Ho dovuto acquistare un computer nuovo su indicazione del mio tecnico, perché il vecchio, il solito, solido e poco costoso HP manifestava pericolosi cedimenti funzionali che si erano riversati proprio questo mese persino sulla mia salute. Partendo da questo banale fatto vi racconterò la mia storia e quella di M, un altro neo-vecchietto.
Non amo esporre i risvolti privati, in particolare della mia salute, in giro o sui social, ci mancherebbe, ma quello che mi è accaduto ai primi giorni di questo febbraio è successo comunque in pubblico, seppure nella ristretta cerchia di una classe di maturi allievi OSS appena conosciuti, seppure via web, e del personale della scuola dove insegno (neuro)geriatria.
Stavo spiegando, appunto, il ruolo del neurologo e del geriatra nella nostra sanità e società di vecchi, due specialisti perfetti sconosciuti, sottovalutati e sottoposti alle angherie dei pregiudizi. Portavo alcuni esempi pratici che potete trovare in giro tra i miei articoli in questo sito. Il mio computer, anziano anche lui, ha cominciato più volte a spegnersi con un sibilo da estremo saluto, ribellandosi al carico delle diapositive e di 21 quadretti di allievi malgrado fossero senza volto e senza voce per alleviare il peso sulle vetuste strutture. In quasi due ore di lezione ha cessato di vivere, e sempre col suo mortale sibilo terminale, quattro volte, condannandomi a telefonate trafelate alla scuola e alla faticosa ripresa delle procedure per ripartire.
Si era creata una tensione. Io ero molto teso.
Al penultimo capriccioso spegnimento ho cominciato a vedere degli zig zag di luce sul mio campo visivo destro di ambedue gli occhi. Ci siamo, mi son detto, erano anni che non mi venivano le aure visive, la mia corteccia occipitale sinistra stava soffrendo schizzando linee luminose contorte dal lato opposto. È complicato spiegare qui su due piedi la complessa anatomia funzionale che dai due occhi, attraverso i nervi ottici, si intreccia in modo apparentemente strampalato: metà fibre di ogni nervo ottico va a destra e l’altra metà a sinistra incrociandosi nel chiasma per arrivare infine là dietro nel cervello dove lo stimolo viene tradotto in immagini. Più semplice definire quella sofferenza occipitale come ischemica.
Ischemica, ischemia, parole che incutono terrore. Ma vi aggiungo subito (e mi auguro di non aver sbagliato diagnosi…) l’aggettivo “benigna”, eliminando così la suspense che si potrebbe creare continuando a raccontare il resto della storia.
Ho resistito, riprendendo a commentare le mie diapositive malgrado l’abbaglio di luce occupasse stabilmente lo spazio alla mia destra, ma quando sono arrivato giusto a quella dispositiva con la panoramica dei nervi cranici apprestandomi a commentarla in modo leggero (guai a creare in questi giovani volenterosi futuri OSS il sospetto che quei 12 nervi per lato potessero rappresentare un tragico argomento di esame!), mi sono mancate le parole: i nomi e i compiti dei nervi a me oramai familiari, questi miei compagni di strada e di lavoro; ma anche i verbi, gli aggettivi, le preposizioni, l’armonia della costruzione della frase e persino la sua musicalità (si chiama prosodia, che bel nome). Con un po’ di fatica e di angoscia e storpiando qualche termine sono riuscito a far comprendere agli allievi che dovevo sospendere la lezione, mancavano per fortuna solo dieci minuti alla fine. Devono averlo capito anche loro e certamente si sono preoccupati in quanto poco prima avevo accennato all’importanza dei trascurati attacchi ischemici transitori cerebrali (AIT in italiano e TIA in inglese) rispetto a quelli che avvengono nel rispettatissimo cuore!
