La salute- così come definita dall'OMS- non significa assenza di malattia ma si concretizza in quello stato complessivo di benessere che comprende la sfera fisica, mentale e sociale (1)
La diffusione
Il rapporto globale sull’ageismo pubblicato dall’OMS si basa, tra le altre, su un’indagine sistematica, condotta nel 2020, della letteratura internazionale esistente in ambito sanitario ed economico e coinvolge 422 articoli di 45 Paesi diversi.
Nonostante questo, la mancanza di indicatori validati e univoci, impedisce di pervenire a conclusioni certe e di misurare la forza del legame tra ageismo e effetti sulla salute delle persone e sull’economia dei diversi Paesi, o addirittura di imputare all’ageismo il manifestarsi di determinate problematiche legate alla salute.
Ciò non di meno il rapporto rimane un documento importante per il suo approccio globale al fenomeno e perché stabilisce con certezza l’esistenza di una correlazione tra ageismo e salute e tra ageismo ed economia (2).
Come già accennato, una parte importante del rapporto riguarda l’indagine sull’ageismo nella sua manifestazione istituzionale, ambito particolarmente sensibile vuoi per la radicalizzazione di abitudini e comportamenti discriminatori difficili da eliminare, vuoi per la forma spesso inconscia che riveste (3).
Tra le istituzioni che compongono l’ambiente che ci circonda, un’attenzione particolare va riservata al SETTORE SANITARIO dove, come si è tristemente potuto verificare in questi ultimi due anni, l’ageismo può indirizzare la scelta tra curare e non curare.
Il “razionamento delle cure” deciso sulla base dell’età è infatti pratica consolidata praticamente ovunque e si manifesta in diversi ambiti; dalle decisioni di non sottoporre a particolari trattamenti – come ad esempio la dialisi, o la respirazione assistita tramite ventilatori, o ancora gli interventi chirurgici – alla decisione di non includere le persone oltre i 65 anni nei trial farmacologici – come ad esempio i farmaci destinati alla cura del morbo di Parkinson (4).
Vi è invece incertezza sull’incidenza di comportamenti ageisti da parte di medici e personale sanitario non medico, anche se il fenomeno è chiaramente percepito. Allo stesso modo il personale medico psichiatrico sembra non essere sufficientemente attrezzato o attento quando si tratta di diagnosi di malattie mentali nelle persone anziane, spesso manifestando attitudini negative e riluttanza a lavorare con questo gruppo anagrafico.
La situazione è perfino peggiore quando si passi a valutare comportamenti ageisti all’interno delle strutture residenziali. I pochi studi esistenti – principalmente in Canada, Israele e Australia – ne sottolineano evidenti manifestazioni sotto forma di linguaggio infantile e comportamento condiscendente da parte degli operatori, mancanza di diagnosi e controlli medici accurati, abuso nella somministrazione di farmaci, scarsa o nulla considerazione per i bisogni e i desideri dei residenti o, infine, poca qualità negli scarsi servizi disponibili.
Le indagini condotte hanno dimostrato una certa prevalenza del fenomeno anche in molti settori (5) del MONDO DEL LAVORO e in tutte le fasi della vita lavorativa, dal momento dell’assunzione – quando ai lavoratori “anziani” vengono preferiti i giovani – via via lungo tutto il percorso lavorativo – con minori occasioni di aggiornamento, ma anche con valutazioni meno favorevoli rispetto ai lavoratori più giovani – fino al momento del pensionamento. Questa attitudine influisce negativamente sui lavoratori favorendo un’uscita prematura dal mercato del lavoro.
Anche l’importantissimo settore della COMUNICAZIONE è intriso di messaggi ageisti. La rappresentazione dell’età adulta e anziana in televisione e nei social media è cruciale perché in grado di influenzare il nostro modo di pensare alla terza età e, di conseguenza il nostro comportamento nei confronti loro e di noi stessi.
Uno studio condotto in Europa e Nord America sulle pubblicità nelle riviste e in televisione tra il 1980 ed il 2020 ha dimostrato che le persone anziane in questo settore sono sottorappresentate. Ma mentre fino agli anni ‘90 alla scarsa rappresentazione si accompagnava una stereotipizzazione negativa, da quel momento in poi si assiste ad una variazione nella narrazione delle persone anziane: da soggetti vulnerabili, fragili e in generale poco attraenti, si passa alla presentazione di una categoria attiva, che si gode il tempo libero e che conduce uno stile di vita sano. (6) Questo fatto tuttavia può nascondere una forma di ageismo più sottile e subdola: può cioè indurre a pensare che l’invecchiamento in salute sia una responsabilità dell’individuo e che le diseguaglianze e le inequità nell’accesso ai servizi non siano fattori determinanti. In generale però bisogna sottolineare che la rappresentazione delle persone anziane nei media varia in modo consistente da Paese a Paese.
