È naturale avere timore di una malattia che si conosce. Pochi hanno paura della Miastenia Gravis: per la sua minore rilevanza statistica rispetto ad altre patologire o semplicemente perché, come accade in numerosi quadri neurologici, non è per nulla conosciuta.
Anche in tema di demenze in tanti pensano di sapere: la gente comune, i familiari della persona malata quando non sono stati adeguatamente formati o quando non vogliono saperne di sapere (accade, e ne ho scritto già su www.perlungavita.it), e qualche volta anche chi lavora in ambito sociale e sanitario, medici compresi.
Specialisti compresi, direi, tra cui l’ignobile e temibile personaggio immaginario (fino a un certo punto) da me creato, il dottor Simplicio Malavoglia, neurologo di sfiducia nell’ambulatorio CDCD che sarà il protagonista del mio prossimo libro.
Mail del 6 luglio 2018. Gentile dr Schiavo ho appena finito di leggere il suo testo Malati per forza che trovo straordinario. Mio marito ha demenza a corpi di Lewy (LBD) in fase avanzata e veloce. Non siamo contenti del sistema sanitario. Come caregiver sono sola. Due settimane fa mio marito è finito al pronto soccorso tre volte. Una per crisi vagale e due per stato catatonico. Non si svegliava al mattino per ore. Un medico ha insinuato simulasse , un neurologo ha parlato di crisi epilettica con EEG negativo e ha imposto il Keppra. Presa una compressa la sera, al mattino seguente era di nuovo in stato catatonico al PS.
Una neurologa ha sospeso Keppra parlando di fluttuazione dello stato di coscienza tipico della malattia.
A chi credere? Non è solo noncuranza. Gli anziani deboli sono un peso. E manca un piano nazionale demenze. E mi perdoni, ma credo che molti medici non sappiano gestire le demenze. Nessun supporto sull'accompagnamento nonostante il caregiver debba assistere 24 su 24, e senza poter lavorare. A nessuno interessa lo stress del caregiver. Anzi i medici scaricano la gestione di tutto sui familiari e non danno né informazione né formazione. Squallore. Auguri. Signora S. Genova
- Aveva ragione la seconda neurologa! ho risposto.
Ecco qui sotto quasi tutti i punti chiave per capire e diagnosticare questa malattia complessa, la demenza a corpi di Lewy:
→ alterazioni cognitive attentive, «visive»…
→ fluttuazioni cognitive e della vigilanza
→ allucinazioni visive complesse
→ parkinsonismo poco responsivo alla L-DOPA e raramente con tremori
→ disturbi autonomico-vegetativi e sensoriali: sincopi, incontinenza urinaria, stipsi, cadute, alterazioni comportamentali nel sonno REM (RBD). Anosmia.
→ deliri e altri tipi di allucinazioni
→ depressione, apatia
→ ipersensibilità agli antipsicotici!!!
→ buona risposta terapeutica agli I-ChE
Ho visto altri casi, altre persone, con tali strane modificazioni della vigilanza. Una volta in ambulatorio una signora è stata “assente” per circa mezz’ora per poi “svegliarsi” più pimpante di prima. Le fluttuazioni infatti sono all’ordine del giorno in questa demenza. Di altre persone ho raccolto le storie e saputo delle vicissitudini sanitarie (le diagnosi più svariate!) passate in PS quando sono cadute in questa specie di limbo della coscienza. Non si tratta di ictus né di crisi epilettiche ma di fenomeni legati al malfunzionamento della nostra “centralina” cerebrale che ci fa dormire o stare svegli e che organizza le nostre regolari fasi del sonno. Tanto è vero che in queste malattie che sovvertono ambiti cognitivi, comportamentali, motori e, appunto, vegetativi, possono essere presenti come tipici sintomi anche le RBD (REM Behavior Disorder) ovvero delle manifestazioni motorie complesse in fase REM (in una fase del sonno, quella dei sogni, che prevede il completo rilassamento muscolare) spesso violente verso chi dorme accanto. Sono come una difesa “contro” qualcuno che popola gli incubi in quel momento del sonno, del sogno. Possono comparire durante il corso della malattia oppure come segni pre-clinici, sia di LBD che della stessa malattia di Parkinson (condividono la stessa matrice patologica!), insieme a stipsi (stitichezza), ipo o anosmia (perdita dell’odorato), apatia e\o depressione anche parecchi anni prima dei sintomi iniziali, classici o meno tipici.
Ma ha ragione la signora S. quando descrive i suoi disagi e le sue aspettative per un Piano Nazionale Demenze: tuttavia non sa che il Piano esiste da pochi anni e in fondo, purtroppo, sembra essere solo un pezzo di carta che proviene dalle solite alte sfere che si comportano come certi politici quando sono abbastanza lontani dai bisogni della gente comune.