Ho chiuso il computer. Ero solo a casa, sudato freddo, allarmato. In questo stato mi ha trovato poco dopo la mia compagna rientrata dal lavoro a scuola. Ho tentato di tranquillizzarla, il senso del mio malandato discorso era questo, malgrado le deformazioni: “Sono un neurologo no? Ne ho viste di tutti i colori di afasie. In adulti sani, in vecchietti come me, in adolescenti al loro primo attacco di emicrania con aura! Ora mi metto a respirare bene, visto che quando faccio lezione e anche nel corso della vita, me lo hai fatto notare anche tu, mi dimentico di respirare e rinvio la sana boccata di aria nuova a quando, esalando quel filo residuo di voce, completo finalmente la frase. Ora respiro, riposo e rifletto.”
“No, andiamo in Pronto Soccorso!”
“A fare cosa? Siamo in un piccolo paese, dopo quasi 50 anni non abito più a Udine col suo bell’ospedalone dove ho lavorato tanti anni in neurologia”.
Cominciavo a parlare meglio, dopo almeno venti minuti in tutto ero tornato in apparenza normale. A quel punto è cominciato un po’ di mal di testa.
L’immenso studio Framingham (1), il grande CM Fisher (2), e poi RS Kunkel (3) e altri ancora, mi venivano in mente mentre sul divano, ad occhi chiusi, ero occupato a respirare con ricercata lentezza e una certa consistenza. Devo recuperare gli articoli e mostrarglieli. Una delle regole di un attacco di emicrania con aura o di qualcosa di più serio però esige di star tranquilli, di non compiere sforzi. Allora me li sono ripassati mentalmente, li ricordavo bene: trattano il tema delle aure emicraniche tardive di gente che, come me, da giovane non aveva mai avuto tali fenomeni, aure spesso prive del secondo tempo: la cefalea intensa e contornata da vomito, insofferenza per suoni, odori, luce, sforzi fisici, tipica dell’emicrania senza aura, quella più comune.
Aure tardive prive di conseguenze serie, insomma.
Quando ero un neurologo “normale” ospedaliero, cioè prima di diventare neurologo di strada dei vecchi e di vedere in ambulatorio quasi esclusivamente casi molto ingarbugliati di anziani con problemi di “mente e movimento” (la mia domanda intima preliminare è quasi sempre la stessa: la persona malmessa che sto valutando è così per evoluzione “normale” della sua patologia o perché qualche farmaco o un’altra malattia o condizione non svelata o apprezzata a dovere sta cambiando le carte in tavola?) il mondo dei mal di testa mi affascinava.
Non era l’unico, ovvio per un innamorato di cervello e dintorni! Mi ero occupato con curiosità anche dell’Amnesia Globale Transitoria (AGT), un allarme ischemico, benigno anche questo, con qualche collegamento con l’emicrania.
Mi ritorni in mente: ancora iI grande CM Fisher, insieme all’altrettanto illustre Adams (4)!
È un avvenimento certamente allarmante e dev’essere terribile per un familiare sentirsi ripetere le stesse domande da parte di un genitore in preda all’attacco, inquieto, smarrito pure lui: “Ma chi ha messo quei gerani qui?”. “Mamma, sei stata tu una settimana fa, all’arrivo del freddo!”. “Ah si”. “Ma chi ha messo quei gerani qui?”. Oppure “Sei arrivata oggi da Milano?”. “No, mamma, sono qui da una settimana!”. “Vero”. “Sei arrivata oggi da Milano?”
Ne ho descritto uno qui su PLV : Attimi di felicità dimenticati
Mi sono consolato riflettendo sull’enigma dell’AGT, di quanto l’ho studiata, del suo essere, appunto, un’ischemia benigna (vuol dire non rappresentare un fattore di rischio di imminenti ictus cerebrali o di demenza) anche se di durata nettamente superiore a quella dell’aura emicranica. Mi sono ripassato le varie misteriose teorie, quando inizialmente era di moda lo spasmo arterioso che non permetteva al sangue di nutrire in maniera adeguata quel pezzo di cervello. Ne sono subentrate altre, come “l’ipercapnia da iperventilazione” o quelle che hanno a che fare con lo “scarico venoso” (tutti quanti, noi neurologi compresi, abbiamo il brutto vizio di pensare solamente ai danni causati dalle arterie) o con fenomeni elettrici complicati, una “onda anomala di depolarizzazione” che Leao, scienziato brasiliano, aveva studiato nel lontano 1943 e che aveva chiamato spreading depression, teoria che sembra da anni accreditata come intimo meccanismo di questo scombussolamento della memoria.
