La variabile impazzita si trova lassù in alto a sinistra: personalità e coscienza di malattia…
Buongiorno Dottore, mi chiamo XX e le scrivo su mio padre di 92 anni…Mio padre "mi sconcerta dirlo", é diventato di difficile gestione: noi (io mia madre e mio fratello) ci siamo trovati impreparati a tentare di gestire una situazione nuova e grande. Non so se sia solo vecchiaia, demenza, cattiveria o cos’altro ma non sappiamo come comportarci. Ci troviamo di fronte ad una persona con una notevole forza fisica dal carattere forte forgiato da una madre possessiva, dagli eventi della guerra dal fatto di essere orfano di padre dall’età di otto anni e da tanto altro. Non so come comportarmi vorrei capire se esiste (una scuola) dei corsi o cos’altro per educarmi/educarci alla gestione di una persona che ha sbalzi di umore, uscite di pura cattiveria, che “vive di notte”, che fa i bisogni in salotto dicendo che non riesce a raggiungere il bagno, che getta l’orina dalla finestra e fa la cacca sul tappeto (e non soffre di incontinenza). Mia madre ha 88 anni, mio fratello 64, loro tre vivono assieme in una bifamiliare, io vivo da solo sotto…. non dormo a causa delle performance notturne del papà……. la mamma è sfinita …mio fratello soggiogato…. Io sono insomma, mi sento impotente e non so cosa fare, tentiamo di far aiutare la mamma da una signora (per le pulizie ecc.) ma lui non vuole e si ribella…
Nella mia mail ho chiesto, tra le altre cose, se il medico di famiglia si stava interessando al caso.Risposta del sig. XX: il medico di famiglia c’è ma la “furbizia“ di mio padre è tanta 🤣. Poi ... c’è il problema che lui guida ancora, quindi...
Ho visitato il papà, presente tutta la famiglia, attraverso uno stratagemma di mia invenzione che ho riportato nel mio libro Malati per forza, ovvero una falsa lettera dell’INPS: non descrivo qui lo stato cognitivo, ben mascherato attraverso una certa “facciata” ovvero un misto di furbizia e di astuzia. C’era comunque un quadro di demenza tipo Alzheimer di livello “moderato” (termine che uso con cocente malavoglia per i motivi che ho spiegato qui il mese scorso a proposito di “classificazioni” dello stadio demenziale attraverso la scheda CDR).
Soprattutto volteggiava nell’aria quella condizione che noi neurologi (e le neuropsicologhe) chiamiamo un atteggiamento frontaleggiante, un mix di disinibizione, sottovalutazione, menar il can per l’aria, commenti fuori luogo. E poi, infine… la variabile impazzita: l’assenza assoluta e persistente della coscienza di malattia.
La vicenda clinica e umana si è conclusa male poche settimane dopo, con un ricovero in ospedale per broncopolmonite, DELIRIUM (perdonate l’uso delle maiuscole ma, per una patologia ampiamente sottovalutata, serve!) e la morte dell’anziano.
Gentile Dottor Schiavo, le scrivo per confermarle quello che le dissi nel nostro colloquio di ieri.
Le condizioni fisiche e soprattutto psichiche di mia madre sono vertiginosamente precipitate nel corso dell'ultimo anno. Nonostante tutti gli sforzi compiuti per garantirle una qualità di vita il più possibile serena e dignitosa, gestirne la vita quotidiana è diventato difficile quando non impossibile per le persone che se ne occupano e in particolare per me, con cui ha sempre avuto un rapporto conflittuale e che oramai identifica come la persona che l'ha privata di tutto, della patente, della libertà: sono ai suoi occhi a tutti gli effetti la sua principale carceriera.
Non mi dilungo in dettagli che a lei saranno ben noti: la lotta costante e spesso vana per farle accettare l'aiuto di cui ha bisogno per ogni gesto e attività della giornata, la rabbia che esplode regolarmente e a tratti violenta, l'impossibilità di una minima forma di dialogo e proposta di qualsiasi rimedio alla sua disperazione.
Caro dottore, io non ce la faccio più a subire questa disperazione senza poter fare veramente nulla che risolva, che sia d'aiuto. Da mesi e mesi la mia vita, da sempre condizionata dai suoi umori e manie di persecuzione, depressioni, è diventata impossibile: sono costantemente al telefono ora per placare i suoi furori, ora per organizzare la rete di assistenza, con la giovane ragazza rumena che lei un giorno ama e gli altri tre odia, per non parlare di parenti e amici affettuosissimi che nonostante tutto l'ha tenuta in vita fino ad oggi. E quando, più volte nell'anno e per lunghi periodi, mi trasferisco in Friuli, la vicinanza non soccorre: è la mia stessa presenza che le scatena chissà quali fantasmi, e sono scenate ed è meglio che scappi via.
Non da ora temo che la sua ribellione ad ogni controllo possa portare a gesti o conseguenze drammatiche per sé e per gli altri: rifiuta l'igiene domestica, non mangia o mangia cibi scaduti, esce da sola con qualsiasi tempo e temperatura, sparisce per delle ore senza dare notizie, scambia la notte con il giorno, ha allucinazioni, dimentica le chiavi, cade al mercato e soprattutto impedisce alla sua “badante” di sorvegliarle la somministrazione dei farmaci, che regolarmente scambia o dimentica.
E le crisi raddoppiano e si susseguono spesso senza soluzione di continuità.
Per non parlare della questione economica: fino ad ora- ho la firma sul suo conto- ho gestito le spese come ho potuto facendo salti mortali per nascondere ogni uscita necessaria (e rigorosamente documentata) che lei riterrebbe superflua (il denaro è una delle sue principali ossessioni) ma sinceramente preferirei- non fosse altro per evitare anche l'ombra del rischio un domani di una contestazione! - smettere di occuparmene.
