Essere donne nella vecchiaia è il tema di questo ultimo numero di PLV del 2016. In fondo ne ho già scritto trattando di Ciabatte Rosse, di Strage delle innocenti, di Violenza nascosta da farmaci! Stavolta affronto un tema educativo in campo sanitario, minore quanto si voglia, mettendo a confronto la pratica di questo mestiere-arte-vocazione da Artigiani Coraggiosi della Salute e il mestiere, questo sì, di certi Grandi Professionisti sempre del campo della Salute.
Lidia Goldoni amichevolmente mi ha chiarito che non desidera la terminologia che adopererò quando espanderò questo articolo in un libretto ameno, sconsiderato e follemente senile.
Dedico l’articolo alle nonne, perché sono di più, rispetto agli uomini invecchiano e rispondono ai farmaci diversamente e infine sono più inclini al sacrificio, anche della loro prevenzione!
Qualche anno fa avevo scritto per l’Associazione Alzheimer di Udine un manualetto dal titolo Invecchiare con stile… di vita facendo precedere la mia introduzione da una breve riflessione sulle mie nonne. Eccola, con le donne, le nonne in questo caso, come protagoniste!
Breve riflessione, dal mio privato
Nello scrivere su un argomento che mi sta a cuore perché rappresenta una sfida preventiva ai tanti motivi che impediscono una buona salute nell’età in cui ci chiamano anziani, non posso fare a meno di raccontarvi, col semplice valore di aneddoto, di due anziane con destini diversi.
Si tratta delle mie nonne: una, Filomena, è deceduta a 74 anni dopo almeno due decenni di discreto sovrappeso, diabete insulino-dipendente, cardiopatia, limitazioni articolari; l’altra, Maria, a 94 anni. La nonna Filomena viveva praticamente in cucina, brava cuoca e buona forchetta, ed era sedentaria da sempre; la nonna Maria era magra e minuta, mangiava lo stretto necessario e ogni giorno, clima permettendo, quindi spesso, faceva una lunga passeggiata da Ortigia fino alla borgata di Siracusa.
Da trentenne e poi da quarantenne avevo considerato che morire a 74 oppure a 94 fosse “comunque da vecchi” e quelle età mi apparivano lontane e irraggiungibili.
Ma verso i miei 60 anni la valenza di questi 20 anni di differenza di soggiorno nella vita ha acquistato la rilevanza che le spettava. La percezione del valore inestimabile di venti anni di buona salute guadagnati dalla nonna Maria, diventata fragile a “soli” 94 anni pochi mesi prima della morte e il confronto con la nonna Filomena, fragile già a 60 anni, mi era sembrato un segnale di madre natura da non sottovalutare: esisteva la possibilità di ottenere un regalo dalla vita e di anni di vita sana che buona parte di noi è nella condizione di meritare. Con qualche sacrificio: evitare la sedentarietà, mangiare sano e poco, essere curiosi culturalmente e avere sani rapporti sociali. E buoni geni!
Due soggetti sono un campione troppo esiguo per una verità scientifica, ma questa storia personale, a parer mio, non è priva di insegnamenti.
Insomma, le due nonne con il loro diverso stile di vita avevano dimostrato prima che la scienza ce lo confermasse senza dubbi e in vario modo che mangiare poco e sano e fare attività fisica ricreativa sono garanzia di una vecchiaia più robusta e duratura.
E fin qui i conti tornano: se a grandi linee ognuno di noi applicasse responsabilmente questi principi in modo abbastanza rigoroso e possibilmente allegro (allegri gruppi di cammino, ballo), aumenterebbero le proprie possibilità di allontanare nel tempo la fragilità col suo carico di prevedibili e imprevedibili accelerazioni al peggio.
In questo caso il cittadino è libero di fare una scelta.