Cullandomi nel modesto mal di testa residuo ho ripensato alla mia tesi di specializzazione basata sull’esperienza dei primi 24 casi che avevo seguito di persona (poi nel corso dell’attività lavorativa devo essere arrivato ad almeno 300 o più), alle cause predisponenti (carattere ansioso, iperattivo, storia pregressa di emicrania) e a quelle scatenanti (bagno caldo, bagno freddo, posizioni anomale del corpo che impediscono un normale scarico venoso, canto energico, orgasmo, gastroscopie, coronarografie ed altro ancora).
Il giorno della discussione della tesi a Modena avevo fatto arrabbiare il mio maestro Ennio De Renzi perché non credeva che in pochi anni ne avessi visti così tanti. Pur superando l’esame, la mia frustrazione e il dolore che avevo percepito per non essere stato creduto e per averlo in qualche modo deluso per fortuna furono cancellati da una telefonata da parte del mio primario che aveva confermato la ricchezza di casi di AGT in Friuli, e poi dai successivi nostri cordiali incontri ai congressi.
Pochi anni dopo ho pubblicato 36 casi nella nostra piccola rivista dell’ospedale (5) e, infine, circa 15 anni fa ho avuto il piacere di raccontare la mia esperienza in una lezione magistrale al convegno nazionale dell’AIP (6). Ho visto anche molti casi recidivanti: niente di preoccupante, malgrado tutto (7).
Insomma, ero lì che ripercorrevo un bel po’ di queste storie che avevo vissuto e seguito per anni passati quasi sempre in prima linea. Mi ricordavo volti ed espressioni di alcuni familiari che avevo consolato affermando perentoriamente che sarebbe andata a finire bene, col solo dispiacere, superabile, di ritrovarsi con un buco di memoria relativo allo svolgimento dell’episodio e basta.
Nel contempo, mentre stavo consolavo pure me dicendomi in silenzio che quanto mi era da poco accaduto rientrava in questa benignità di evoluzione, è riapparsa la mia compagna ad invitarmi ad andare alla svelta da una mia giovane collega neurologa che avrebbe voluto vedermi e sottopormi a vari esami dopo che lei le aveva esposto il mio caso per telefono.
“No, ho già fatto risonanza magnetica al cervello, l’ECO-Doppler dei TSA, l’ecografia e altro a livello cardiaco. Non faccio nulla! In ospedale non ci metto piede, Covid o meno! A proposito: potrebbe essere anche un effetto del richiamo del vaccino per il Covid di una settimana fa”.
Mi sono rimesso in sesto con qualche giorno di riposo (una volta si chiamava convalescenza, parola svanita nel nulla), poi ho ricominciato scuola badando ad imparare a respirare, son tornato a vedere con calma pazienti, ovviamente complessi!
Ora arrivo al vero motivo di questo mio articolo, che non ha lo scopo di raccontare la mia “bravura” di clinico di strada utile agli altri ed anche ad autoassolvermi evitando inutili esami (il tempo, onesto, mi dirà se ho agito veramente bene). Il motivo è legato a M.
A metà di questo mese di febbraio sono andato a casa sua a visitarlo, era appena uscito dalla RSA dell’ospedalone dopo essere stato accolto d’urgenza a fine dicembre per una “banale” sincope (era nell’aria da anni che dovesse capitare!), uno svenimento avvenuto appena M si era alzato dal letto nella notte per andare a far pipì.