Mi ha confermato stamattina la signora dei Servizi Sociali quello di cui lei mi parlò l'altra volta: che ci sarebbe la possibilità di una terza persona, un amministratore di sostegno, che potrebbe in questo senso venirmi in soccorso, trovare delle soluzioni, sgravarmi di qualche peso e responsabilità. Sarebbe utile? E' il caso secondo lei che mi attivi in questo senso? Vede altre soluzioni affinché io possa uscire da questo incubo?
Io ho sessant'anni, una malattia alquanto seria che secondo la scienza potrebbe' risentire anche fatalmente di un eccesso di stress. Ho un marito che non so quanto a lungo sopporterà questa tensione, ho una casa e amici e una vita e soprattutto avrei una serenità faticosamente conquistata negli ultimi anni nonostante mia madre.
Mi dia un consiglio dottore, la prego. E mi perdoni questo sfogo di ferragosto.
Resto in attesa di una sua gentile risposta e molto cordialmente la ringrazio e la saluto.
GG
La mamma della signora GG era stata visitata pochi mesi prima di questa mail, col solito stratagemma: per molti aspetti cognitivi anche lei era nella fase “moderata” di una malattia di Alzheimer e, in assoluto, pure lei era priva di coscienza di malattia.
Ha vissuto pericolosamente ancora per un anno, tra uno scippo, un tentativo di frode, tre cadute, infine un ricovero in ospedale per sincope dopo avere assunto farmaci ipotensivi più del dovuto, solito DELIRIUM, contenimento fisico e con sedazione farmacologica, sindrome da immobilizzazione, morte.
Quando lavoravo in ospedale non mi è mai accaduto, ma “fuori” ho sperimentato altre realtà cliniche e umane. Appartengono a queste “novità”, che hanno comunque accresciuto le mie personali conoscenze, i casi di persone con demenza assolutamente prive di coscienza di malattia.
Lo schema oramai è classico, ne ho incontrate diverse: telefona un congiunto, spesso una figlia, desidera un appuntamento senza il/la paziente. Perché? A volte la richiesta è giustificata dal desiderio di poter parlare liberamente senza ferire il familiare, ma in altri casi è secondaria al fatto che quest’ultimo\a manifesta sintomi di tipo demenziale ma non ha assoluta coscienza della portata dei propri deficit. I caregiver non sono in grado di convincerlo\a a sottoporsi agli accertamenti e sono legittimamente preoccupati. Questa anomalia può esporre paziente e familiari al rischio di conseguenze serie, come ad esempio danni derivanti dalla maldestra guida di una autovettura, dall’uso del gas in cucina, da errori – appunto - nell’assunzione di farmaci per malattie varie (si pensi al diabete mellito insulinodipendente, all’ipertensione).
L’assenza assoluta di coscienza di malattia, peraltro, impedisce che il soggetto malato possa ricevere tutele legali o amministrative (amministratore di sostegno, assegno di accompagnamento, ecc.) in quanto è improbabile che abbia voglia di presentarsi fisicamente in tribunale da un giudice oppure davanti ad una commissione per l’invalidità. Le truffe a loro carico sono un ulteriore aspetto da non sottovalutare.
Il rischio è maggiore, ho notato, se il soggetto con demenza “aveva” (quando stava bene…) una personalità forte e indipendente, se era decisionista e abituato al comando: in questi casi risulterà sicuramente problematico far accettare, sono alcuni esempi vissuti, l’aiuto stabile di una badante in casa, il supporto di qualcuno se va a passeggiare, la sospensione della guida, la stessa visita dal medico, un esame, una terapia e comunque un adeguato e opportuno controllo della situazione clinica che la carenza di coscienza di malattia ha reso ancora più complessa!
A un comportamento del genere altamente spossante conseguono un aumento dello stress e possibili danni economici e materiali per i familiari.
In questi due casi descritti anche attraverso la realtà dolente delle mail di familiari distrutti nel fisico e nel morale, la variabile impazzita riesce a condizionare pesantemente lo scenario.
Senza tirare in ballo anatomia e schemi disfunzionali del nostro cervello, e parole complicate da ricordare (anosognosia), l’assenza di coscienza di malattia nel corso di una demenza rappresenta realmente un aspetto non trascurabile, una componente in fondo non affrontabile con psicofarmaci e, nello stesso tempo, una barriera che impedisce o comunque limita l’attuazione delle preziose strategie non farmacologiche.
D’altra parte, nella complessità della componente cognitiva della nostra mente, esistono, accanto alla memoria e a tanto altro bendidio, anche le capacità di critica e di giudizio (questo è bene e questo è male, ma vi è contenuta anche una percezione – o meno - delle proprie difficoltà), dal cui malfunzionamento emergono spesso anomalie comportamentali, come la facile aggressività ed altro ancora.
Il povero Robin Williams (qui) aveva una piena coscienza di malattia ed una depressione in parte “organica” (da interessamento di aree specifiche cerebrali) e in parte reattiva al “come mi son ridotto”, tanto forte da arrivare alla decisione estrema di autosoppressione.
Le due persone di cui ho raccontato, invece, hanno puntato energicamente e con caparbia i piedi al suolo per tutta la durata della loro malattia, non hanno mai avuto un momento di cedimento delle personali errate convinzioni, di ammissione di aver bisogno di aiuto.
Per fortuna, tra i poli estremi, la piena coscienza e la carente coscienza di malattia, esiste la moltitudine delle persone con coscienza di malattia fluttuante, una condizione alquanto variegata – lo si può immaginare – in grado di permettere in qualche modo di affrontare queste malattie in maniera meno faticosa e dolorosa.