Recentemente le ricerche si sono concentrate sui social media – Twitter e Facebook in particolare – dove la comunicazione è pubblica e non filtrata, riflettendo in questo modo il sentire reale degli individui. I risultati mostrano la prevalenza dell’utilizzo di un linguaggio che rafforza una rappresentazione stereotipata delle persone anziane come deboli, vulnerabili e parte di un gruppo omogeneo nella fragilità, disconoscendo in questo modo il fatto che ci sono anziani che effettivamente soffrono una situazione di reale svantaggio (economico, sanitario, ecc.) ma che ci sono altrettante persone anziane in piena salute ed efficienza mentale che ancora contribuiscono in varie forme alla crescita della propria comunità.
Questi sono solo alcuni tra gli esempi più eclatanti di ambiti sociali dove l’incidenza di comportamenti ageisti è componente fondamentale nei rapporti con le persone anziane. Ma l’elenco è lungo: basti pensare al nostro sistema LEGISLATIVO che – intersecandosi con l’ageismo sanitario e lavorativo – impone limiti di età per i trapianti di organi (indipendentemente dalle condizioni generali del paziente) o prevede la possibilità di pensionamenti forzati. O ancora al mondo IMMOBILIARE dove frequentemente si riscontrano condizioni di affitto diverse in relazione all’età degli inquilini o dei possibili acquirenti. Oppure al mondo della TECNOLOGIA, dove l’ageismo – spesso autoinflitto – provoca la scarsa alfabetizzazione digitale degli ultra 65enni che, di conseguenza non vengono inclusi nei focus group per lo sviluppo del design e di nuovi programmi. Attitudini ageiste di riscontrano anche nel modo in cui i DATI vengono raccolti e le STATISTICHE vengono predisposte. In genere infatti i dati statistici spesso non includono il gruppo di età superiore ai 65 anni o, se lo fanno, lo considerano come un gruppo omogeneo arrivando a includere un range fino a 40 anni e oltre. Basterebbe pensare all’aumento degli ultra-centenari per constatare la necessità di disaggregare il macro-gruppo. E infine vorrei menzionare il mondo FINANZIARIO, di cui ancora troppo poco si parla. Lo studio dell’OMS rileva la generale difficoltà, in particolare nei Paesi a medio-basso reddito, per le persone anziane di accedere a strumenti come i mutui e i crediti in generale. La situazione si fa ancora più critica nel caso delle donne anziane, già svantaggiate da un sistema pensionistico che, in alcuni Paesi, non riconosce le pensioni “sociali”. Nei Paesi industrializzati viceversa, sono gli strumenti finanziari di investimento e gli strumenti assicurativi quelli dove si rileva una maggiore discriminazione, risultando spesso le persone anziane escluse dalla possibilità di sottoscrizione o soggette a politiche di prezzo differenziate. (7)
In generale il rapporto dell’OMS indica che le diverse forme di ageismo e la loro prevalenza variano nelle diverse zone geografiche, sono più o meno incisive a seconda delle diverse culture e si sono modificate nel tempo, come indicano le tabelle.
L'impatto sulla salute e sul benessere sociale
L’indagine dell’OMS ha rilevato come la consistente presenza di comportamenti ageisti negativi nei confronti delle persone anziane risulti in un forte impatto sulla loro SALUTE, sulla qualità e sull’aspettativa di vita. La correlazione è ancora più forte nei casi di ageismo auto-inflitto, quando si manifesta nei confronti di persone che soffrono altri svantaggi – ad esempio quello economico – o che vivono in condizioni di basso sviluppo culturale.
Questi effetti negativi sulla salute – fisica e mentale – si manifestano in tutti i Paesi oggetto di studio e presentano una tendenza all’incremento, probabilmente legata anche alle frequenti crisi economiche che oramai si verificano periodicamente e interessano una vasta parte del pianeta.
Scendendo nel dettaglio, il rapporto indica che le persone che subiscono discriminazioni sulla base dell’età hanno una maggiore probabilità di incorrere in una morte prematura, una minore probabilità di guarigione da eventi acuti e, in linea di massima, intraprendono abitudini di vita non corrette – come ad esempio l’aumento nel consumo di tabacco e alcool.