Ricordavo vagamente di averlo visitato, scorrendo le carte ho visto che era accaduto 5 anni prima. Avevo fatto diagnosi di iniziale malattia di Parkinson riscontrandogli anche una ipotensione ortostatica (della necessità di misurare la pressione arteriosa da supini e poi in piedi, negli anziani e non solo e magari solo una volta nella vita, ho scritto più volte anche in questo sito) e consigliandogli accertamenti e le prime terapie farmacologiche.
M aveva proseguito le cure con i colleghi dell’ospedale, i quali ogni volta si premuravano di raccomandare di non sollevarsi velocemente da letto o poltrona e di controllare la pressione arteriosa anche in piedi… ma nelle carte non c’era traccia di numeri. Dopo avere chiesto a moglie e sorella, ho scoperto che ero stato l’unico in tutti quegli anni che gli aveva misurato la pressione arteriosa da supino e poi in ortostatismo, confermando un sostanziale, duraturo e dannoso calo pressorio in piedi! Poi mai più nessuno, compresi, appunto, gli specialisti neurologi che gli raccomandavano di stare attento. Ed anche il medico curante.
La medicina della fretta! La medicina senza denunce…
Ma non è ancora una volta questo il perno della storia.
Eccolo, lo trovate sintetizzato nei danni evitabilissimi su questa diapositiva didattica per voi e per i miei allievi, esperienza utile affinché non ripetano l’errore di mettere a letto una persona che fino a poco prima camminava in casa e in città con una discreta indipendenza e di scordarselo lì per due mesi. Due mesi, perché in ospedale è risultato successivamente positivo al coronavirus, benché asintomatico, ed è stato trasferito in RSA.
Si chiama in vari modi, tra cui sindrome da immobilizzazione, una vera e propria malattia aggiunta al bagaglio di fragilità che possiamo concorrere a creare dal nulla o quasi anche noi professionisti della salute. Una condizione che fa perdere muscoli (sarcopenia), rattrappisce le articolazioni (anche per sempre), ulcera in profondità la pelle, fa persino dimenticare le funzioni basilari del cammino, intorpidisce quelle mentali e deprime l’umore della vittima e di chi gli vuole bene.
In questo caso con l’aggravante dell’aggiunta del catetere vescicale a permanenza (perché? Per comodità degli operatori?), che limita forse per sempre la funzionalità e tonicità della vescica rattrappita fornendo, in omaggio, una comoda via di ingresso a germi.
Infine, probabilmente due mesi senza un archetto in fondo al letto, una soluzione a buon mercato col compito di proteggere le articolazioni dei piedi e i tendini di Achille dalle deformazioni causate dal semplice peso delle coperte.
M ha la mia stessa età!
Piccola bibliografia
Christine A. C. Wijman et al. Migrainous Visual Accompaniments Are Not Rare in Late . The Framingham Study. Stroke 1998; 29: 1539-1543.
Fisher CM. Late-life migraine accompaniments as a cause of unexplained transient ischemic attacks. Can J Neurol Sci 1980; 7:9–17.
RS Kunkel. Migraine aura without headache: benign, but a diagnosis of exclusion. REVIEW. Cleveland clinic journal of medicine volume 72 number 6 june 2005
Fisher CM, Adams RD. Transient global amnesia. Acta Neu-rol Scand Suppl 1964;40(Suppl 9):1-83.
F. Schiavo. “Amnesia Globale Transitoria: considerazioni cliniche e diagnostiche su 36 casi“. Friuli Medico.1984 . Vol. XXXIX° nr. 1; 59-64
Lettura Magistrale sul tema “Amnesia Globale Transitoria: 50 anni di un enigma” al 6° Congresso ECM Nazionale dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria (AIP). Gardone (BS) 5-8 aprile 2006.
Ken A. Morris et al. Factors Associated With Risk of Recurrent Transient Global Amnesia. JAMA Neurol. Published online August 31, 2020. doi:10.1001/jamaneurol.2020.2943