Ma il cittadino cosa sa? Secondo il detto Le cose che non si sanno non esistono, il comune cittadino può essere o meno informato sulla prevenzione: se lo desidera può farlo autonomamente anche solo sfogliando le pagine dedicate alla salute sui maggiori quotidiani, oppure ricevendo, e accettando, i vari suggerimenti di prevenzione alla salute. Tuttavia, sembra che siano in tanti i medici che dimenticano di consigliare come priorità ai propri pazienti le buone pratiche di stile di vita.
Continuando a scrivere di Buonamedicina, faccio ora un volo che può sembrare sconclusionato verso un aspetto apparentemente marginale che riguarda i nostri malandati vecchi, categoria enorme e in espansione cui oramai appartengo. Con pochi tratti tenterò di collegare le Piccole e le Grandi Cose, il lavoro quotidiano nel campo della Salute di alcuni Artigiani Coraggiosi e quello di Grandi Professionisti e dei loro Grandi Programmi di Prevenzione, per far capire che i due gruppi antropologici viaggiano molte volte su binari paralleli che, appunto, non si incontreranno mai.
Il volo avverrà anche attraverso il racconto di un’esperienza che proviene dal cosiddetto Mondo Reale, quello che sta in qualche modo agli antipodi rispetto ai Trials Clinici ovvero le ricerche statisticamente complesse (aride e noiose, tuttavia quasi sempre necessarie e utili anche se a volte manipolabili o manipolate) che documentano al millimetro le infinite e complicate sfaccettature della nostra salute.
Il volo nel Mondo Reale
Quando parlo a un pubblico di cittadini, molto spesso composto da persone anziane (e osservo costantemente che la maggioranza è composta da donne, fatto non sempre giustificato dalla sopravvivenza ridotta degli uomini) se l’argomento è pertinente, chiedo agli astanti:
- a quanti\e di voi è stata mai misurata la pressione arteriosa, anche una sola volta nella vita, sulle due braccia? Su 80 persone presenti, in media si sollevano 2-3 mani al massimo.
- a quanti\e di voi è stata mai misurata la pressione arteriosa, anche una sola volta nella vita, da supini, ovvero stesi sul lettino, e poi in piedi? In questo caso è possibile che non si veda alcuna mano alzata.
Eppure molte persone anziane potrebbero giovarsi di questo semplice procedimento che in modo “artigianale” valuta se esistono variazioni lievi e fisiologiche, magari temporanee perché legate a qualche condizione passeggera, oppure marcate e quindi degne di essere considerate rilevanti per la salute.
E allora ho scritto queste righe che seguono e che allego alle mie valutazioni cliniche che consegno ai miei pazienti quando ne esiste l’indicazione, ricevendo in cambio il loro stupore e la promessa di documentarsi e di discuterne col medico. A causa dei mie allegati (ne ho per diverse patologie nelle quali serve una migliore informazione a pazienti e familiari), qualche volta ricevo delle reazioni da parte di colleghi cui pervengono insieme alla mia relazione clinica:
“… ma tu perché dai questi fogli da leggere?”
- Do i compiti a casa, rispondo!
“E che ci fai in un’ora di visita, tutto questo tempo?”
- A dire il vero, un’ora spesso non mi basta, faccio tornare i familiari e magari da soli per informarli meglio parlando liberamente per non ferire la persona malata.
Ecco l’allegato in discussione.
I Fattori di rischio vascolare noti... e meno noti. La forza di un’eresia
Lo divido in due.
Prima parte.
Le considerazioni che seguono non riguardano in genere le persone più o meno giovani “ipotese da sempre” (costituzionalmente ipotese, ovvero con la “pressione arteriosa bassa”), magari sedentarie, a meno che nel loro quadro generale non intervengano condizioni nuove (anomalie cardiache, farmaci, anemia, ipotiroidismo, situazioni personali stressanti, ecc.) che possano favorire capogiri, pre-sincopi (quasi-svenimenti) e sincopi (svenimenti).