L’abuso e l’uso improprio di farmaci, o la loro errata prescrizione dovuta alla scarsa attenzione riservata al paziente anziano sono anch’essi fonte di eventi avversi che conducono a ricoveri altrimenti evitabili o addirittura a esiti fatali.
L’ageismo è anche associato all’insorgere o acutizzarsi di problemi legati alla salute mentale, come la depressione. In base a stime mondiali per l’anno 2015, si calcola che approssimativamente 6.33 milioni di casi di depressione siano attribuibili a forme di discriminazione (8).
Allo stesso modo la discriminazione è in grado di provocare o acutizzare il processo di decadimento cognitivo. In questo ambito gli studi sono numerosi e in tutti si conclude che quando una persona anziana viene esposta a stereotipi negativi, indipendentemente dalla sua consapevolezza, la capacità mnemonica e l’abilità cognitiva diminuiscono, fenomeno questo a cui viene dato il nome di Stereotype Threat (minaccia dello stereotipo) (9).
Il discorso è analogo quando si consideri l’impatto dell’ageismo sul BENESSERE SOCIALE (10) inteso come percezione di un complesso di indicatori coma la qualità di vita, il grado di isolamento ed esclusione, la sessualità, la paura di essere oggetto di potenziali crimini e il pericolo di cadere vittime di abusi e maltrattamenti.
Gli studi e gli articoli presi in considerazione per l’indagine sistematica indicano in modo unanime come le persone anziane abbiano una percezione negativa di tutti gli indicatori sopra riportati:
- Qualità della vita – tutti i 29 studi sull’argomento rilevano la percezione da parte degli intervistati – di età compresa tra i 60 e i 100 anni – di una insoddisfacente qualità di vita, dovuta principalmente a considerazioni legate all’invecchiamento e ai problemi di salute che ad esso si associano;
- Isolamento ed esclusione – è una condizione comune tra le persone anziane e viene alimentata da tre fattori diversi: la sensazione di essere non desiderati o socialmente rifiutati; l’internalizzazione di stereotipi negativi riguardo l’invecchiamento ( i.e. la vecchiaia è il tempo dell’isolamento e dell’abbandono della partecipazione sociale); la presenza di usi, consuetudini e leggi ageiste (i.e. il pensionamento forzato per certe categorie di lavoratori o, ancora un ambiente circostante non age-friendly con barriere architettoniche e trasporti pubblici inesistenti o poco accessibili)
- Sessualità – nonostante sia ormai riconosciuto che la vita sessuale rimane una componente della nostra vita importante a tutte le età, tuttora l’argomento rimane tabù in molti Paesi (soprattutto nel continente Africano e nei Paesi del Sud America) o viene sottovalutato nei Paesi più industrializzati, dove il comportamento sessuale viene associato unicamente alle pratiche tradizionali ed eterosessuali. Ne risulta che le persone spesso interiorizzano l’aspettativa negativa riguardo alle proprie capacità di performance in età anziana;
- Paura del crimine – l’ageismo è in grado di influenzare il modo in cui le forze dell’ordine ed il sistema giudiziario dedicano attenzione alle denunce e alle richieste di intervento da parte delle persone anziane o trattando con scarsa attenzione le loro richieste di aiuto o, viceversa, riportando in modo sproporzionato e sensazionalistico i crimini che li riguardano, alimentando in questo modo la paura di essere vittime preferenziali
- Abusi e maltrattamenti – l’ageismo può anche determinare l’aumento del rischio di abusi sulle persone anziane nelle sue varie forme. Un recente sondaggio mondiale infatti indica che 1 anziano su 6 riporta eventi abusanti nei suoi confronti.
SULL’ECONOMIA
Nonostante le evidenze siano molto limitate, è possibile affermare una correlazione indiretta tra ageismo e benessere economico tanto individuale quanto a livello collettivo.
Le stime dei costi complessivi – sulla salute e sul benessere sociale degli individui anziani – dell’ageismo sono cruciali:
- Perché ne definiscono il peso sulla società in termini economici;
- Perché sono in grado di influenzare la programmazione politica e l’allocazione delle risorse per la ricerca;
- Perché sono utili nel comprendere come i problemi legati alla salute e al benessere sociale sono in grado di rallentare lo sviluppo di un Paese o di una comunità.
A LIVELLO INDIVIDUALE già si è avuto modo di vedere come l’ageismo nel mercato del lavoro sia in grado di influenzare la vita lavorativa e indurre un’uscita prematura dal mercato del lavoro, comportando uno svantaggio economico per la vittima che si troverà esposta ad un maggior grado di povertà o di insicurezza finanziaria. Ulteriore conseguenza personale, come già evidenziato, è un peggioramento delle condizioni di salute fisiche (in termini di declino cognitivo) e mentali (con il possibile insorgere di stati depressivi), fatto che comporta un aumento della dipendenza sul sistema del welfare nazionale.
