C’è un tempo perfetto per fare silenzio
C’è un tempo perfetto per fare silenzio
Guardare il passaggio del sole d’estate
E saper raccontare ai nostri bambini
quando è l’ora muta delle fate
Ivano Fossati (C’è tempo da Lampo Viaggiatore)
Viviamo nel tempo del rumore e il rumore ha creato una dipendenza.
Il silenzio è sotto attacco, in una società sempre più rumorosa ed irrispettosa che ritiene il silenzio semplicemente un’assenza di suoni o di vita e lo dimostra urlando in treno, per strada, ovunque, utilizzando suonerie di cellulari che strimpellano offesa al senso del pudore oltre che macerare i timpani.
La distrazione è ormai uno stile di vita, l’intrattenimento è perpetuo, la frenesia e il frastuono sono diventati un’abitudine così che, quando incontriamo il silenzio, lo viviamo come un’anomalia, un tempo morto, una fonte di disagio.
Non sembri un paradosso, ma il silenzio ha il compito di parlarci, deve dirci delle cose, ci svela l’intimo gigantesco timore di doverci soffermare a conoscere meglio noi stesso.
Il silenzio, come la solitudine ( qui) e (qui) , può essere amico; oppure nemico e in questo caso diventa espressione di dolore.
Tuttavia non deve essere necessariamente assoluto e neanche costringerci alla clausura in casa, come scriveva qualche secolo fa Pascal (“La disgrazia degli uomini proviene dal non sapersene stare tranquilli in una camera”): i rumori dei nostri passi solitari in un sentiero, la musica di un ruscello, lo sciabordio delle onde del mare, lo stormire delle fronde degli alberi mosse dal vento ci tengono compagnia e sono rassicuranti. I problemi sorgono quando non riusciamo a gestire il “silenzio interno”, non siamo in grado di disinserire quel pilota automatico che scandisce spasmodicamente le ore delle nostre giornate, lavorative e non, riducendo la capacità di ascolto e di concentrazione sotto la spinta dell’insaziabile dopamina.
Da anni ho rinunciato ad andare ai concerti di musica leggera perché non sopporto più i telefonini dei vicini di posto con la loro luce smagliante rivolta contro i miei occhi: sviano la mia attenzione che dovrebbe essere univoca e rivolta verso le luci del palco, verso i veri protagonisti. Oramai non tollero la gente che li accende ritmicamente perché aspetta messaggi, altrimenti si sente inutile a questo mondo (paura del vuoto della loro vita?) e neanche coloro che parlano e commentano come se fossero a casa propria davanti alla tv: non stanno ascoltando la tenerezza, l’atmosfera, l’intensità di un suono armonico, di una voce, non coltivano le emozioni ma solamente la foga prepotente della dipendenza che li porta a fotografare, registrare con quell’aggeggio che hanno in mano un momento del quale avvertono una qualche forma di fascino da mostrare agli assenti. È certamente una magia diversa dalla mia personale quando ascolto incantato ripromettendomi di usare pezzi del cervello, l’amigdala, la stazione di Bologna che filtra e conserva la memoria delle emozioni, per ripropormi il ricordo delle meraviglie di quegli attimi.
Gli infiltrati rumorosi e luminosi si cominciano a vedere purtroppo anche nelle sale del cinema, persino in quelle per raffinati cultori, qualcuno nei teatri. Sono una deriva di questa società.
“Il silenzio non consiste semplicemente nell’assenza di rumore e di parola, ma è una realtà plurale. C’è un silenzio necessario in certi luoghi e, come tale, imposto, c’è un silenzio inscritto con segni all’interno della scrittura stessa, c’è silenzio fra le note musicali… Accanto a questi silenzi funzionali, ve ne sono altri negativi o addirittura mortiferi: silenzi “che pesano”, che rendono inquieti e spaventano, silenzi opprimenti, abissi di silenzio! Di più, esistono silenzi complici e pieni di viltà, silenzi che dovrebbero essere spezzati dalla forza di un profeta, silenzi di ostilità, che paralizzano la comunicazione, silenzi amari di solitudine sofferta…
Vi sono però silenzi positivi, irrinunciabili. In primo luogo il silenzio rispettoso della parola dell’altro, ma anche il silenzio scelto nella consapevolezza che “c’è un tempo per tacere e un tempo per parlare”. Un silenzio particolare è quello dell’amicizia e dell’amore…Vi è infine il silenzio interiore, nel cuore di ciascuno di noi, per accogliere la presenza degli altri e dell’Altro, Dio. Nel silenzio diventiamo più ricettivi, lunghe ore di silenzio ci aiutano a guardare dentro di noi, ad ascoltare ciò che ci abita in profondità”.
Sono parole di Enzo Bianchi, priore della Comunità Monastica di Bose di quasi dieci anni fa e che ho modificato da la Repubblica.
Ed ecco, a fare compagnia a Enzo Bianchi, una citazione di un gigante, George Orwell, e si trova all’ingresso degli studi della BBC a Londra: Se libertà significa ancora qualcosa, questa è il diritto di dire alle persone ciò che non vogliono sentire.
Mi è servita, diciamolo allora! per avere il coraggio di reagire elegantemente in caso di necessità.
Io mi sono ribellato con un breve manifesto che poi ho provveduto a espandere, ed è diventato questo scritto. È nato dal mio intimo bisogno di reagire, appunto, con la complicità dei teneri e pacifici proprietari-gestori della pensione sulle colline di un’isola del sud Italia, la “mia seconda casa” da almeno trent’anni che ho raggiunto a maggio in vacanza solitaria usando le distanze precauzionali esistenti nei treni a lunga percorrenza – non presenti negli aerei - e standomene mascherato e ben distante dagli agglomerati umani in aliscafo.
