Psichiatra e neurologo. Sabato 7 dicembre 2019 all’ordine dei medici di Udine hanno festeggiato me ed altri colleghi per i 50 anni dalla laurea.
Cosa è accaduto dopo la mia laurea nel luglio del 1969? Potrei rispondere spiritosamente che a 24 appena compiuti non assumevo alcun farmaco e che ora a 74 ne ho tre al giorno da prendere!
Invece voglio condividere alcune riflessioni ed esperienze maturate in questi 50 anni.
Ho scelto di fare il neurologo “dei vecchi”, e ci sono riuscito: così è scritto sul mio sito, ed è la verità. All’epoca esisteva la vecchia specializzazione di tre anni in neuropsichiatria che permetteva di lavorare in manicomio (si chiamava così) ma anche di affrontare nei reparti di neurologia nascenti paresi facciali, cefalee e tutto l’armamentario di sintomi e malattie che elencherò tra poco, divenute successivamente di stretta competenza del neurologo quando qualche mente illuminata decise di sdoppiarla in Neurologia e Psichiatria e di allungare il corso di un anno.
Tuttavia, continua a succedere pure ora che numerosi vecchi neuropsichiatri tuttora in attività e parecchi neurologi pratichino la piccola e qualcuno persino la grande psichiatria, generando, è il mio parere, una gran confusione tra i cittadini e gli stessi medici.
“Ah, sei neurologo, collega, ti devo far vedere mia sorella che soffre di attacchi di panico e di insonnia”.
Così, accade che ogni tanto ricevo richieste di valutazioni per malattie di competenza psichiatrica che tento di bloccare con le mie strategie di filtro, e questo malgrado operi con una visione ampia della Persona malata.
Perché mantengo comunque questa visione apparentemente manichea? Riconosco che l'esperienza e la competenza acquisita nel tempo debbano prevalere nella scelta tra i due specialisti a seconda dei disturbi. Una Persona con nota nevrosi d'ansia o patologie simili, peraltro attualmente con nomi diversi rispetto "ai miei tempi" (ma tanto ci capiamo lo stesso!), é di competenza dello psichiatra. E questa regola vale per schizofrenia, sindromi ossessive ecc.
Detto ciò, malgrado la gente non sappia esattamente che mestiere eserciti il neurologo scambiandolo spesso per lo psichiatra, desidero ribadire con forza che tale differenza esiste e deve esistere, semplicemente perché il neurologo é un internista che si occupa delle patologie organiche del sistema nervoso (dal cervello al muscolo, passando per il midollo spinale), allarga peraltro lo sguardo alla Persona “in generale” (visione olistica) ovvero occupandosi anche di cuore, pressione arteriosa, anemia, vasi sanguigni, funzionamento di fegato e reni, solitudine e contesti sociali, ed altro ancora.
In poche parole si prende cura di ictus cerebrale, emorragie subaracnoidee, encefaliti, meningiti e malattie da prioni, sclerosi multipla, SLA, coree, parkinsonismi e demenze, poli e mononeuropatie, miastenia, disturbi dell'equilibrio, cefalee, epilessia, tumori cerebrali e spinali, “strane” malattie come la siringomielia e le malformazioni della cerniera tra cranio e prime vertebre cervicali, le pericolose artriti autoimmuni.
Ci vedete una comune professionalità con lo psichiatra? Esistono, è ovvio, come in tutta la medicina, aree di sovrapposizione e di comune, elastico interesse.
Un espediente educativo di cui faccio ampio uso: quando, per esempio, mi chiamano a parlare in pubblico di depressione – mi hanno scambiato per uno psichiatra, è evidente - per evitare confusione di ruoli esigo che partecipi anche una mia collega psichiatra, in modo tale da trattare il tema sotto le due diverse lenti.
In questo caso mi occupo di depressione come fattore di rischio di fragilità e demenze, come conseguenza reattiva umanamente comprensibile di queste malattie e di altre ancora, tra cui l'ictus cerebrale, come co-morbilità nell'anziano in cui peraltro assume tratti differenti rispetto al "giovane". Cerco anche di diffondere un messaggio: il ruolo della depressione come primo campanello di allarme, quando rappresenta la punta di iceberg di quello che successivamente “potrebbe diventare", dopo mesi o pochi anni, una demenza di vario tipo o un parkinsonismo.
Insomma, tento di far capire che un cambiamento tardivo di umore e\o di comportamento associato (come l’abulia-apatia) possono far sospettare che qualcosa di degenerativo o di vascolare e persino di tumorale covi sotto la cenere. In tali occasioni aggiungo un elemento prezioso per i distratti: se l’apatia è “pura” e viene scambiata dalla gente e dai miei colleghi per depressione e pertanto curata con antidepressivi, in genere peggiora. L'apatia peraltro rappresenta il problema comportamentale più frequente, anche se forse il meno vistoso, delle demenze... (su PLV "Una depressione che peggiora con gli antidepressivi")
All'amica psichiatra il compito di illuminare gli astanti sulle tematiche di sua competenza. Ed ha tanto da dire e diffondere!