Sebbene esistano pochi studi sugli effetti dell’ageismo sull’ECONOMIA NAZIONALE, tutti portano alla conclusione che i costi sono molto elevati e che una riduzione del fenomeno sul mercato del lavoro e nel sistema sanitario porterebbero ad indiscussi vantaggi economici. Ad esempio uno studio condotto negli Stati Uniti ha dimostrato come, in una società che impiega 10.000 persone, il demansionamento di lavoratori dovuto a motivi anagrafici abbia portato ad un aumento di 5.000 giorni di assenza ingiustificata e ad una perdita di 600.000 dollari in termini di minori salari pagati. Uno studio australiano ha invece stimato che un aumento del 5% nell’impiego di lavoratori over 50 comporterebbe un beneficio all’economia nazionale di 48 miliardi di dollari australiani (11).
Ma, come si è detto, i costi dell’ageismo si riflettono anche sulla spesa sanitaria nazionale. Nel 2020 gli Stati Uniti hanno condotto il primo studio nazionale sulle conseguenze dell’ageismo sull’economia del Paese (12). Nel corso di un anno si sono cioè calcolate le spese sanitarie conseguenti a comportamenti ageisti subiti da persone di 60 anni e oltre con riferimento alle 8 principali voci dove maggiore è la spesa sanitaria, e cioè: malattie cardiovascolari, malattie respiratorie croniche, problemi all’apparato muscolare, ferite, diabete mellito, problemi sanitari derivanti dal fumo, disordini mentali e malattie non trasmissibili. Lo studio ha verificato che per ogni 7 dollari spesi 1 dollaro (pari a 63 miliardi di dollari) è imputabile a problemi sanitari causati da comportamenti ageisti!
E’ indubbio, a questo punto, come l’ageismo possa a tutti gli effetti essere considerato – oltre che un’istanza legata al godimento dei diritti umani – anche un problema di salute pubblica, in grado di pesare in modo consistente sulle finanze nazionali. Diventa quindi importante per il governi nazionali, non solo riconoscerne l’esistenza e darne una dimensione effettiva riguardo a diffusione ecosti, ma proporre dei programmi di sensibilizzazione e prevenzione che partano dalla formazione primaria e propongano una lettura nuova dell’essere umano non più come somma di fasi distinte della vita ma come un unico continuo con diverse esigenze, caratteristiche e possibilità.
(continua…)
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Note:
(1) The Global Report on Ageism, Geneva, World Health Organization, 2021: Chapter 3, pag. 48
(2) The Global Report on Ageism, Geneva, World Health Organization, 2021: Chapter 3, Box 3.1, pag. 50
(3) Per “istituzione” si intende il contesto sociale in cui tutti ci troviamo a vivere: sono le leggi, le regole e le norme sociali, le politiche e le pratiche adottate dalla comunità
(4) The Global Report on Ageism, Geneva, World Health Organization, 2021: Chapter 2, pag. 23
(5) Tra cui il commercio, i servizi contabili e il settore turistico. The Global Report on Ageism, Geneva, World Health Organization, 2021: Chapter 2, pag. 26
(6) The Global Report on Ageism, Geneva, World Health Organization, 2021: Chapter 2, pag. 27
(7) The Global Report on Ageism, Geneva, World Health Organization, 2021: Chapter 2, pag. 30
(8) Chang ES, Kannoth S, Levy S, Wang SY, Lee JE, Levy BR. Global reach of ageism on older persons’ health: a systematic review. PLOS ONE. 2020;15(1):e0220857.
https://doi.org/10.1371/journal.pone.0220857 .
(9) Lamont RA, Swift HJ, Abrams D. A review and meta-analysis of age-based stereotype threat: negative stereotypes, not facts, do the damage. Psychol Aging. 2015;30(1):180–93.
https://doi.org/10.1037/a0038586
(10) The Global Report on Ageism, Geneva, World Health Organization, 2021: Chapter 3, pag. 52
(11) The Global Report on Ageism, Geneva, World Health Organization, 2021: Chapter 3, pag. 56
(12) Levy BR, Slade MD, Chang ES, Kannoth S, Wang SY. Ageism amplifies cost and prevalence of health conditions. Gerontologist. 2020;60(1):174–81.
https://doi.org/10.1093/geront/gny131.