Chi ha la sventura di imbattersi in una demenza e chi ci lavora sa che ogni storia viene tuttora gestita a macchia di leopardo: accanto a sedi (e a professionisti) dove si lavora con coscienza e con ottimi risultati malgrado il comune inesorabile destino che accomuna queste patologie, ne esistono altre a pochi chilometri di distanza che dedicano scarsa attenzione al problema.
Una delle 50 mail dal sig. E. di Napoli e dintorni. 22 gennaio 2018… di nuovo ricovero clinica specialistica (?) in cui gli hanno sospeso Trittico e Talofen e dato Akineton 4 mg…
Si tratta del padre, un signore di 78 anni con una probabile LBD, a quanto pare mai diagnosticata.
Ho risposto: Errore madornale, pacchiano! L’Akineton è un potente anticolinergico, ovvero un farmaco CONTRO le abilità cognitive! Possiede un’azione esattamente opposta agli inibitori delle colinesterasi (i farmaci per la “quota” cognitiva, quando funzionano…), il Donepezil, nel caso vostro…
In un’altra mail il sig. E mi racconta di un neurologo tra i tanti (12?) che hanno visitato il padre, che ha prescritto 3 farmaci contemporaneamente, uno per la “quota” parkinsonismo e due psicofarmaci per le problematiche di insonnia.
Tutti e tre assieme - ho risposto? Se si, è una grave carenza di normale buon senso clinico! Così, se UNO dei tre provoca effetti avversi chi sarà in grado di individuare il farmaco responsabile??? E ognuno dei tre può determinarli …
Queste due ed altre storie in cui mi imbatto quasi ogni giorno sono spesso zeppe di malasanità ed ognuna sarebbe da commentare in un faticosissimo e stancante (soprattutto per voi) itinerario a scopo didattico.
Riflessioni sparse
Tornando alla domanda iniziale, al titolo Chi ha paura delle demenze?
Forse più degli anziani sono le persone ancora giovani, tante volte i figli di un genitore malato di demenza, torturati dalla mancanza di tempo per accudirli e nello stesso tempo desiderosi di poter dare attenzione al proprio coniuge e ai figli, al lavoro, agli interessi, ai rapporti sociali. Sono dei 40-60enni oramai dediti al multitasking e nell’ombra minacciosa delle numerose incertezze lavorative, sociali e politiche che incombono nelle nostra attuale società che si sta ammalando di eccessi di informazioni e nello stesso tempo di fake news.
Di loro scrive Marco Trabucchi nel Corriere della sera il 18 marzo 2018, rispondendo ad una lettera: Sono un uomo di 40 anni con un lavoro impegnativo, purtroppo da un po’ ho frequenti vuoti di memoria: dimentico i nomi delle persone, gli indirizzi, scordo dove ho messo chiavi, occhiali, appunti. Perdo sciarpe e ombrelli. Si tratta di segnali che fanno pensare a un Alzheimer precoce o a una sicura demenza da anziano?
Riporto una piccola parte della sua risposta: … Nei momenti di difficoltà l’attenzione alla memoria diventa ancor più sollecita: abbiamo paura di perdere una delle funzioni che ci permette di andare avanti, con i piedi solidamente nel passato e la testa nel futuro. Di questa preoccupazione sono testimonianza realistica le conversazioni che avvengono spesso tra le persone, ma ancor più la continua richiesta da parte chi si rivolge al medico per essere rassicurato, rispetto a eventi marginali, che di rado rappresentano il sintomo di una malattia.
In questo ambito gli uomini esprimono maggiormente le loro paure rispetto alle donne anche se nella nostra cultura sono ancora abituati a reprimere le proprie emozioni e quindi anche a non richiedere supporto, contatto sociale, amicizia.
Non sempre dimenticare significa malattia: spesso è la distrazione che ci coinvolge, fatto abbastanza normale soprattutto se siamo stanchi o pieni di impegni, oppure molto preoccupati e assorbiti da problemi. Alla base dei processi di memoria, bisogna ribadirlo, c’è l’attenzione. E noi prestiamo la giusta attenzione a un avvenimento, a un volto, a un nome, se non siamo distratti da altri stimoli più importanti, se non siamo stanchi o intorpiditi da carenza di sonno o da farmaci, se quelle cose che vogliamo memorizzare hanno un valore per noi, affettivo, economico o di altra natura, se un grosso problema familiare non ci ruba tutte le energie e l’interesse per il mondo che ci circonda. Se i binari dell’attenzione sono tutti occupati, non possono entrare altri treni in stazione.
Mi piace chiamarla “La sindrome dei binari occupati: la demenza temuta”. La madre sessantenne di un tossicodipendente, con tutto il corollario di esperienze negative e di conseguenze che questo comporta, avrà un unico pensiero appena sveglia e sarà assorbita per il resto della giornata esclusivamente dalla preoccupazione per quello che il figlio combinerà. Questa “distrazione” le potrà procurare episodi inquietanti di amnesia che riguarderanno la perdita degli occhiali o delle chiavi della macchina, il luogo dove l’ha parcheggiata, ed altro ancora. Come conseguenza questa persona comincerà a nutrire il timore di avviarsi verso la demenza.