Decenni di attenzione alla prevenzione dell’ipertensione arteriosa ci ha indotto, come classe medica, a trascurare la possibilità di pensare che un danno cerebrale possa essere causato da ipotensione arteriosa attraverso un meccanismo su base ischemico-emodinamica, e di intuire che un ridotto flusso arterioso sia in grado di danneggiare in qualche modo il cervello. La pressione arteriosa, come tutti sanno, può essere normale, bassa o alta in modo stabile e in ogni posizione del corpo oppure può presentare una riduzione lieve e transitoria o seria e sostenuta al passaggio in posizione eretta, in piedi: in quest’ultimo caso si parla di ipotensione ortostatica. Il termine indica una diminuizione, rispetto ai valori riscontrati a paziente supino da almeno 5 minuti, della pressione massima (sistolica) di almeno 20 mm di mercurio o della pressione minima (diastolica) di almeno 10 mm di mercurio, che si evidenzia entro 3 minuti dall’assunzione della stazione eretta. Ovviamente, maggiore è lo scarto fra le variazioni pressorie nelle due posizioni, più evidenti potrebbero risultare i disagi del paziente, in quanto è frequente che queste differenze “in meno” diano sintomi. Infatti, una ipotensione stabile o limitata all’ortostatismo può, o meno, provocare disturbi: se li provoca possiamo affermare che è sintomatica. In particolare nei soggetti anziani bisogna sospettarne la presenza se lamentano sensazione di stanchezza, di stordimento, di capogiri o di precario equilibrio, di “testa confusa”, di apatia, fino alla “quasi perdita di coscienza” (pre-sincope) o alla perdita di coscienza di breve durata (sincope). I sintomi, ripeto, possono essere avvertiti dagli anziani (e non!) sia quando i valori pressori sono stabilmente bassi oppure esclusivamente quando assumono, da seduti o coricati, la posizione eretta o la mantengono a lungo.
Non esiste un valore critico per l’ipotensione valido per tutti, in quanto è variabile da individuo a individuo per diversi fattori.
Fra questi, ad esempio, diventano incisive le stenosi o le occlusioni dei grossi vasi arteriosi cerebrali, in quanto rappresentano un ostacolo meccanico al flusso arterioso verso il cervello, un ostacolo che può essere superato da una pressione arteriosa “brillante”. Quando si consiglia una terapia ipotensiva è necessario tener conto di questi ed altri elementi: alterata capacità elastica e muscolare delle arterie con mancata reattività delle arterie cerebrali per un migliore adeguamento alle diverse situazioni vitali; anemia, vistose varici agli arti inferiori che in ortostatismo “rubano sangue prezioso” a vari organi, ed altre condizioni ancora.
Gli effetti di un’ipotensione sono quasi sempre un elemento negativo per gli anziani qualora il fenomeno sia secondario a terapie ipotensive, a diuretici, a psicofarmaci, a disidratazione, febbre o alte temperature atmosferiche, o ancora a svariate malattie sia extra-neurologiche (anemia, cardiopatie, vistose varici agli arti inferiori, ecc.), che neurologiche: in quest’ultimo caso, un ruolo decisivo è svolto dalle alterazioni biologiche prevalentemente degenerative che compromettono il buon funzionamento dei neuroni coinvolti nelle complesse regolazioni del sistema nervoso vegetativo (mediate dal simpatico e parasimpatico), come avviene spesso in quadri clinici tipo la malattia di Parkinson e alcuni parkinsonismi (fra cui quello “vascolare”, la demenza a corpi di Lewy e l’atrofia multisistemica), alcune polineuropatie.
Tuttavia, in molti casi di ipotensione con pochi o inascoltati sintomi, alcuni danni emodinamici cerebrali sono silenti, ovvero asintomatici, almeno fino a quando, accumulati nel tempo, si manifesteranno insidiosamente con segni di deterioramento cerebrale diffuso e quindi con sintomi e segni clinici a vari livelli: cognitivo (attenzione, memoria, soluzione di problemi complessi, alterazioni visuo-spaziali, ecc.), comportamentale (spesso apatia, depressione, irritabilità, ecc.) e motorio (disfagia, disequilibrio, parkinsonismo, cadute, ecc.).
