Per un certo tempo si è pensato che il riconoscimento, il diritto e il sostegno alla domiciliarità riguardasse solo gli anziani, associando erroneamente l’anzianità alla fragilità e alla non autosufficienza, mentre sappiano che si è fragili non solo quando si è anziani; inoltre, rispetto a quella visione il sostegno alla domiciliarità veniva interpretato e circoscritto con il mettere in campo servizi e interventi atti a sostenere la persona all’interno della propria casa, da questa lettura e interpretazione nasce quella confusione, tuttora presente, tra concetto culturale e strumento, tra domiciliarità e assistenza domiciliare.
Dobbiamo anche dire che per un certo tempo, in alcune elaborazioni e documentazione anche dalla nostra associazione prodotta veniva riportato che la domiciliarità, che ogni persona ha, si sviluppa nel binomio Casa-Persona. Questa espressione induceva a racchiudere e a circoscrivere la domiciliarità con la casa, seppur è stato sempre sostenuto da Mariena Scassellati- Presidente Onoraria de “La Bottega del Possibile”, ideatrice della traduzione del lemma domiciliarità presente nel dizionario di Servizio Sociale edito dalla Carrocci, che la domiciliarità va oltre la casa - poiché incorpora l’Intero e l’Intorno della persona.
Spostare la centralità dalla persona alla casa come spazio, non consentiva di cogliere il portato e l’ampiezza del significato che ha la domiciliarità per la persona. Commetteremmo però noi stessi un errore se teorizzassimo che la casa come luogo dell’abitare della persona non assuma un significato particolare oltre che profondo. Poiché la casa non è un semplice manufatto.
La casa è anzitutto luogo antropologico, luogo abitato dall’uomo che rimanda immediatamente, al tema dell’abitare, che non è solo uno stare, ma anzitutto un esserci, come ci ricorda Heidegger, che dicendo “io sono” intende automaticamente “io abito“, abitare è aver consuetudine con i luoghi e la casa è il luogo umano per eccellenza; citando Silvano Petrosino, professore alla Cattolica di Milano: “l’uomo esiste come uomo in quanto abita un luogo” Questo espressione è un aspetto che ci interroga in quanto abitare un luogo può anche non essere la casa, nella storia dell’evoluzione dell’uomo i luoghi abitati sono stati diversi. La differenza tra luogo e spazio mi pare importante: Lo spazio si pensa, i luoghi si abitano. Lo spazio si attraversa, nei luoghi si sosta. Lo spazio è l'astratto, il luogo il concreto. Tuttavia, il luogo non è solo uno spazio determinato, particolare, definito da coordinate precise. Il luogo è qualcosa che ha a che fare con la memoria, con le emozioni e con il desiderio.
Ma non dobbiamo fare ideologia della casa, poiché la casa può essere anche luogo delle violenze, delle libertà negate, la casa può essere una prigione, lo è ogni qual volta questa non è attraversata dal fuori, se non è luogo aperto, se non è aperta all’incontro con l’altro rischia di essere luogo separato, per questo anche la casa deve essere e farsi soglia. Farsi soglia affinché il Fuori contamini il Dentro e il Dentro resti in relazione con il Fuori, per questo affermiamo che il luogo del nostro abitare è composto a sua volta da un Interno e da un Intorno.
Quando si riducono le autonomie, quando subentrano fragilità, la casa può non essere il luogo
idoneo e adatto per continuare a vivere e a abitare quel luogo. Questo è in parte anche dovuto ai limiti che hanno le nostre case, progettate per ospitare un neonato non certo per accompagnare la persona con il venir meno delle sue autonomie.
Possiamo certamente affermare, con cognizione di causa, che una buona domiciliarità contribuisce ad una vita buona e serena. Se per Domiciliarità intendiamo quella sorta di nicchia ecologica che appartiene alla persona e che lega questa alla sua casa e al suo abitare sociale, casa che dobbiamo intendere come quel luogo in cui la persona sta bene, sente di essere a suo agio, dove desidera vivere e abitare, luogo che non vorrebbe abbandonare.
Ecco perché anche per un bambino o per un minore, dobbiamo saper preservare e tutelare quella domiciliarità in formazione che contribuisce al suo ben-essere, al suo ben-stare in quel contesto e luogo salutare.
Essendo la domiciliarità un processo, questa si forma, si accresce e si arricchisce con il progredire della vita.
Se la domiciliarità è anche un processo, questo è sicuramente complesso e lo è anche il suo sostegno.
Allora quale ruolo hanno i servizi e gli operatori e la comunità nel suo insieme nell’azione di sostegno? Come possiamo pensare di sostenere la domiciliarità di una persona erogando qualche ora di assistenza domiciliare?
Sostenere la domiciliarità non può certamente circoscriversi a una semplice prestazione, per di più contingentata dal minutaggio, o con l’attivare un servizio o intervento con un operatore professionale, prendersi cura del sostegno della domiciliarità di Maria o di Giovanni comporta ben altro, comporta non trascurare la sfera delle relazioni, degli affetti, dei desideri, comporta il prendersi anche cura “dell’Intorno” della persona.
Sostenere la Domiciliarità significa sostenere l’abitare sociale della persona, affinché possa continuare ad essere un abitante della propria comunità. Per questo sono necessari apporti e contributi, interventi di operatori di diverse professioni e discipline, professional e non professional, una rete di servizi e di sostegno, l’apporto delle risorse della comunità.
La residenzialità, l’istituzionalizzazione per certi versi e molto più semplice, poiché in questi luoghi - a volte non luoghi - ciò che ci aspettiamo e rivendichiamo è un buon ed efficiente servizio assistenziale, di cura e di tutela.
Anche in relazione a questo, da tempo abbiamo meglio precisato la traduzione e il concetto culturale: sostenere la domiciliarità significa sostenere la persona con il suo abitare sociale; sostenere la persona indipendentemente dall’età, genere, etnia, in quanto persona - affinché possa continuare a vivere e abitare, finché è possibile, in quel luogo dotato di senso per la persona e, nel momento in cui questa persona è costretta a cambiare il luogo di vita e del suo abitare, occorre impegnarsi e attivarsi, da parte dei vari soggetti, della rete dei servizi e della comunità con tutte le sue risorse affinché anche il nuovo luogo sia percepito e riconosciuto come luogo dotato di senso.
Il Vivere e l’abitare richiama fortemente l’Intorno della persona, il contesto sociale in cui è inserita, il suo paesaggio ambientale e umano, le sue relazioni, i suoi affetti e legami sociali. Assumere e riconoscere la complessità del sostegno alla domiciliarità per non semplificarla è certamente un passaggio necessario per poter proseguire una riflessione e l’impegno di tutti affinché un nuovo sistema di welfare possa assumere e riconoscere realmente il diritto e la preminenza della domiciliarità rispetto alle altre risposte che il sistema può mettere in campo.