestro (ogni insegnante deve sforzarsi di esserlo).
È Leopardi, sono la storia e la matematica che insegnano ad essere cittadini di una patria libera e a rispettare gli altri, non l’educazione civica.
La scuola, invece di opporsi all’ideologia sociale dominante fondata per intero sulla delegittimazione del passato, sull’attacco a tutti i suoi valori, sul discredito di ogni tradizione, accredita l’idea che nella scuola stessa ciò che davvero conta — e deve contare! — siano ormai solo le «competenze»…. il tutto, come è ovvio, per l’entusiastico impulso di burocrazie senza principi e di ministri dell’istruzione di nessun peso mossi solo dallo spasmodico desiderio di far parlare bene di sé i giornali dell’indomani”.
Nota a margine
Il gruppo scultoreo di Gian Lorenzo Bernini, eseguito tra il 1618 e il 1619 e conservato nella Galleria Borghese, ha una potente forza simbolica includendo tre generazioni, Enea, Anchise e Ascanio mentre fuggono da Troia… Il vecchio Anchise, seppur timoroso, evidentemente fragile nel fisico, sostiene amorevolmente il simbolo della patria abbandonata; Enea è forte, virile, al centro del destino, mentre il piccolo Ascanio sembra spaventato e nello stesso tempo speranzoso, proprio come il nonno. Generazioni che si rispettano.
È tra le parole (valori!) scomparse, le ho citate diverse volte su questo sito. Il rispetto non ha una data di scadenza.