Un recente lavoro di un gruppo italiano (Poda R et al Standing worsens cognitive functions in patients with neurogenic orthostatic hypotension. Neurol Sci 2012. 33; 469-473) ha confermato ancora una volta, in un campione di pazienti, che l’ipotensione ortostatica riduce di almeno il 20 % le prestazioni cognitive, misurate in quella postura. E’ un dato a convalida altri lavori precedenti e successivi e dovrebbe farci riflettere quando valutiamo un anziano in maniera frettolosa e incompleta.
L’ipotensione stabile o limitatamente all’ortostatismo, se è sintomatica, può creare o far progredire, in definitiva, un preesistente danno cerebrale di qualsiasi natura, se non viene opportunamente ricercata e trattata, magari solamente con la riduzione o la sospensione della terapia sospettata, la cura dell’anemia, una normale alimentazione e idratazione (guardare o toccare la lingua per valutare se è asciutta !), oppure in alcune condizioni particolari attraverso l’uso di calze elastiche di contenzione o di farmaci.
Da alcuni colleghi medici, tuttavia, risulta tenuto in poco conto il ruolo dell’ipotensione in soggetti anziani che lamentano alcuni dei sintomi precedentemente descritti. Non tutti, ricostruendo con pazienza la storia clinica chiedono esplicitamente se i sintomi sono presenti a letto o da seduti oppure solo quando il paziente sta in piedi. In ogni caso, il rilevamento di ipotensione arteriosa stabile o presente solo in ortostatismo, potrebbe giustificare i sintomi o una parte di essi, e soprattutto impedire:
1. danni cerebrali sub-clinici ovvero “silenziosi”(fino ad un certo punto…)
2. oppure la prescrizione di farmaci “antivertiginosi”, con la conseguenza di provocare spesso un’accentuazione dell’ipotensione ortostatica e dei sintomi correlati, se non addirittura un parkinsonismo da Flunarizina o da altri antivertiginosi.
Come appare evidente, alle problematiche vascolari emodinamiche, eliminabili appunto con una visione clinica accurata e le dovute attenzioni da parte del medico, si possano associare diversi eventi avversi da farmaci, facili a determinarsi nell’ambito della polipatologia e della conseguente ricca prescrizione di farmaci nell’anziano fragile: sincopi, cadute (e conseguenze relative), disturbi cognitivi (quadri clinici ai confini delle demenze), delirium (episodi confusionali), parkinsonismo “vascolare” (quadro simile alla malattia di Parkinson).
Se otteniamo un miglioramento soggettivo del paziente riportando “artigianalmente” i valori pressori ad un livello un po’ più alto (magari semplicemente riducendo la dose di un ipotensivo, un diuretico, uno psicofarmaco o curando un’anemia o la nutrizione e l’idratazione) il risultato positivo, la scomparsa di tutti o di buona parte dei sintomi, ci comunicherà che abbiamo preso verosimilmente la decisione corretta.
Tutta questa pappardella per dire che la pressione arteriosa troppo bassa, stabilmente o quando si alza in piedi (“per quell’individuo”), può provocargli danni ischemici cerebrali silenziosi ed anche cognitivi? Non solo. E’ apparso pochi giorni fa, ma è l’ultimo della serie, un articolo: Orthostatic Hypotension in the ACCORD (Action to Control Cardiovascular Risk in Diabetes) Blood Pressure Trial. Novelty and Significance. Prevalence, Incidence, and Prognostic Significance. Jerome L. Fleg et al. Hypertension. 2016;68:888-895. Il commento riassuntivo (l’ipotensione ortostatica predice la mortalità nei pazienti con diabete ed ipertensione arteriosa) conferma quanto ho scritto prima e quanto descritto da altra letteratura scientifica già da anni.