Questo posto è un luogo di pace, di naturale silenzio. Vi si arriva, dopo treno, taxi, aliscafo e nuovamente taxi (il mio solito e sgangherato) percorrendo strade alquanto strette e trafficate per trovarne lì altre ancora più minuscole e per questo finalmente inutilizzabili dalle automobili. Sono percorsi silenziosi dove non si respirano gli escrementi gassosi invisibili dei mezzi motorizzati ma sono in funzione piccole vetture elettriche che hanno sostituito pochi decenni fa i muli e gli asini che portavano su per le colline le valigie, quelle che ancora non avevano le attuali comode e funzionali ruotine che invogliano ad avventurarsi nella salita dell’ex mulattiera a piedi.
Cosa è successo a maggio?
In una calda e ventilata mattina di sole sono arrivate in quattro, tutte donne di mezza età, alloggiate nelle stanze accanto alla mia, in comune l’ampia e colorita terrazza rivolta agli ulivi, ai melograni, ai fichi e ai fichi d’India lì accanto e quelli arrampicati nelle quiete colline attorno, con vista su un grosso spicchio di mare dalle alte falesie.
Da subito hanno cominciato a chiamarsi in modo colorito fra di loro, a chiedersi a vicenda in quale valigia fossero i bikini o gli accappatoi, a ricevere telefonate dalle suonerie sguaiate provenienti dai propri cari in terraferma, a cui bisognava raccontare con foga come fosse magnifico il posto (prima del loro arrivo!). Hanno continuato a rumoreggiare nelle piscinette termali accanto alla terrazza e poi nei lettini vicini alle nostre stanze. Malgrado il sole delle 13 e poi quello delle 14 e delle 15, sono rimaste là, inerti davanti al pericolo di scottature e di favoritismi cancerogeni ai nei, imperterrite a chiacchierare a tonalità medio-alta e con qualche risata di eccessiva sonorità, in netto contrasto col silenzio assolato che riposava attorno, il silenzio delle persone e della natura stessa.
Sono corso ai ripari dopo essermi consultato velocemente con gli amici proprietari, persone responsabili, corrette e dolcissime, piuttosto refrattarie e imbarazzate nel comminare rimproveri e divieti, e così ho velocemente preparato un file sul tema dei benefici del silenzio che ho tratto in buona parte dal mio "Malati per forza" adattandolo allo scopo. Franco, uno dei proprietari - l’uomo più sorridente del mondo! - lo ha stampato e affisso in bella vista nella vecchia vetrata che ci accoglie all’arrivo e poi in giro per la pensione.
Fino a quel momento i numerosi cartelli sparsi ovunque che invitavano al “rispetto del silenzio” (due parole d’oro oramai desuete, in via di sparizione) erano stati inutili o invisibili agli occhi spiritati rivolti al loro altrove delle quattro ospiti. Il mio scritto invece deve avere fatto centro, in serata era tornata l’antica amata atmosfera: loro quattro sussurravano, i cellulari si limitavano forse a vibrare ed hanno continuato a comportarsi così anche nei giorni seguenti!
Chissà, forse le avevano colpite alcune parole dello scritto, magari quelle che seguono…
… Il buzzurro queste sensazioni non le percepisce, non le comprende. E pensare che dal silenzio potrebbe trarre benefici a livello psichico e nel corpo intero, affidandosi ad un elemento valido per una corretta prevenzione e curando l’allontanamento nel tempo e nell’intensità dell’immancabile fragilità che sopravviene con l’età. Altri benefici derivano dall’ascolto della musica, dalla musicoterapia, della meditazione e, infine, dall’ozio costruttivo, da non confondere assolutamente con la distruttiva noia! È preferibile ascoltare. Ascolto, una delle parole in via di sparizione, come Responsabilità, Rispetto, Sacrificio, Dignità, Umiltà, Pudore, Riflessione, Pazienza e, infine, Doveri (ora esistono solo Diritti, no?).
In questo luogo si rispetta l’altro.
E si legge molto. “Leggere è ascoltare: leggere è un modo per dimenticare tutte le urla che ci troviamo contro nel nostro quotidiano. Ascoltare significa (senza tante chiacchiere) identificare un modo per comprendere il presente che altrimenti ci stravolge e ci fa parte di sé, fino al punto di non sentire più il rumore assordante della banalità, il vuoto che domina le giornate rendendo sordi i nostri desideri. Ascoltare, leggere, eleggere la propria volontà di senso”. È il logo della Luca Sossella Editore.
L’inquinamento sonoro può essere annoverato fra i moderni problemi ecologici e disintossicarsi dall’eccesso di rumori fa bene. L’assenza di rumori provoca una sensazione di relax a cui fanno da testimoni alcune modifiche positive fisiche come il rallentamento del battito cardiaco, la riduzione della pressione arteriosa, la maggiore profondità del respiro, una stabilizzazione del ritmo delle onde cerebrali e un aumento della capacità di concentrazione. Quando tutto intorno a noi tace, il cervello inizia a percepire il rumore del silenzio.
Riducendo le soglie e ascoltando le pause e gli intervalli, possiamo osservare una sorta di “dieta ipofonica”, come la chiama Franco Cassano. Il silenzio fa bene se si vuole riflettere o meditare. È creativo: sperimentatelo nelle passeggiate solitarie o davanti ad un tramonto!
Chiudere la bocca, aprire le orecchie, ecco il passo indietro – la continenza – che ci aiuterebbe tutti quanti a vivere meglio!
Nell’isola per una volta ha funzionato.