Sarà comunque compito del medico competente valutare la sintomatologia in un senso o nell’altro, sospettare quindi una organicità piuttosto che una funzionalità (ovvero: un’alterazione organica o solamente ansiosa o depressiva, “psichica”), ed avviare le indagini specifiche.
La suddivisione fra turbe di natura organica oppure psichica nella realtà può apparire semplicistica. A conferma della complessità dell’argomento vale la pena aggiungere un altro dato, frutto di recenti ricerche: lo stress cronico è in grado di alterare i processi cognitivi attraverso l’aumento della produzione di alcune sostanze nel cervello (glutammato e cortisolo) che modificano persino l’anatomia e la funzione di aree cerebrali basilari per i processi di memoria, come l’ippocampo. Stress, depressione, rancori non fanno bene di certo alla salute, una ulteriore prova dell’intrigante rapporto che si sta delineando fra mente, corpo e cervello.
E poi: paura solamente di dimenticare?
Ma non sempre le demenze iniziano con i classici disturbi della memoria!
Il ventaglio di varietà di sintomi di esordio delle demenze è alquanto ampio, sia per quelle demenze diverse dalla più frequente malattia di Alzheimer, ma anche per quest’ultima.
La complessità di alcuni aspetti cognitivi meno noti (basta pensare alle anomalie prassiche, visuo-spaziali, organizzative frontali) rispetto alle conoscenze generiche in tema di demenze, spesso limitate ai luoghi comuni della perdita dei ricordi recenti e del disorientamento temporale o spaziale, incide enormemente sul ritardo nella diagnosi. La struttura clinica delle demenze, di qualsiasi natura, è caratterizzata, infatti, da una grande variabilità nell’esordio e nell’evoluzione per cui bisogna superare la distorta visione unitaria che vede(va) in passato la demenza di Alzheimer (AD) destinata a riassumere tutto lo scenario delle altre demenze. La stessa demenza di Alzheimer, peraltro, può esordire anche con disturbi visuo-percettivi (Atrofia Corticale Posteriore, PCA), comportamentali o esecutivi (forma frontale), del linguaggio (danno prevalente temporale sinistro), oppure apatia e\o depressione, invece delle attese, classiche anomalie mnesiche.
Molti medici non hanno paura delle demenze (degli altri) e applicano il razzismo dell’età, l’ageismo, per cui appare normale che una persona di una certa età (che è un’età incerta, amava dire Achille Campanile!), insomma uno che ritengono “anziano”, possa avere disturbi di memoria oppure perdersi per strada: in questo modo lo privano di una diagnosi utile in ogni caso per individuare quei pochi casi reversibili, per informare paziente (quando si può) e formare adeguatamente i familiari, per curare i “contorni” cioè lo stile di vita anche con la demenza in atto, le varie malattie, i farmaci inutili o dannosi. La diagnosi serve anche per le tutele amministrative, come l’assegno di accompagnamento o i benefici della legge 104 ed altri ancora tra cui la nomina di un amministratore di sostegno.
Nel territorio delle demenze accanto all’ageismo c’è una dose di populismo, termine con svariate definizioni, di maggior uso recente: del populista ha le caratteristiche qualsiasi dottor Simplicio Malavoglia, che è personaggio irreale (ma lascio all’esperienza dei singoli il diritto di accettarlo o meno nel mondo reale o no) ma potrebbe rappresentare il compendio di tanti medici che ho conosciuto nel loro operare. Soprattutto quando cerca a tutti i costi di semplificare, affrontando un campo minato dove regna sovrana la complessità, con l’uso inadeguato dei farmaci e non toccando affatto il tema sostanziale di altri significativi “contorni” di ogni persona con demenza.
Magari cominciando a chiedersi “chi era e chi è ora?” e poi se ha una famiglia, se questa è informata e formata, coesa, amorevole, collaborativa o magari impaziente, esigente e vogliosa di risultati immediati oltre il dovuto e il «potuto», avvilita e stanca, inadeguata.
Oppure se ha a che fare con una famiglia che non vuol sentire, o con quella che vuol sapere tutto, quella impaurita, quella sempre insoddisfatta, quella che confida nei poteri terapeutici della risonanza magnetica o che continua a chiedere terapie risolutive, oppure quella che si fida solo di internet e a volte arriva, in questo suo fervore, a dimenticarsi del familiare malato.
E scendendo nei meandri sotterranei della complessa mente umana a Malavoglia e ad ogni medico servirebbe giungere a capire se i familiari si sentono persino dei delatori perché detentori di un segreto, se sono arrabbiati con gli amici e con gli altri familiari che sono spariti lasciandoli nella solitudine, se hanno atteggiamenti ostili con noi medici impotenti a trattare il corso inesorabile della malattia, fino ad arrivare a scoprire che sono persino arrabbiati con la persona malata per essersi smarcata dal suo ruolo sociale e familiare e a quel punto continuare ad ascoltarli giustificando le loro sacrosante e umane paure.