Seconda parte.
E perché misurarla bilateralmente “una volta nella vita”? Continua lo scomodo, eretico allegato…
Un braccio senza pressione arteriosa…
La donna, anzi un donnone di 72 anni, era stata ricoverata in pieno ferragosto in neurologia per un verosimile ictus cerebrale: al risveglio al mattino si era accorta di non riuscire a muovere bene gli arti di sinistra. Appena arrivata in reparto mi colpì un certo pallore della mano controlaterale, la destra, quella “sana”. Misurai la pressione arteriosa alle due braccia prima di procedere all’esame neurologico in senso stretto (ma in realtà il criterio che stavo per seguire apparteneva a ragione a quello che da decenni si chiama bilancio neurovascolare, che in fondo è l’argomento da cui nasce la descrizione di questo caso clinico).
A sinistra 180\100 e a destra... zero. Chiesi alla figlia lumi su quella mano pallida e se sapeva dirmi qualcosa sulla differenza di pressione ai due lati. “Il medico la misurava solo e sempre a sinistra almeno da due anni, perché a destra non la trovava…e poi le dava la cura per l’ipertensione”. Le urgenze adesso erano diventate due: quella neurologica (emiparesi sinistra di grado medio; TC cerebrale urgente negativa… ma sarebbe diventata “positiva” per infarto cerebrale fronto-temporale destro il giorno dopo) e quella chirurgica vascolare (intervento di disostruzione per via arteriosa, ecc.; terapia anticoagulante che provocò una parziale trasformazione dell’infarto ischemico in ischemico-emorragico…).
Ecco spiegato (il disegno potrà chiarire ancora meglio) perché è utile la semplice misurazione bilaterale della PA, almeno una tantum nel paziente sano, e comunque sempre in caso di ictus o di rilievo di un polso radiale assente o più flebile del controlaterale.
Tavola. Il sangue perviene al cervello attraverso le 2 arterie carotidi e le 2 arterie vertebrali, con le modalità esposte nel disegno. Nell’esempio raffigurato, una stenosi importante all’origine della succlavia destra (A) può estendersi al tronco anonimo e all’origine della carotide comune destra (B), arrivando ad occluderla.
Materiale in parte tratto dal Caso Clinico 6. Malati per forza: gli anziani fragili, il medico e gli eventi avversi neurologici da farmaci. Maggioli Editore 2014.
Riassumendo, il trombo stenosante dell’arteria succlavia destra si era esteso fino al tronco anonimo e all’origine della carotide comune destra, occludendola. Quella notte di ferragosto la stenosi aveva raggiunto, ingrandendosi, un punto critico creando i due problemi, quello ischemico cerebrale destro (che aveva provocato l’emiparesi sinistra) e l’altro ischemico all’arto superiore destro.
Tutto ciò poteva essere evitato richiedendo, due anni prima, un “banale” esame ECO-Doppler dei tronchi sopraortici (TSA). Anche la prescrizione di ipotensivi andava evitata in quanto “l’ipertensione riscontrata solamente al braccio sinistro” era in buona parte compensatoria a causa della stenosi controlaterale.
Credo che sia chiaro, no? Ma a quanto pare pochi medici praticano questa ordinaria procedura, almeno per la mia esperienza basata sulle persone che visito e poi sulla mia provocatoria richiesta di alzata di mano ai piccoli eventi di informazione sanitaria al cittadino che amo fare.
Arrivo al dunque, al confronto tra le Piccole Cose della Salute che non si applicano e le Grandi Opere e Progetti che volano alto parlando spesso al vento e trionfano nei comuni, nelle regioni e a livello internazionale, gestiti verosimilmente da Grandi Uomini di medicina o Grandi Politici mentre poi, terra terra, quelle che continuano a mancare sono alcune nozioni e procedure di base che potrebbero proteggere, se applicate, le persone fragili.