Aggiungo una personale nota di malignità: noi neurologi abbiamo in una tasca del camice il fonendoscopio, i colleghi psichiatri in genere no. Avrà qualche significato? Capirete qualcosa proseguendo la lettura.
Siccome mi piace rendere il cervello (e il resto del sistema nervoso) “popolare” e migliorare la conoscenza delle malattie neurogeriatriche – guarda caso, due specialità internistiche non sempre ben conosciute dai cittadini e dagli stessi medici - vi propongo quattro quiz tra quelli che adopero provocatoriamente nei miei corsi per “non medici” o in incontri per cittadini comuni come le università della terza età.
Potrete riflettere aspettando la soluzione che vi darò nel prossimo articolo di febbraio:
Parkinsonologo e dementologo
Il mio spirito polemico, spero che lo riconosciate come costruttivo, non si esaurisce con la diatriba neurologo e psichiatra, ma si estende anche alle super-competenze nella stessa specialità: il mago della sclerosi multipla, il genio della miastenia e delle malattie neuro-muscolari e così via fino al parkinsonologo e al dementologo (non so se esistano in italiano corretto tali denominazioni), ovvero all’esperto in demenze e a quello in malattia di Parkinson e parkinsonismi.
A 54 anni, nel 2000, sono andato via dall’ospedale “in pensione”: le virgolette stanno a sottolineare che è stato un modo di dire in quanto son tornato a lavorare altri anni gratis nel mio vecchio reparto nell’ambulatorio “disturbi cognitivi” che si chiamava UVA, Unità Valutativa Alzheimer, acronimo dettato da grandi cervelli ministeriali del tutto dimentiche dell’esistenza delle altre demenze!
Ecco, appunto, il 2000. Dopo decenni passati in reparto e poi nell’ambulatorio “Parkinson”, avevo sentito il bisogno di allargare il mio interesse alle demenze perché i due rami della neurologia hanno tanti punti in comune e in sovrapposizione. Da poco prima del 2000 si sapeva sia delle demenze fronto-temporali, risorte dalle spoglie dimenticate della demenza di Pick, demenze che potevano associarsi peraltro a parkinsonismo e persino a SLA, e si aprivano orizzonti anche per la demenza a corpi di Lewy, ampiamente collegata alla malattia di Parkinson.
In quegli anni in cui ho lavorato gratuitamente non mi sono stancato di incitare i più giovani colleghi che conducevano l’ambulatorio “Parkinson” ad occuparsi di ambedue i rami, demenze e parkinsonismi, ricevendo spesso risposte al limite del sarcastico.
Il tempo, le esperienze personali e i numerosi studi scientifici mi hanno dato ragione. Una vicenda ad alto tasso mediatico, quella di Robin Williams (su PLV Storie di corpi..di Lewy. Robin Williams, malato a sua insaputa…), pochi anni fa ha contribuito, credo, a rappresentare la complessità di malattie in cui corpo, mente e movimento sono coinvolti.
Tuttavia, sulle pagine "Salute" del Corriere della sera dell’autunno 2019 una nota e autorevole parkinsonologa ha risposto ad una lettera scritta da una persona con malattia di Parkinson che temeva per la sua salute mentale.
Le affermazioni della collega contengono purtroppo delle inesattezze, frutto forse della sua superspecializzazione o di una scarsa frequenza con la realtà più tragica delle demenze a corpi di Lewy: in breve, malgrado obiettivamente esistano anche le forme miste tra demenza di Alzheimer e quella a corpi di Lewy, i sintomi di quest’ultima in forma “pura” non assomigliano affatto a quelli della malattia di Alzheimer, il quadro motorio parkinsoniano non sempre risponde alle terapie dopaminergiche, le anomalie cognitive, comportamentali e del movimento evolvono in modo indipendente tra di loro (su PLV 2017 Un angelo alla mia tavola e Le uova di Colombo).
Inoltre esiste una netta maggiore velocità di evoluzione, ovviamente in negativo, della demenza a corpi di Lewy.
Quale ulteriore commento?
Almeno per ciò che riguarda la neurologia – ma appare estensibile al nostro infinito sapere – ai “grandi” decisori, primari (si chiamano ancora così?) e direttori di cattedra (idem?), ai tanti giovani colleghi e colleghe di non mummificarsi sin da subito, da specializzanti o novelli specialisti in un’unica branca della nostra bellissima area della medicina. Fate esperienza e occupatevi di tutto per almeno venti anni, tornate a fare il “giro abbondante” tra i letti dei degenti, discutete i casi con tanti colleghi e pure con qualche altra preziosa e utile figura professionale.
Solamente dopo concedete a voi stessi di crearvi un angolo di seppur limitata perfezione.