Il confronto tra i due binari covava da decenni ma in questi giorni è maturato quasi per caso, per la contemporanea lettura dell’articolo segnalato sopra, sui danni da ipotensione ortostatica nei diabetici fragili, e quanto scrive Epicentro nel n. 642: … si è svolta la Conferenza internazionale per la promozione della salute, di cui è in corso la nona edizione (Shangai, 21-24 novembre), da sempre un’occasione di dialogo e confronto sulla promozione della salute. L’appuntamento di quest’anno è dedicato a healthy cities, ovvero città come piattaforme vitale per promuovere benessere e salute, tutelare l’equità e raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile e ad altro ancora. La conferenza, continua l’articolo, è anche l’occasione per ricordare i 30 anni della Carta di Ottawa, approvata nel corso della prima Conferenza internazionale per la promozione della salute (17-21 novembre 1986) e ancora oggi documento fondamentale per le politiche e gli interventi di promozione della salute… E dalla Carta di Ottawa il resoconto va al Piano nazionale della prevenzione 2014-2018 che annuncia sempre le stesse cose o giù di lì, senza che mai nessuno dica banalmente: ma ogni tanto, ai nostri o vostri pazienti anziani (e anche non anziani!), ipertesi o meno, in terapia ipotensiva o meno, misurate la pressione arteriosa ai due lati e se vi sembra il caso magari anche in posizione supina e poi in piedi? Gli parlate con passione di prevenzione come una necessaria procedura a cui dovrebbero attenersi? Chi va a questi ameni raduni le Piccole Cose le conosce o vola troppo in alto per osservarle? Quanto costano costoro, i Grandi Uomini, alle casse dello stato, di ogni stato tra cui il nostro, quanto costano i vani festival della Grande Scienza, raduni che sembrano nati per il compiacimento di qualche verboso e inutile tecnico della salute e della politica?
Le élite imparino l'umiltà o il populismo sarà trionfante. E’ il grido di Stephen Hawking comparso su la Repubblica il 7 dicembre 2016:" … ho la netta impressione che la mia torre d’avorio diventi sempre più alta. Pertanto, faccio parte senza dubbio di quelle élite che recentemente, in America e in Gran Bretagna, sono oggetto di un inequivocabile rigetto. L’elettorato britannico ha deciso di uscire dall’Unione Europea, i cittadini americani hanno scelto Donald Trump come prossimo presidente. Tutti sembrano d’accordo nel dire che è stato il momento in cui i dimenticati hanno parlato, trovando la voce per rigettare il consiglio e la guida degli esperti e delle élite di ogni latitudine".
Io non faccio eccezione a questa regola. Prima del voto sulla Brexit ho lanciato l’allarme sugli effetti negativi che avrebbe avuto per la ricerca scientifica in Gran Bretagna, ho detto che uscire dall’Unione Europea sarebbe stato un passo indietro: e l’elettorato - o almeno una parte sufficientemente ampia di esso - non si è curato del mio parere così come non si è curato del parere di tutti gli altri leader politici, sindacalisti, artisti, scienziati, imprenditori e personaggi famosi che hanno dato lo stesso consiglio inascoltato al resto del Paese.
Per me, l’aspetto veramente preoccupante di tutto questo è che mai come adesso, nella storia, è stato maggiore il bisogno che la nostra specie lavori insieme…
Chissà?
Sempre su La Repubblica ma nel 2003, Umberto Galimberti aveva scritto:
La differenza fra un mestiere e una vocazione è che il mestiere “si fa”, mentre per la vocazione “si è portati” a occuparsi dell’altro al di là di quello che la nostra mansione ci chiede di “fare”. Senza vocazione si perdono gli alunni a scuola, non si recuperano i carcerati, non si educano i bambini, non ci si prende cura dei vecchi, non si assistono i malati…
Sono felice di essere rimasto un vecchio artigiano per vocazione!